20 Settembre 2023
Un'operazione antiterrorismo durata appena 24 ore, quella lanciata nella giornata di ieri, martedì 19 settembre, dall'Azerbaijan in Nagorno-Karabakh, enclave etnicamente armena ma territorialmente azera dopo la guerra del 2020 sottoposta ad un'amministrazione speciale sotto la tutela di circa 2000 peacekeeper russi. Nella giornata di oggi, mercoledì 20 settemebre, Baku ha infatti annunciato un cessate il fuoco: giovedì 21 settembre inizieranno le trattative con i rappresentanti dei 120mila armeni residenti nella regione, autoproclamatasi Repubblica dell'Artsakh, considerati dall'Azerbaijan semplicemente ribelli indipendentisti.
Un'operazione lampo, quella di Baku, che ha colto di sorpresa non solo gli attori direttamente coinvolti, armeni e (forse) russi, ma anche gran parte degli osservatori internazionali. L'Azerbaijan è infatti riuscito a penetrare in poche ore nei territori che 45 giorni di guerra frontale con Erevan non erano riusciti ad assicurarli. Non solo, ma è riuscita a farlo senza l'intervento delle forze russe sul territorio (nonostante la notizia di alcuni peacekeeper di Mosca rimasti ucciso in un agguato, non è ancora chiaro se dei separatisti filo-armeni o dell'esercito azero).
La velocità di un'azione che nelle ultime ore aveva fatto da molti temere lo scoppio di un nuovo sanguinoso conflitto nel Caucaso meridionale ha permesso a Baku di penetrare in tutti i principali punti strategici della regione, mettendola in buona parte sotto il proprio controllo. Da tale posizione di vantaggio, quindi, gli azeri hanno annunciato l'apertura di un tavolo di trattative con i separatisti filo-armeni (dopo che questi hanno deposto le armi, riferisce l'agenzia russa Ria Novosti), che si terrà nella giornata di giovedì 21 settembre presso la città di Yevlakh.
Una risoluzione delle brevi ostilità salutata con un tripudio di gioia in Azerbaijan, dove la perdita del controllo su quella che ad oggi continua ad essere considerata una propria regione è considerata come un'onta nazionale. Diverso l'atteggiamento, ovviamente, della popolazione a Erevan, capitale armena che da anni si presenta come sostenitrice delle istanze dell'autoproclamata Repubblica dell'Artsakh e che non ha mancato tre anni fa di dimostrarsi disposta a scendere in guerra per sostenere l'indipendenza (o l'assimilazione nei propri confini) del Nagorno-Karabakh.
Qui la popolazione ha preso nella notte d'assalto il Palazzo del Governo, accusando il Primo Ministro Nicol Pashinian di aver abbandonato la regione contesa a sé stessa rifiutandosi di muovere le proprie forze armate in difesa dei "fratelli armeni dell'Artsakh". Numerosi gli scontri con la polizia della capitale che dopo alcune ore è infine riuscita a mettere in sicurezza il Palazzo del Governo con un presidio di numerose decine di agenti in tenuta antisommossa.
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