01 Aprile 2022
Luca Vergani, CEO di Wavemaker Italy a Il Giornale d'Italia: “L’idea e il brief che abbiamo dato all’artista per l’opera è stato proprio quello di riportare in vita le caratteristiche dell’agenzia. Sono 14mila cartoncini - da lì il titolo dell’opera - che rappresentano alcune keyword simbolo del nostro modo di essere, di stare sul mercato e di dare consulenza alle aziende per aiutarle a raggiungere i consumatori. Tutto in una maniera che fosse anche la rappresentazione del nostro essere azienda internazionale. Noi facciamo parte del Gruppo WPP, che è il più grosso gruppo di comunicazione al mondo, ma siamo radicati fortemente nel territorio italiano, da qui la scelta di affidare l’opera proprio ad un artista italiano. Questa è la prima di una serie di opportunità che daremo ad artisti di realizzare le proprie opere all’interno del contesto della nostra agenzia, che ha un focus importante sulle aziende italiane. Siamo l’unica agenzia in Italia che ha cinque sedi: Milano e Roma, che sono le storiche per il mondo della comunicazione, ma abbiamo anche Verona, Torino e Firenze. Il fatto di stare vicino alle aziende, di essere radicati in Italia e sul territorio vogliamo rappresentarlo e portarlo in vita anche attraverso queste opere.”
- Come si evolve la comunicazione nel 2022? Oltre alle nuove sfide, quali saranno i trend più importanti a cui puntare?
“Una caratteristica costante, che sia per il Covid o per la vicina guerra tra Russia e Ucraina, è quella di mantenere flessibilità e agilità di reazione. Lo abbiamo detto sempre più spesso negli ultimi anni ai clienti, perché grazie allo sviluppo della tecnologia si possono vedere i mutamenti e gli atteggiamenti del consumatore praticamente in tempo reale e, quindi, le aziende si devono mettere nella condizione di acquisire queste fonti di informazioni, metterle nello stesso posto in modo che fonti e dati si parlino l’uno con l’altro per dare alle aziende degli insight azionabili e delle modalità innovative per raggiungere i propri consumatori. Lo scenario cambia tutti i giorni, si sta complicando, il nostro ruolo è aiutare le aziende a capire le innovazioni che possono diventare davvero rilevanti e quelle che, invece, potrebbero essere delle sperimentazioni ma che poi non finiscono per avere una presa vera sui consumatori e quindi un impatto su quello che le aziende cercano, cioè aumentare le vendite.”
- La comunicazione è cambiata molto con un forte sviluppo della parte video e social, lo vediamo anche in questo ultimo conflitto in Europa. Come giudica questo aspetto?
“Quello che posso dire è che stiamo già vedendo l’impatto e le aziende in particolare lo stanno riscontrando su due assi principali: l’aumento del costo delle materie prime che sta esplodendo e che era già un trend dell’autunno scorso. Il primo mercato a risentirne è stato quello dell’auto con la carenza del chip, ma non c’è un’azienda che non sia stata toccata da questa tematica dato il suo impatto notevole anche sul costo della produzione e conseguentemente il tentativo di scaricare a valle questo tipo di costo e le inevitabili frizioni con la grande distribuzione. Il secondo elemento, esasperato soprattutto dal cambiamento della guerra in Europa, è rappresentato dalla carenza di materia prime che, ancora, torna a impattare sui costi. Cominciamo a sentire aziende che hanno prodotto o capacità di produzione per il prossimo mese e mezzo o due mesi e, qualora non riuscissero a trovare fonti alternative, potrebbero dover interrompere la produzione. Senza dimenticare poi i costi dell’energia, che però aprirebbero un filone da trattare separatamente”.
- In che senso la comunicazione oggi è sempre più integrata?
“Il consumatore è raggiungibile attraverso diversi touchpoint e si sta abituando a ricevere messaggi sempre più rilevanti. Anche qui si apre il capitolo della disponibilità dei dati, della privacy, della capacità di tracciamento degli strumenti digitali, del GDPR e dei cookie di terza parte, ma, senza voler complicare, la cosa importante è che le aziende devono essere capaci di creare cluster di consumatori differenziati per esigenza nel rispetto dei propri prodotti e quindi creare dei contenuti creativi e dei messaggi che siano declinati e il più rilevanti possibili. Il consumatore si sta abituando a fruire di quello a cui è interessato nel momento in cui è interessato: ha a disposizione un palinsesto personalizzato su tutti i mezzi che va a discapito dei palinsesti preimpostati. Questo vuol dire che la televisione, la quale rimane sempre e comunque forte, sta però calando la capacità di reach, perché subisce la concorrenza di tutti gli over the top, come Netflix, NOW, Disney Plus o Paramount Plus (quest’ultimo verrà lanciato prossimamente). C’è inoltre un’offerta video impressionante, a cui si aggiungono i video fruibili sul digitale e le opportunità di addressable che stanno arrivando sul mercato. Le caratteristiche del digitale tornano, quindi, in maniera forte e preponderante all’interno degli altri mezzi. La stessa cosa sta succedendo per il mondo audio con la radio, la web radio ma anche i podcast, un fenomeno che sta esplodendo e lo vedremo sempre di più nei prossimi mesi. Le opportunità di avere accesso all’intrattenimento che il consumer cerca, nel momento nel quale lo cerca e con le caratteristiche con cui lo cerca, stanno diventando una necessità delle aziende di creare una comunicazione che tenga in considerazione questi elementi.”
- Quali sono le previsioni per il mercato pubblicitario?
“A inizio anno lo stimavamo tra +5% +6%, per proseguire quel percorso di crescita che avevamo visto soprattutto durante la seconda parte dell’anno scorso. Con la durata di questa guerra, che al momento è imprevedibile, abbiamo due forbici diverse: se la guerra dovesse durare ancora poco – premesso che per noi un solo giorno in più è già troppo - la stima è di perdere qualche punto. Se, invece dovesse andare avanti più a lungo si entrerebbe in territorio a rischio negativo. Tutti i settori sono impattati: dall’alimentare al largo consumo, dalle auto ai viaggi. Non c’è un settore che non venga toccato dalla crisi, dall’aumento dei costi delle materie prime e dal rallentamento dovuto alla guerra. Per assurdo possiamo dire che nel periodo del Covid ci sono stati anche settori che hanno “beneficiato” della situazione e che hanno venduto di più: tra questi sicuramente l’alimentare, gli elettrodomestici, il comparto ristrutturazione casa, mercati che hanno visto crescite anche del +20% +30% per logiche comprensibili. In questo momento non vediamo un settore che abbia un andamento controintuitivo rispetto a quello che può essere l’andamento complessivo del mercato, per questo ci aspettiamo che le previsioni coinvolgano tutti.”
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