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Germania tra crisi economica e deriva bellicista, Merz rilancia su armi e riarmo: chi manifesta per la pace viene manganellato

La tempesta perfetta che investe la locomotiva europea parte dalla Germania

12 Dicembre 2025

Germania tra crisi economica e deriva bellicista, Merz rilancia su armi e riarmo: chi manifesta per la pace viene manganellato

Merz, fonte: imagoeconomica

Mentre le aziende chiudono a raffica e le famiglie scivolano nel rosso, l'industria tedesca taglia drasticamente gli investimenti. Ma dov'è Friedrich Merz? Il nuovo cancelliere tedesco, eletto nel maggio 2025 dopo un'elezione travagliata che ha richiesto due turni di voto al Bundestag, sembra aver scelto la sua strada: non il rilancio economico, ma il riarmo. Una scelta che sta trasformando radicalmente la Germania e con essa l'intera Europa, nel momento in cui Trump e Putin decidono il futuro dell'Ucraina senza consultare Bruxelles.

La tempesta perfetta tedesca

I numeri parlano chiaro. L'Istituto Ifo di Monaco ha tagliato a zero le previsioni di crescita per il 2024 e stima appena uno 0,2% per il 2025. "L'economia tedesca è bloccata e langue nella depressione", ha dichiarato senza mezzi termini Timo Wollmershäuser, responsabile delle previsioni dell'Istituto. Ma non si tratta solo di un rallentamento ciclico: è una crisi strutturale che morde nel cuore del modello economico tedesco. Gli investimenti industriali, tradizionale motore della potenza manifatturiera germanica, sono crollati. Il settore manifatturiero ha registrato una contrazione del 3% del valore aggiunto nel 2024, con l'edilizia in caduta libera (-3,8%). L'indice PMI del settore manifatturiero è precipitato a 40,6, segnando il 27esimo mese consecutivo di contrazione - il secondo peggior risultato globale dopo il Myanmar. "Gli investimenti sono troppo scarsi, soprattutto nel settore manifatturiero, e la produttività è stagnante da anni", spiega Wollmershäuser. Le aziende tedesche stanno delocalizzando: Basf costruisce un nuovo stabilimento in Cina da 10 miliardi di euro, mentre Techem viene venduta al gestore patrimoniale statunitense Tpg. Il messaggio è inequivocabile: il capitale abbandona la nave.

Merz e il paradosso dell'occupazione

Friedrich Merz, 69 anni, leader della CDU ed ex manager di BlackRock (la più grande società di gestione patrimoniale del mondo, 10 trilioni di dollari, definita "la più grande banca ombra", gestisce più denaro del PIL di Germania e Giappone messi insieme. BlackRock detiene quote importanti inJPMorgan Chase, Bank of America, Apple, Facebook, McDonald's, Pfizer, ExxonMobil, Shell, e nei colossi dell'industria bellica come Northrop Grumman, General Dynamics, Lockheed Martin. In Italia gestisce oltre 84 miliardi di euro e ha quote significative in Intesa Sanpaolo, Unicredit, ENI, Generali, Poste Italiane), è arrivato al cancellierato con promesse di rilancio economico. La realtà è stata un'altra. Invece di affrontare la crisi strutturale, ha scelto la fuga in avanti: un piano di riarmo da 500 miliardi di euro in dodici anni, modificando persino la Costituzione tedesca per aggirare il sacro "freno al debito" che la Germania aveva imposto all'Europa come dogma intoccabile. Il paradosso è evidente: mentre l'industria civile agonizza, quella degli armamenti fiorisce. Rheinmetall, il colosso della difesa, ha visto le sue azioni decuplicare dall'inizio della guerra in Ucraina, passando da 100 euro nel febbraio 2022 a oltre 1.700 euro oggi. "L'industria della difesa sta crescendo a ritmi impressionanti, tanto da poter compensare la decrescita industriale tedesca", ammettono gli analisti.Merz ha dichiarato di voler rendere la Bundeswehr (le forze armate tedesche) "l'esercito convenzionale più potente d'Europa". Il governo Merz ha stilato una lista della spesa militare con 154 grandi acquisti da fare in soli due anni (2025-2026) per un valore di 83 miliardi di euro. Questi acquisti includono: fregate navali, carri armati e veicoli blindati, sistemi di difesa aerea, sottomarini, caccia da combattimento, ecc. ecc. Del totale, il 92% dei soldi andrà a comprare da aziende europee (principalmente tedesche come Rheinmetall, TKMS, Hensoldt, ma anche francesi, svedesi, etc.) e solo l'8% da aziende USA. Questo è un dato più significativo e importante di quanto a prima vista possa sembrare: perché quella di Merz è una scelta politica contro Trump. Il Presidente americano aveva fatto pressioni perché l'Europa continuasse a comprare armi americane (come ha sempre fatto). Merzinvece ha deciso di privilegiare l'industria europea, creando una "autonomia strategica" e una frattura con Washington. In pratica dice: "Ci riarmiamo, ma con le nostre armi, non con le vostre". È un segnale di rottura atlantica mascherato da scelta industriale.

Il rapporto simbiotico con Israele

Ma c'è un'eccezione nella geografia delle forniture militari tedesche: Israele. Dal 7 ottobre 2023, la Germania ha autorizzato esportazioni militari verso Tel Aviv per oltre 485 milioni di euro, diventando il secondo fornitore di armi dello Stato sionista dopo gli Stati Uniti. Tra il 2020 e il 2024, Berlino ha fornito circa un terzo delle armi importate da Israele, principalmente fregate navali e siluri. Il rapporto tra Merz e Israele ha conosciuto oscillazioni tattiche. Nell'agosto 2025, di fronte all'intensificarsi delle operazioni militari israeliane a Gaza, il cancelliere aveva annunciato una sospensione parziale delle esportazioni di armi utilizzabili nei territori palestinesi. Una scelta che aveva provocato le ire di Benjamin Netanyahu e tensioni all'interno della stessa CDU. Roderich Kiesewetter, politico CDU ed esperto di sicurezza, aveva definito la decisione un "grave errore politico e strategico", accusando il governo di piegarsi alla pressione di piazze "antisemite". A novembre 2025, Merz ha revocato il blocco, riavviando le forniture. La decisione è arrivata dopo che Israele aveva formalmente siglato un cessate il fuoco, anche se fonti palestinesi riportano almeno 242 morti a Gaza dopo l'entrata in vigore della tregua. Merz ha giustificato il sostegno militare a Israele con una frase che ha sollevato scandalo: il governo israeliano starebbe facendo "il lavoro sporco per l'Occidente". Una dichiarazione che cristallizza amaramente e scandalosamente la visione geopolitica del cancelliere tedesco e la sua concezione del ruolo di Israele nella regione.

La repressione del dissenso

Questa politica ha un prezzo interno pesante: la repressione sistematica di chi manifesta solidarietà con la Palestina. Berlino è diventata teatro di interventi polizieschi che hanno attirato le critiche delle Nazioni Unite. Sei esperti indipendenti del Consiglio ONU per i Diritti Umani hanno espresso "pesanti critiche" alla polizia tedesca per la "continua violenza" contro le manifestazioni pro-palestinesi. I video che circolano online documentano arresti violenti, manifestanti immobilizzati e colpiti, tecniche di contenimento che provocano dolore acuto. Il caso più noto riguarda un'attivista irlandese a cui gli agenti berlinesi hanno fratturato il naso e un braccio durante una manifestazione. L'8 marzo 2025, durante una manifestazione femminista con riferimenti alla Palestina, sono stati registrati 28 arresti e violenze documentate sui social, con video di manifestanti trascinati sull'asfalto. Gli esperti ONU hanno definito "allarmante" il fatto che le autorità tedesche abbiano sfruttato normative sull'immigrazione per negare la cittadinanza o espellere attivisti. Quattro giovani residenti a Berlino - tre europei e uno statunitense - sono stati deportati nel 2025 senza aver commesso reati, "colpevoli" solo di aver partecipato alle manifestazioni pro-Palestina del 2024.

Lo stesso Merz ha alimentato il clima, dichiarando in un'intervista a Fox News che "il crescente antisemitismo in Germania" sarebbe dovuto "al gran numero di migranti che abbiamo avuto negli ultimi 10 anni". Una narrazione di stampo razzista che scarica su turchi, arabi e comunità migranti la responsabilità del dissenso, dimenticando che secondo il Guardian l'85% degli episodi di antisemitismo in Germania sono di matrice di estrema destra tedesca.

Trump, Putin e l'Europa a rimorchio

Mentre Berlino rilancia sul riarmo, la guerra in Ucraina si avvia verso una conclusione che l'Europanon controlla. Donald Trump ha negoziato direttamente con Vladimir Putin un piano di pace in 28 punti che prevede sostanzialmente una resa ucraina: cessione dei territori occupati dalla Russia, rinuncia all'ingresso nella NATO per Kiev, una zona cuscinetto demilitarizzata. Il piano è stato negoziato tra Stati Uniti e Russia "senza coinvolgere né l'Ucraina né l'Europa", come ha denunciato amaramente Kaja Kallas, Alta rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri. Una figura, quella della Kallas, già aspramente criticata per il vistoso immobilismo della UE non solo sul conflitto russo-ucraino, ma soprattutto sulla violenza israeliana contro il popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania. Eppure proprio lei, insieme a Ursula Von der Leyen, ha continuato a chiedere altri 135 miliardi di euro per sostenere lo sforzo bellico ucraino nel biennio 2026-2027, mentre Washington e Mosca trattavano già alle loro spalle. Mai tempismo fu più disastroso. L'Europa ha tentato goffamente di correggere il tiro con una controproposta in 19 punti, ma Putin l'ha respinta con disprezzo: "Gli europei sono offesi per essere stati presumibilmente esclusi dai negoziati. Si sono esclusi da soli adottando la tesi di infliggere una sconfitta strategica alla Russia". E ha aggiunto: "Se l'Europa vuole scatenare una guerra, noi siamo pronti, adesso". Merz si trova così stretto in una tenaglia: da un lato Trump che ha già deciso con Putin come finirà la guerra, dall'altro un'opinione pubblica europea che non vuole essere trascinata in un conflitto. La sua risposta? "L'Ucraina deve potersi difendere pienamente, anche al di fuori dei propri confini", ha dichiarato, segnando un cambio radicale rispetto alla prudenza del predecessore Scholz dando il via a un'ulteriore pericolosa escalation, mentre Trump chiudeva già i giochi con Putin.

L'industria civile sacrificata sull'altare di Marte

Mentre Merz investe centinaia di miliardi nel riarmo, l'economia reale continua a soffrire. Le cause strutturali della crisi sono note: la perdita dell'energia russa a basso costo con la distruzione del Nord Stream, la dipendenza dalla Cina come mercato di sbocco, la transizione verde mal gestita, i costi energetici insostenibili, la pressione competitiva internazionale. L'Istituto Ifo denuncia che "la Germania si concentra principalmente sulla produzione di tecnologie mature, ma quasi per niente sulla ricerca e sviluppo e sulle nuove industrie". Solo il 10% delle misure di politica industriale tra il 2017 e il 2024 è legato a ricerca e sviluppo. Un ritardo che rischia di diventare strutturale proprio mentre la Cina avanza massicciamente nell'innovazione tecnologica. I sindacati denunciano che il piano di riarmo, tutto a debito, costerà decine di miliardi in interessi passivi, soldi sottratti a sanità, istruzione, welfare. La linea di budget che Merz non vuole utilizzare per le famiglie in difficoltà e per il rilancio industriale civile, magicamente si apre quando si tratta di carri armati e sistemi missilistici.

Una Germania Divisa

Il piano di riarmo ha creato spaccature profonde. Tradizionalmente, la sinistra e i Verdi erano pacifisti, mentre la destra conservatrice favorevole agli investimenti militari. Oggi la situazione è capovolta: Verdi e SPD sostengono il mega-riarmo (i Verdi hanno votato a favore in cambio di 100 miliardi per il clima), mentre l'estrema destra di AFD si oppone, insieme alla sinistra radicale. Anton Hofreiter, colonna storica dei Verdi e un tempo "pacifista totale e amante degli animali", ora spinge per "la militarizzazione della società tedesca in stile Albert Speer". Un capovolgimento ideologico che lascia sgomenti molti cittadini tedeschi. L'elezione stessa di Merz a cancelliere, il 6 maggio 2025, è stata un segnale di instabilità: al primo turno di votazione al Bundestag ha ottenuto solo 310 voti, sei in meno del necessario, con 18 franchi tiratori nella sua stessa coalizione. Mai era successo nella storia della Repubblica federale che un cancelliere designato fosse bocciato al primo turno. La Borsa di Francoforte era crollata, i mercati avevano tremato. Al secondo turno Merz ha ottenuto 325 voti, ma l'episodio ha segnato il suo governo nascente con il marchio della fragilità.

L'Italia: Imitare la Germania con un decimo delle carte

E l'Italia? Roma guarda a Berlino e cerca goffamente di imitarne le mosse, ma con un decimo delle carte in mano. Meloni ha promesso di portare la spesa militare al 2% del PIL nel 2025 ha già accettato l'obiettivo NATO del 5% entro il 2035. Significa circa 100 miliardi di euro in più ogni anno per il prossimo decennio, sottratti a sanità, welfare, istruzione. Il tutto mentre il debito pubblico italiano viaggia verso il 140% del PIL. "La libertà ha un prezzo", ha dichiarato GiorgiaMeloni, rivendicando l'impegno come "necessario e sostenibile". Ma dove la Germania ha una base industriale ancora solida e può pensare di riconvertirla, l'Italia ha un'industria già agonizzante e un debito che toglie ogni margine di manovra. Copiare il modello tedesco del riarmo senza averne le capacità significa condannare il Paese a indebitarsi per acquistare armi prodotte da altri - in primis Germania e Stati Uniti - mentre l'economia reale affonda. Ma il problema di Meloni non è solo economico: è geopolitico. La premier italiana ha scelto di camminare sul filo, cercando di tenersi a metà strada tra Europa e Stati Uniti, tra i "volenterosi" e Trump. Il risultato è che non sta da nessuna parte. Nelle settimane cruciali dei negoziati sull'Ucraina, Meloni è stata sistematicamente esclusa dai vertici che contano. A Kiev, a Tirana, a Londra: quando Macron, Starmer, Merz e Tusk si riuniscono con Zelensky per parlare con Trump, l'Italia non c'è. La scusa ufficiale? "Non mandiamo truppe in Ucraina, quindi non ha senso partecipare". Ma nemmeno Francia, Germania e Polonia hanno mandato truppe, e loro al tavolo ci sono.

La verità è più cruda: l'Italia di Meloni è considerata inaffidabile. Troppo vicina a Trump quando serve mostrare unità europea, troppo tentennante quando Trump chiede fedeltà assoluta. Trumpsi smarca ogni giorno di più, tratta direttamente con Putin senza consultare gli alleati, cambia idea a seconda della convenienza. Putin invece resta fermo, detta le sue condizioni, rilancia sulla guerra mentre l'Europa balbetta. E i "volenterosi" decidono tra loro, senza invitare Roma. L'Italia è fuori dal "Formato Weimar" (Germania-Francia-Polonia) che coordina la difesa europea. È ai margini della "coalizione dei volenterosi" che gestisce i negoziati sulla guerra. Non ha voce in capitolo sulle decisioni strategiche. Il tentativo di proporsi come mediatrice offrendo il Vaticano come sede per i negoziati è apparso per quello che è: un disperato tentativo di rientrare in gioco attraverso la porta di servizio.

Europa al bivio, Italia alla deriva

La Germania di Merz incarna il dilemma europeo: di fronte alla crisi economica e alla guerra alle porte, l'Europa non trova una risposta comune. C'è chi come la Germania sceglie la fuga nel riarmo, scommettendo che l'industria bellica possa sostituire quella civile, e ha comunque i mezzi per farlo, anche se a costo di smantellare il modello sociale europeo. C'è chi come l'Ungheria resta ancorata a Putin. C'è chi come l'Italia vorrebbe mediare tra le spinte contrapposte, ma non ha né la forza economica né la credibilità politica per farlo. Il risultato complessivo è un'Europa sempre più marginale nelle grandi partite geopolitiche. Trump e Putin decidono sulla testa di Kiev e Bruxelles. La Cina avanza industrialmente e tecnologicamente. L'industria europea perde terreno su tutti i fronti mentre spende centinaia di miliardi in armamenti che spera di non dover mai usare. E l'Italia è ridotta a comparsa, esclusa dai tavoli che contano, costretta a inseguire le decisioni altrui. E intanto, a Berlino come in altre capitali europee, chi manifesta per la pace viene manganellato, chi critica Israele viene marchiato come antisemita e rischia l'espulsione, chi chiede di investire nel sociale invece che nelle armi viene accusato di ingenuità. Il dissenso democratico diventa sovversione, la critica della guerra diventa tradimento. La locomotiva europea è ferma ai blocchi di partenza. Il macchinista Merz ha deciso di smontare i vagoni civili per costruire carri armati.L'Italia si affanna a seguirlo, ma non ha nemmeno il carbone per alimentare la caldaia. Il treno, per ora, non parte. E se partisse, nessuno sa dove ci porterebbe,  ma la direzione sembra sempre più chiaramente quella del precipizio.

Di Eugenio Cardi

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