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Ue in armi, dalla crisi dell’auto all’economia di guerra: Germania e Italia si preparano a triplicare le spese militari

Pensioni, sanità e scuole agonizzano. Lo spettro estrema destra xenofoba

14 Novembre 2025

Ue in armi, dalla crisi dell’auto all’economia di guerra: Germania e Italia si preparano a triplicare le spese militari

Ue in Armi Fonte: Terra Nuova

La Germania, prima economia europea, sta vivendo una trasformazione industriale senza precedenti: quello che fino a ieri era il simbolo del suo potere manifatturiero – l'industria automobilistica – si sta rapidamente convertendo in un apparato bellico-industriale.

La riconversione industriale: dalle auto ai carri armati

Il valore di mercato di Rheinmetall, il colosso tedesco degli armamenti, ha superato per la prima volta nella storia quello del gruppo Volkswagen: 55,7 miliardi contro 54,4 miliardi. Un sorpasso emblematico che segna l'inizio di una nuova era: quella dell'economia di guerra permanente. Rheinmetall sta riconvertendo i suoi stabilimenti automobilistici di Berlino e Neuss in poli ibridi per la produzione militare, trasformando le fabbriche un tempo dedicate alla componentistica per auto in stabilimenti per equipaggiamenti militari. Non si tratta di casi isolati: KNDS Deutschland ha acquisito uno stabilimento ferroviario Alstom a Görlitz per riadattarlo alla produzione di veicoli blindati, con investimenti di decine di milioni di euro. Il cancelliere Friedrich Merz, ex dirigente di BlackRock, ha dichiarato esplicitamente che "di fronte alle minacce alla nostra libertà e pace, il principio del 'whatever it takes' deve valere anche per la difesa", annunciando l'esclusione delle spese militari dal vincolo del pareggio di bilancio. L'amministratore delegato di Volkswagen, Oliver Blume,ha affermato che l'azienda è disposta a fare la sua parte nella corsa al riarmo, mentre Rheinmetall ha dichiarato l'intenzione di acquistare lo stabilimento Volkswagen di Osnabrück.

L'ombra neonazista e la crisi della democrazia tedesca

Ma c'è un aspetto ancora più inquietante in questa deriva militarista: l'enorme crescita del partito di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD), che capitalizzando su tematiche come immigrazione e sicurezza, è giunto al secondo posto con 152 seggi alle elezioni del 23 febbraio 2025. Secondo i sondaggi più recenti, AfD sarebbe ormai il primo partito con il 26% dei consensi, superando persino la CDU-CSU di Merz.

L'Ufficio federale per la protezione della Costituzione ha ufficialmente classificato AfD come "estremista di destra", ma questo non impedisce al partito neonazista di crescere esponenzialmente, alimentato proprio da quella crisi economica che ora si vuole risolvere attraverso la produzione di armi. Un paradosso tragico: la risposta alla crisi del capitalismo europeo non è il welfare, ma il warfare.

L'Italia segue la strada della Germania

E il nostro Paese? L'Italia, come sempre prona alle direttive delle élite europee e atlantiche, si prepara a replicare il modello tedesco. Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha annunciato l'intenzione di aprire un nuovo programma per "governare la riconversione industriale", con incentivi per le aziende della filiera automotive a diversificare verso difesa e aerospazio.

Il conto salato per i cittadini

I numeri sono spaventosi. L'accordo sottoscritto al vertice NATO dell'Aia comporta per l'Italia l'impegno a raggiungere entro il 2035 il 3,5% del PIL in spese militari tradizionali, più un ulteriore 1,5% per la sicurezza nazionale in senso lato. Si tratta di un impegno cumulativo decennale di quasi 700 miliardi di euro, circa 220 miliardi in più rispetto a quello che si spenderebbe puntando al 2%. Già nel 2025, la spesa militare italiana ha raggiunto i 32 miliardi di euro secondo l'Osservatorio MIL€X (o Osservatorio sulle spese militari italiane, osservatorio indipendente che monitora e analizza la spesa militare italiana. Fonte molto affidabile e preziosa per chi desideri fare del giornalismo investigativo serio sulla militarizzazione e sulle priorità di spesa pubblica), con un aumento del 12,4% rispetto al 2024 (+3,5 miliardi in un anno) e del 60% sul decennio. Ma il governo italiano, utilizzando la metodologia NATO che include voci contabili "creative", dichiara una spesa di oltre 45 miliardi per raggiungere il 2% del PIL.

In buona sostanza per poter portare la spesa militare dagli attuali 35 miliardi agli oltre 100 miliardi richiesti dal 3,5%, l'Italia dovrà reperire ogni anno nuove risorse finanziarie nell'ordine dei 6-7 miliardi, ogni anno per dieci anni. Come? Dove? Tutte domande senza risposta.

Mentre il welfare agonizza

E tutto questo mentre il nostro Servizio Sanitario Nazionale è al collasso, con liste d'attesa infinite e ospedali che chiudono reparti; mentre le pensioni vengono sistematicamente ridotte e indicizzate sempre meno all'inflazione; mentre le scuole cadono a pezzi e gli insegnanti sono sottopagati.

Come avvertono gli esperti del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute - Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma, uno dei più prestigiosi e autorevoli istituti di ricerca al mondo su temi di pace, conflitti e armamenti): "Dedicare risorse crescenti alla sicurezza militare, spesso a scapito di altre aree di bilancio, potrebbe avere effetti significativi sulle società negli anni a venire". I tagli a sanità, istruzione e welfare rischiano di aumentare le disuguaglianze e minare la coesione sociale proprio mentre si investe per difendere la democrazia.

L'ipocrisia del "whatever it takes"

Quando serviva salvare le banche nel 2008, quando serviva sostenere l'euro durante la crisi del debito sovrano, i governi hanno trovato centinaia di miliardi. Il famoso "whatever it takes" di Mario Draghi ha salvato il sistema finanziario. Ora lo stesso principio viene invocato per riempire gli arsenali, mentre ai cittadini comuni si continua a predicare austerità, responsabilità fiscale, vincoli di bilancio. La spesa militare tedesca nel 2024 è aumentata del 28% rispetto all'anno precedente, con la grande industria dei settori auto e siderurgico pronta a convertire stabilimenti e collaborare con Rheinmetall per aumentare la produzione di armi. Le quattro principali aziende belliche tedesche hanno aggiunto negli ultimi tre anni più di 16.500 dipendenti, con un aumento di oltre il 40%, e prevedono di assumerne circa 12.000 in più entro il 2026.

Un ritorno al passato che fa paura

Non si può non notare la tragica ironia della storia: a ottant'anni dalla sconfitta del nazifascismo, l'Europa si prepara di nuovo alla guerra. La Germania, che aveva fatto della pace e della cooperazione internazionale il fondamento della sua rinascita democratica, torna a essere una potenza militare di primo piano. E lo fa mentre al suo interno cresce un partito dichiaratamente neonazista. Come denunciano i comunisti tedeschi: "A 80 anni dalla sconfitta del fascismo, la Germania si prepara di nuovo alla guerra, questa volta al fianco delle grandi potenze imperialiste".

La logica perversa del capitalismo in crisi

La dinamica è chiara: in un contesto in cui i capitali europei non riescono a valorizzarsi a sufficienza, con una guerra commerciale in corso ed una scarsa competitività rispetto ad economie industriali più solide, la risposta che danno i padroni è quella di produrre cannoni e non burro. Il problema non è la domanda di automobili o di beni di consumo, quella c'è sempre, semplicemente le persone non hanno più il potere d'acquisto per soddisfarla. Il problema è che il sistema capitalistico ha bisogno di profitti sempre crescenti, e quando non riesce a trovarli nella produzione civile, si rivolge a quella militare, dove i margini sono più alti e i committenti (gli Stati) pagano senza discutere.

Resistere è possibile e necessario

Di fronte a questa deriva, la resistenza è non solo legittima, ma necessaria. I sindacati italiani sono divisi: la CGIL definisce l'ipotesi di convertire le fabbriche di auto in armamenti "una scelta di cui non vogliamo neanche discutere, assurda dal punto di vista etico, industriale e occupazionale"; la UIL parla di "piano non realistico, al di là di ogni considerazione di carattere politico e morale". Ma serve molto di più: serve una mobilitazione popolare ampia che si opponga a questa follia militarista, che pretenda investimenti nel welfare invece che negli armamenti, che rifiuti la logica dell'economia di guerra permanente.

Perché la verità è semplice e brutale: ogni euro speso in carri armati è un euro sottratto alle scuole, agli ospedali, alle pensioni. Ogni fabbrica convertita alla produzione bellica è una fabbrica che non produce più beni utili alla vita delle persone. Ogni giovane addestrato a combattere è un giovane che non studia, non lavora, non costruisce futuro.

La scelta è chiara: burro o cannoni. Noi scegliamo il burro.

Di Eugenio Cardi

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