11 Novembre 2025
Al Jolani, fonte: Lapresse
La rete come campo di battaglia
Il progresso tecnologico e la diffusione globale di Internet hanno trasformato ogni aspetto della comunicazione, ma anche del terrorismo internazionale. Le organizzazioni estremiste hanno compreso prima di molti governi che il web è un’arma, un canale per diffondere ideologie, reclutare adepti e colpire infrastrutture strategiche senza muovere un solo uomo sul campo. La jihad online non conosce confini, fusi orari o dogane: un semplice smartphone può diventare il detonatore di una guerra invisibile.
Dalle torri gemelle al jihadismo 2.0
Già prima dell’11 settembre 2001, le grandi sigle del terrorismo islamista avevano i propri siti web ufficiali, utilizzati per diffondere dottrina, istruzioni operative e biografie dei leader. Con l’esplosione dei social network e delle piattaforme di messaggistica, la minaccia si è frammentata in cellule autonome, i cosiddetti “lupi solitari”, capaci di agire senza ordini diretti ma sotto la spinta della radicalizzazione digitale. Nasce così il fenomeno del jihadismo globalizzato, una rete senza centro, costruita sull’interattività e sull’anonimato, in cui la propaganda si trasforma in addestramento e incitamento.
Cyberterrorismo e radicalizzazione online
Gli esperti distinguono due dimensioni della minaccia: il cyberterrorismo “target oriented”, cioè gli attacchi diretti a infrastrutture critiche, e quello “tool oriented”, che usa Internet come strumento di supporto alla radicalizzazione e al reclutamento. Nel primo caso, il rischio è concreto: colpire reti elettriche, centrali nucleari, aeroporti o sistemi bancari significa paralizzare uno Stato. Nel secondo, la minaccia è più subdola: creare bolle informative in cui il futuro terrorista percepisce l’odio come legittima difesa e la violenza come giustizia.
Il Califfato digitale: l’ISIS nel cyberspazio
Lo Stato Islamico è stato il primo gruppo a sfruttare pienamente la dimensione digitale, dando vita al cosiddetto “Califfato cibernetico”. Dal 2014 al 2019, una galassia di hacker affiliati – dal Cyber Caliphate Army (CCA) all’United Cyber Caliphate (UCC) – ha condotto attacchi informatici, furti di dati e campagne di propaganda in tutto il mondo. Nel 2015, il CCA riuscì persino a violare gli account social del Comando Centrale USA, diffondendo minacce e video jihadisti. Dopo la morte del suo leader, Junaid Hussain, le operazioni si sono ridotte ma non interrotte: la propaganda dell’ISIS continua oggi sotto forma di reti decentralizzate e forum nascosti nel dark web.
Hamas: lo spionaggio come strategia
Diversa, ma altrettanto pericolosa, è l’evoluzione del cyberterrorismo di Hamas. Limitato militarmente dall’assedio israeliano, il movimento palestinese ha investito sulla cyber intelligence. Attraverso la sua Forza di Sicurezza Interna (ISF) e le Brigate al-Qassam, Hamas conduce operazioni di spionaggio e manipolazione informatica, spesso con l’appoggio di Iran e Turchia. Nel 2022 un’indagine israeliana rivelò che il gruppo aveva diffuso false app per i Mondiali di calcio, usate per installare spyware in grado di raccogliere dati su ufficiali e installazioni militari. Altre operazioni hanno sfruttato cloud compromessi, email infette e perfino siti web di beneficenza per infiltrare malware nelle reti governative.
Propaganda, reclutamento e guerra psicologica
Il potere reale del cyberterrorismo, tuttavia, non risiede solo nei codici malevoli, ma nella propaganda emozionale. Attraverso video, forum chiusi e canali Telegram, le organizzazioni terroristiche diffondono contenuti violenti per comunicare il terrore e reclutare nuovi militanti. La radicalizzazione online segue percorsi psicologici precisi: isolamento, esposizione a contenuti estremisti, contatto diretto con un “mentore digitale” e infine accettazione della violenza come atto di fede. La rete diventa così una caserma virtuale, in cui si addestrano e si manipolano le menti, senza confini e senza uniformi.
La guerra invisibile del XXI secolo
Il cyberterrorismo rappresenta oggi una minaccia ibrida: combina la propaganda ideologica con la capacità di sabotaggio informatico. Gli attacchi DDoS, i ransomware, il phishing e le intrusioni “man-in-the-middle” sono solo alcuni degli strumenti usati per colpire società, governi e cittadini. Il fronte digitale non conosce tregue: le guerre del futuro non si combatteranno solo nei deserti o nelle città, ma anche nei server, nei social e nei dati. Ed è proprio qui che si deciderà la vera sicurezza nazionale del XXI secolo — tra codice e fede, tra algoritmo e ideologia.
Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.
Articoli Recenti
Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Luca Greco - Reg. Trib. di Milano n°40 del 14/05/2020 - © 2025 - Il Giornale d'Italia