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Cisgiordania, brand palestinese di kefiah denuncia: "Merce bloccata per mesi in porti di Tel Aviv, arrivata a clienti con sticker 'Made in Israel'"

Un brand palestinese afferma che le sue kefiah fabbricate a Nablus sono state trattenute nei porti israeliani quasi tre mesi e contrassegnate “Made in Israel”

11 Novembre 2025

Kefiah "Made in Israel"

Kefiah "Made in Israel", fonte: Instagram, @ruyanewsenglish

Un piccolo brand palestinese di kefiah con sede a Nablus, in Cisgiordania, ha denunciato un vero e proprio sfregio non solo al suo marchio e al suo prodotto, ma anche alla sua cultura: "La nostra merce è stata bloccata per mesi nei porti israeliani e quando è arrivata ai nostri clienti, sopra c'era uno sticker con scritto 'Made in Israel'".

Cisgiordania, brand palestinese di kefiah denuncia: "Merce bloccata per mesi in porti di Tel Aviv, arrivata a clienti con sticker 'Made in Israel'"

Un marchio di abbigliamento palestinese ha fatto luce su quello che definisce un serio ostacolo all’export delle sue kefiah: le sciarpe tradizionali prodotte nella città di Nablus, Cisgiordania, sarebbero rimaste trattenute nei porti israeliani per quasi tre mesi prima di raggiungere i clienti all’estero, in quanto le autorità israeliane le avrebbero contrassegnate con un adesivo “Made in Israel”. Il ritardo, spiegano i co-fondatori del brand, sarebbe dovuto a questa etichettatura imposta e alla successiva rilabellatura prima di lasciare il porto. La segnalazione è stata rilanciata dopo che un cliente ha pubblicato su Reddit uno screenshot dell’etichetta “Made in Israel” su una kefiah acquistata online.

I responsabili del marchio hanno dichiarato che l’episodio "evidenzia la realtà che i palestinesi nei territori occupati non controllano i propri confini" e mette in luce le difficoltà pratiche per le imprese in Cisgiordania che vogliono esportare. Le merci infatti transitano attraverso porti o valichi controllati da Israele, come Haifa, Ashdod o il ponte di Allenby: tutti passaggi soggetti al pieno controllo israeliano, che regola l’ingresso e l’uscita di prodotti dai territori palestinesi.

Questa situazione comporta per le aziende palestinesi ritardi, complicazioni burocratiche e rischi aggiuntivi. Non solo la produzione può essere laboriosa in un contesto di occupazione, ma anche il transito e l’esportazione dipendono da procedure gestite da un altro Stato. L’adesivo “Made in Israel” rappresenterebbe, secondo il brand, la cristallizzazione simbolica del fatto che il controllo dei confini e delle merci resti nelle mani israeliane.

Il marchio non ha fornito pubblicamente il proprio nome completo, ma l’accusa è forte: una distorsione del commercio equo e un limite all’autonomia economica dei palestinesi. Se confermato, il caso avrebbe implicazioni significative per la tracciabilità, l’etichettatura, e i diritti delle imprese nei territori occupati. Obiettivi: trasparenza sull’origine del prodotto e rispetto delle normative internazionali sul commercio. Intanto, il messaggio è chiaro: "Produciamo a Nablus, ma il mondo vede il 'Made in Israel'".

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