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La violenza coloniale di Israele in Cisgiordania, espansionismo illegale, armato e brutale: 50 anni di violenta e vile occupazione

Oltre 58 anni dopo, la Cisgiordania è ancora teatro di una sistematica politica di violenta espropriazione di territori palestinesi, orchestrata da coloni armati che agiscono con l'impunità garantita dall'apparato militare israeliano

03 Novembre 2025

La violenza coloniale di Israele in Cisgiordania, espansionismo illegale, armato e brutale: 50 anni di violenta e vile occupazione

Cisgiordania ulivi fonte: X @IPAZIA2025

Quando nel giugno 1967 Israele occupò la Cisgiordania durante la Guerra dei Sei Giorni, nessuno avrebbe potuto immaginare che quella che doveva essere un'occupazione temporanea si sarebbe trasformata nell'occupazione militare più lunga della storia moderna.

L'inizio dell'espansionismo coloniale

Oltre 58 anni dopo, la Cisgiordania è ancora teatro di una sistematica politica di violenta espropriazione di territori palestinesi, orchestrata da coloni armati che agiscono con l'impunità garantita dall'apparato militare israeliano. Immediatamente dopo l'occupazione del 1967, Israele iniziò una politica di insediamento che viola apertamente la Quarta Convenzione di Ginevra. Il primo insediamento fu Kfar Etzion, seguito rapidamente da altri 32 nei primi dieci anni. Documenti declassificati rivelano che già nel 1967 il consigliere legale del Ministero degli Esteri israeliano, Theodor Meron, aveva avvertito in un memo top secret che "l'insediamento civile nei territori amministrati contravviene alle disposizioni esplicite della Quarta Convenzione di Ginevra". Nonostante questo, il governo israeliano ha deliberatamente ignorato il diritto internazionale.

Durante l'amministrazione di Menachem Begin (1977-1983), il numero di insediamenti triplicò e la popolazione dei coloni aumentò di oltre cinque volte. Quel che era iniziato come un'operazione militare si è velocemente trasformato in un progetto coloniale sistematico volto a frammentare il territorio palestinese e a rendere impossibile la creazione di uno Stato palestinese vivibile e viabile. Oggi nella Cisgiordania occupata esistono circa 700.000 coloni israeliani che vivono in 150 insediamenti e 200 avamposti. Tutti sono considerati illegali dal diritto internazionale e paradossalmente anche dal sistema giuridico israeliano, sebbene le autorità israeliane garantiscano loro impunità sistematica.

2023-2025: l'escalation della violenza. Un'esplosione di brutalità senza precedenti

Se la violenza dei coloni è stata una costante dell'occupazione sin dagli anni '80, dopo il 7 ottobre 2023 si è verificata un'escalation drammatica. Infatti mentre l'attenzione mondiale si concentrava su Gaza, in Cisgiordania si consumava una campagna parallela di terrore sistematico. I numeri sono agghiaccianti:

  • Oltre 1.860 violenti attacchi dei coloni, registrati tra il 7 ottobre 2023 e il 31 dicembre 2024, una media di quattro attacchi al giorno secondo l'OCHA(Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari).
  • Nel 2025 la situazione è ulteriormente peggiorata: nei primi otto mesi dell'anno sono stati documentati oltre 1.000 attacchi violenti, con un aumento del 30% rispetto allo stesso periodo del 2024.
  • Oltre 1.000 palestinesi uccisi dalle forze israeliane e dai coloni dal 7 ottobre 2023, con almeno 178 morti solo nel 2025.
  • Più di 1.200 persone sfollate forzatamente, tra cui 600 bambini, dalle comunità rurali e di pastori.

Gli esperti delle Nazioni Unite hanno definito questi attacchi "una strategia intenzionale per cancellare la presenza palestinese in aree agricole chiave, minare la loro sicurezza alimentare e sovranità alimentare e, in ultima analisi, separare i palestinesi dalla loro terra".

Il terrorismo israeliano: dall'assassinio di Rabin alla violenza sistematica

La violenza dell'estrema destra israeliana non si limita agli attacchi contro i palestinesi. Il 4 novembre 1995, il Primo Ministro Yitzhak Rabin fu assassinato da Yigal Amir, un estremista israeliano di estrema destra, mentre lasciava una manifestazione per la pace a Tel Aviv. Rabin stava perseguendo attivamente il processo di pace con i palestinesi attraverso gli Accordi di Oslo, e questo lo aveva reso il bersaglio di una campagna di odio orchestrata dai coloni e dai loro sostenitori politici e religiosi.

L'assassinio di Rabin non fu l'atto isolato di un folle, ma il culmine di un clima di incitamento deliberato. Nelle settimane precedenti all'omicidio, manifestazioni di destra avevano ritratto Rabin in uniforme nazista, rabbini di estrema destra avevano invocato contro di lui il din rodef (una sentenza religiosa che giustifica l'uccisione di chi mette in pericolo vite ebraiche), e leader come Benjamin Netanyahu avevano partecipato a manifestazioni dove si chiedeva la morte del premier. Anche l’attuale Ministro Ben-Gvir (criminale pregiudicato, condannato per ben 8 volte dallo stesso Stato di Israele per razzismo e terrorismo), seguace del rabbino estremista Meir Kahane e fanatico attivista di estrema destra all'epoca dell'assassinio di Rabin, faceva parte a tutti gli effetti del clima di incitamento contro l’allora Primo Ministro. Poche settimane prima dell'assassinio, Ben Gvir rubò l'emblema dalla Cadillac di Rabin durante una manifestazione e dichiarò in televisione: "Siamo arrivati alla sua macchina, arriveremo anche a lui". Inoltre, Ben-Gvir, era un fervente attivista del movimento Kach (dichiarato organizzazione terroristica dallo stesso Stato di Israele), partecipando in prima persona alle manifestazioni che incitavano alla violenza contro Rabin. L'assassinio di Rabin rappresentò un punto di svolta: dimostrò che il terrorismo israeliano di estrema destra non esitava a colpire chiunque ostacolasse il progetto coloniale in Cisgiordania, nemmeno il proprio Primo Ministro. Dopo la sua morte, il processo di pace entrò in una spirale discendente dalla quale non si è mai più ripreso.

Quello stesso clima di impunità e radicalizzazione che portò all'assassinio di Rabin è quello che oggi alimenta la violenza quotidiana dei coloni contro i palestinesi. La differenza è che oggi, invece di essere marginalizzati, gli eredi ideologici dell'assassino di Rabin siedono al governo e occupano posizioni chiave nell'apparato di sicurezza dello Stato.

Il governo dell'estrema destra e l'incoraggiamento alla violenza

L'elezione nel 2022 di un governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu, con ministri provenienti direttamente dal movimento dei coloni, ha rappresentato un pessimo e violento punto di svolta. Figure come Itamar Ben-Gvir, Ministro della Sicurezza Nazionale e noto estremista, e Bezalel Smotrich(scandalosamente autodichiaratosi razzista, fascista e omofobo, forte propositore dell’inquietante progetto espansionista e colonialista della “Grande Israele”), Ministro delle Finanze con competenze sull'amministrazione civile in Cisgiordania, hanno trasformato la violenza dei coloni da fenomeno tollerato a politica di fatto incoraggiata. Dopo il 7 ottobre 2023, l'esercito israeliano ha richiamato 5.500 coloni riservisti, alcuni con precedenti penali per violenza contro i palestinesi, assegnandoli a battaglioni di "difesa regionale" nella Cisgiordania. Le autorità hanno distribuito 7.000 armi ai membri di questi battaglioni e alle "squadre di sicurezza civile" costituite negli insediamenti. Il messaggio è stato chiaro: via libera alla violenza.

Il martirio degli olivicoltori palestinesi: simbolo di una devastazione sistematica. L'olivo come bersaglio

L'ulivo rappresenta per i palestinesi molto più di un albero: è il simbolo del loro radicamento alla terra, della resilienza (sumud), dell'identità culturale millenaria. Non sorprende quindi che sia diventato il bersaglio principale della furia dei coloni. La distruzione degli uliveti non è vandalismo casuale: è una precisa strategia di cancellazione culturale ed economica.

  • I dati sono devastanti:
  • Oltre 52.300 alberi distrutti nella Cisgiordania dal 7 ottobre 2023, circa il 4% di tutti gli ulivi della regione.
  • 000 ulivi sradicati in tre giorni ad al-Mughayyir nell'agosto 2025, con l'esercito israeliano che ha affermato esplicitamente che l'obiettivo era "far pagare un prezzo pesante" al villaggio. Alcuni di questi alberi avevano 100 anni.
  • Più di 3.100 alberi bruciati, tagliati o danneggiati durante la stagione del raccolto 2024.
  • Nel 2023, 96.000 dunam (circa 9.600 ettari) di terreno coltivato a ulivi rimasti non raccolti a causa degli attacchi, con perdite stimate di 10 milioni di dollari.

Il terrore durante la raccolta delle olive

La stagione della raccolta delle olive – tradizionalmente un momento di festa per la comunità palestinese, che si svolge tra settembre e novembre – è diventata un periodo di paura e violenza. I racconti dei testimoni sono strazianti:

  • Ottobre 2025: Afaf Abu Alia, 53 anni, stava raccogliendo olive con la sua famiglia vicino a Turmus Ayya. Riempì appena un cesto prima che un gruppo di 100 coloni scendesse dall'avamposto vicino di Or Nachman, armati di bastoni e pietre. "Avevamo lasciato la nostra attrezzatura nell'auto di mio fratello e ci siamo ritirati mentre si avvicinavano", ha raccontato Afaf. Quando tornarono all'auto per fuggire, trovarono le gomme squarciate. I soldati israeliani arrivarono, arrestarono suo fratello e spararono gas lacrimogeni contro di loro.
  • Ottobre 2025: A Qaryut, circa 1.340 ulivi sono stati sfregiati dai coloni nel 2024. Uno degli agricoltori ha testimoniato: "Circa 200 ulivi sono stati distrutti questo mese dai coloni. Cento di questi alberi erano miei, inclusi 40 che crescevano da generazioni, con un'età compresa tra 15 e 40 anni. Avevo anche un nuovo pezzo di terra nel quale avevo piantato all'inizio di quest'anno circa 50 giovani ulivi. Anche quelli sono stati tagliati e spezzati a mano, deliberatamente e brutalmente".
  • Stagione 2025: L'Autorità Palestinese ha registrato 158 attacchi contro i raccoglitori di olive dall'inizio della stagione del raccolto. Nella sola prima settimana, 27 villaggi sono stati colpiti da attacchi, furto di raccolto e attrezzature, e distruzione di ulivi. Oltre 150 attacchi complessivi sono stati documentati contro i raccoglitori durante la stagione 2025, rendendola la peggiore mai registrata.

Terribile malvagità del tutto gratuita da parte di quei criminali dei coloni israeliani coperti dall’IDF. 

Metodi di distruzione e intimidazione

I coloni non si limitano a danneggiare gli alberi. I loro metodi sono sistematici e brutali:

  • Incendi dolosi: interi uliveti dati alle fiamme durante la notte
  • Taglio con motoseghe: alberi centenari abbattuti metodicamente
  • Avvelenamento: carcasse di animali in decomposizione gettate nei pozzi d'acqua
  • Scarichi di acque reflue: deliberata contaminazione delle terre agricole
  • Accumulo di rifiuti: discariche create su terreni palestinesi
  • Furto sistematico: coloni che raccolgono le olive palestinesi come se fossero proprie
  • Blocco dell'accesso: cancelli di ferro installati per impedire agli agricoltori di raggiungere i propri terreni.

E’ mai possibile definire “unica democrazia del Medio Oriente” uno Stato che non solo sopporta tali atteggiamenti delinquenziali dei propri cittadini ma che addirittura li supporta e li sostiene con il proprio esercito nelle loro scorribande di pesante brigantaggio, costituendo così vere e proprie brigate di terroristi (forse in memoria e nostalgia della banda terroristica sionista Stern)?  

L'impatto economico devastante

Il settore olivicolo è cruciale per l'economia palestinese, rappresentando circa l'8% del PIL della Cisgiordania e sostenendo oltre 60.000 posti di lavoro. Gli attacchi dei coloni israeliani hanno causato:

  • 76 milioni di dollari di danni agricoli diretti tra ottobre 2023 e fine 2024
  • Diminuzione del 19% del PIL della Cisgiordania
  • Aumento della disoccupazione al 35%
  • Perdita di 1.365 tonnellate di olio d'oliva nel 2024 a causa dell'accesso limitato.

A Gaza, dove un tempo venivano prodotte migliaia di tonnellate di olive all'anno, il 74% dell'area coltivata a ulivi è stata distrutta,  equivalente alla perdita di circa 2.290.000 alberi. Solo 4 dei 37 frantoi sono rimasti operativi.

La complicità dell'apparato militare e statale. L'impunità sistematica

Uno degli aspetti più scandalosi della violenza dei coloni è l'impunità quasi totale di cui godono. I dati dell'organizzazione israeliana per i diritti umani, Yesh Din, sono inequivocabili:

  • Solo il 3% delle indagini sui crimini ideologicamente motivati contro i palestinesi tra il 2005 e il 2024 ha portato a condanne piene o parziali
  • Il 97,4% dei reclami presentati alla polizia israeliana da palestinesi che hanno subito danni ai loro uliveti tra il 2005 e il 2013 sono stati archiviati senza incriminazioni
  • Nel 60,6% dei casi documentati, le vittime hanno scelto di non presentare denuncia, citando sfiducia nelle autorità israeliane. Nel 2024 questa percentuale è salita al 66%.

La partecipazione attiva delle forze di sicurezza

Le Nazioni Unite hanno documentato che in quasi la metà degli attacchi dei coloni erano presenti soldati in uniforme. Ma non solo presenti: spesso complici o addirittura partecipanti attivi. Numerosi testimoni riferiscono di soldati israeliani che:

  • Detengono palestinesi che cercano di difendere le proprie proprietà
  • Sparano gas lacrimogeni contro gli agricoltori
  • Bloccano l'accesso dei volontari internazionali che tentano di proteggere i raccoglitori
  • Restano a guardare mentre i coloni compiono violenze
  • Partecipano direttamente agli attacchi.

Nel luglio 2025, il generale Avi Bluth ha dichiarato apertamente e scandalosamente che lo sradicamento degli alberi era inteso a "dissuadere chiunque cercasse di alzare una mano" contro i coloni. "Ogni villaggio dovrebbe sapere che se commette un attacco, pagherà un prezzo pesante", ha affermato.

Lo smantellamento delle protezioni internazionali

Il Ministro pregiudicato Ben-Gvir ha istituito nel 2024 una task force speciale per prendere di mira gli attivisti stranieri nella Cisgiordania e accelerarne la detenzione e l'espulsione. Durante la stagione del raccolto 2024, 15 attivisti sono stati arrestati e deportati. Solo nel primo mese della stagione 2025, questo numero è più che raddoppiato. "È chiaro che la decisione di deportare gli attivisti per la solidarietà e i diritti umani era predeterminata, e tutte le 'procedure' erano solo protocollo", ha spiegato Riham Nasra, un'avvocatessa che ha rappresentato diversi attivisti internazionali deportati. "Questo lascia i palestinesi sul campo a affrontare da soli la violenza dei coloni".

Gli "Hilltop Youth": i giovani dell'odio

I principali perpetratori di questa violenza sono i cosiddetti "Hilltop Youth", giovani delinquenti israeliani – addirittura spesso minorenni – che vivono in avamposti illegali sparsi per la Cisgiordania. Si tratta prevalentemente di coloni di seconda o terza generazione che hanno abbandonato l'istruzione formale e vivono in gruppi che incoraggiano l'attivismo violento e il "ritorno alla natura" (a spese dei palestinesi, naturalmente).

Questi giovani rifiutano l'autorità delle figure politiche (inclusi i leader ufficiali dei coloni), delle figure religiose e dei genitori. Operano da fattorie e avamposti, insediamenti stabiliti senza permesso formale del governo ma che godono di fatto della protezione militare. Secondo l'organizzazione israeliana Kerem Navot, tra il 2022 e il 2024 i residenti di oltre 50 comunità palestinesi sono stati espulsi a causa della violenza dei coloni.

La strategia di trasferimento forzato. Intere comunità palestinesi cancellate

Gli attacchi non sono casuali o isolati: fanno parte di una strategia deliberata di pulizia etnica di aree strategiche della Cisgiordania. Casi emblematici:

  • Khirbet Zanuta: un'intera comunità di circa 250 persone, inclusi 100 bambini, è stata costretta ad abbandonare le proprie case nell'ottobre 2024 a causa di attacchi intensificati dopo il 7 ottobre 2023. I coloni dell'avamposto di Meitarim Farm hanno regolarmente attaccato e molestato i residenti dal 2021. L'ultima famiglia è partita il 18 ottobre 2024. "I coloni erano armati e continuavano ad attaccarci", ha raccontato l'ex residente Adel A-Tal. "Eravamo l'ultima famiglia lì. Tutti gli altri se n'erano andati, quindi abbiamo dovuto andarcene anche noi, per la sicurezza dei nostri figli e del nostro bestiame. Avevamo paura, era terrore".
  • Al-Maleh: 18 comunità nella regione di Al-Maleh nel nord-est della Cisgiordania sono già state sfollate o sono a rischio imminente di trasferimento forzato a causa della violenza dei coloni in corso.
  • Tre comunità (Ein al-Hilweh, Um al-Jmal, Al-Farsiya Khallet Khader) sono state completamente spopolate in soli 10 giorni dopo che i coloni israeliani hanno attaccato membri della comunità nelle loro case, eretto nuovi avamposti e bloccato l'accesso all'acqua.

Il Consiglio Norvegese per i Rifugiati ha stimato che l’assistenza umanitaria fornita nella regione (corrispondente a quasi un quarto di milione di euro) è stata potenzialmente compromessa, con alcuni aiuti già distrutti o saccheggiati dai coloni.

Il progetto di annessione

La violenza non è fine a se stessa: è strumentale a un progetto politico più ampio. Il villaggio di al-Mughayyir, dove sono stati sradicati 10.000 ulivi, si trova lungo la Allon Road che taglia la parte orientale della Palestina da nord a sud, correndo parallela al bordo della Valle del Giordano. Fin dal 2019 il governo israeliano ha dichiarato la sua intenzione di annettere – del tutto illegalmente naturalmente, unicamente con l’uso della forza - l'intera area a est della Allon Road, inclusa tutta la Valle del Giordano.

Nel 2025, il parlamento israeliano ha dato approvazione preliminare a un disegno di legge per imporre la sovranità israeliana sulla Cisgiordania occupata, una mossa equivalente all'annessione del territorio palestinese.

La risposta internazionale: sanzioni inefficaci, complicità, imbarazzato silenzio

Nel febbraio 2024, il Presidente Biden aveva emesso un ordine esecutivo che imponeva sanzioni a individui e organizzazioni responsabili della violenza dei coloni. L'Unione Europea aveva seguito con proprie sanzioni ad aprile 2024, inserendo nella lista nera organizzazioni di estrema destra come Lehava eHilltop Youth, oltre a diversi coloni israeliani particolarmente noti per via delle loro azioni criminali. Ma una delle prime azioni di Donald Trump, Presidente USA da gennaio 2025, è stata revocare le sanzioni imposte dal suo predecessore contro numerose organizzazioni e individui di estrema destra coinvolti in azioni violente contro i palestinesi. Il segnale politico è stato chiaro e devastante: via libera alla violenza.

L'opinione consultiva della Corte Internazionale di Giustizia

Nel luglio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso un'opinione consultiva che ha concluso che la presenza continuata di Israele nei Territori Palestinesi Occupati è illegale e che Israele ha l'obbligo di porre fine alla sua presenza illegale "il più rapidamente possibile".

La Corte ha sottolineato il dovere di Israele di trattamento umano e protezione dalla violenza per tutte le persone protette nel territorio occupato, e ha rilevato che "il sistematico fallimento di Israele nel prevenire o punire gli attacchi dei coloni contro la vita o l'integrità fisica dei palestinesi" viola il diritto internazionale. L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha successivamente chiesto a settembre 2024 a Israele di porre fine all'occupazione entro un anno. La scadenza di settembre 2025 è passata senza alcun miglioramento. Anzi, la situazione è drammaticamente e terribilmente peggiorata.

Quello che sta accadendo in Cisgiordania non è una serie di incidenti isolati o l'opera di pochi estremisti fuori controllo. È una politica sistematica, supportata dall'apparato statale israeliano, volta a rendere la vita impossibile ai palestinesi e a costringerli ad abbandonare le loro terre.

Gli ulivi sradicati, gli agricoltori aggrediti, le comunità sfollate: ogni atto di violenza è un tassello di un progetto coloniale che prosegue da oltre mezzo secolo. La distruzione di 52.300 alberi in 15 mesi non è vandalismo: è ecocidio. È cancellazione culturale. È pulizia etnica condotta albero dopo albero, famiglia dopo famiglia, villaggio dopo villaggio. Mentre la comunità internazionale osserva, spesso impotente o complice, i palestinesi della Cisgiordania continuano a resistere. Ogni olivo ripiantato, ogni tentativo di raccogliere le olive nonostante il pericolo, ogni famiglia che rifiuta di abbandonare la propria terra è un atto di resilienza quotidiana che da decenni caratterizza la resistenza palestinese.

Di Eugenio Cardi

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