15 Settembre 2025
Putin e Trump, fonte: imagoeconomica
Secondo Donald Trump i paesi Nato dovrebbero dire addio all’acquisto di petrolio russo, perché - secondo la casa Bianca - così si ridurrebbe il potere negoziale della Russia e l’America/Nato potrebbe diventare più incisiva nelle trattative di mediazione.
Questa uscita si incista nella visione trumpiana per cui occorre ridisegnare il mondo secondo un nuovo ordine dove America e Cina sono i playmaker, la Russia e l’Europa come outsider ma con la prima molto più strutturata della seconda.
Disaccoppiare all’approvvigionamento petrolifero russo per saldare l’asse dei paesi Nato di fatto non soltanto implica ormai il pieno coinvolgimento della Nato nella guerra ma nei fatti conferma le sue responsabilità nella sua spinta o il suo abbaiare alle famose porte della Russia come affermò Papa Francesco.
Il sillogismo è: se volete che io e la Nato (quindi si torna all’assioma: quel che va bene agli Usa va bene alla Nato) lavoriamo per la pace dovete abbandonare il petrolio russo. A parte che sulle capacità negoziali di Trump è lecito avere più di un dubbio soprattutto circa la questione sul perché un presidente Maga debba fare l’interesse anche dei paesi Nato o di quelli europei; e poi Trump si è dimostrato forte con chi non aveva forza negoziale ma prudente con Putin e Xi.
Ma ritorniamo al merito della richiesta perchè - altra considerazione - si ritorna alla centralità dell’energia - petrolio e gas - nella ridefinizione delle mappe geopolitiche e geoeconomiche: l’invito a non comprare più petrolio dalla Russia conferma che la Russia è ancora un fornitore di prim’ordine in un sistema economico che gira ancora attorno ai combustibili fossili. Altro che paradigmi green.
Prima di entrare nel merito di quali paesi Nato si riforniscono dalla Russia e sull’efficacia quindi dei blocchi e delle sanzioni, due righe vale la pena di spenderle su una indiscrezione scritta nelle settimane scorse dal Wall Street Journal e mai smentita in maniera categorica. Secondo il WSJ, dopo il vertice in Alaska, si sarebbero svolti dei “Colloqui segreti” tra il colosso petrolifero statunitense Exxon e il gruppo russo Rosneft per un eventuale ritorno degli americani in Russia. “Le più grandi compagnie energetiche dei loro paesi avevano già abbozzato una road-map per tornare a fare affari, sfruttando i giacimenti di petrolio e gas al largo della costa dell’estremo oriente russo. Colloqui segreti con la più grande compagnia energetica statale russa si sono svolti quest’anno e un alto dirigente della ExxonMobil ha discusso di un ritorno al Progetto Sakhalin se i due governi avessero concordato un processo di pace in Ucraina, hanno riferito persone a conoscenza delle discussioni”.
In parole povere si sta dicendo che la pace faciliterebbe il business tra Exxon e Rosnef, i cui capi si sarebbero già incontrati a Doha. E anche qui c’è un motivo: l’amministratore delegato di Rosnef, Sechin, oltre a essere un putiniano di ferro è sottoposto a sanzioni da parte degli Stati Uniti, “il che significa - precisa il WSJ - che agli americani è per lo più vietato trattare con lui senza un via libera del ministero del Tesoro. Sechin ama incontrare imprenditori stranieri e leader di governo in Qatar, il cui fondo sovrano ha una partecipazione in Rosneft. Il Qatar si è ritagliato un ruolo di mediatore neutrale nei conflitti globali”.
Domanda: perché l’America del petrolio quindi dovrebbe fare affari con la Russia mentre gli altri no? Beh, semplice: invece che comprare il petrolio raffinato dagli altri lo comprate da noi. Un po’ il film che abbiamo già visto con il gas liquido. Tra l’altro un blocco di acquisti favorirebbe l’America sul versante del prezzo: in altre parole Trump vorrebbe fare come sta facendo la Cina che paga petrolio e gas a prezzi bassi.
Altra domanda: se gli Usa vogliono farsi centrale di acquisto del petrolio russo per poi rivenderlo significa che devono bruciare i concorrenti, alcuni dei quali si dà il caso che siano sotto l’ombrello Nato. Quali sono? Il più grosso è la Turchia, che dopo lo scoppio della guerra in Ucraina è diventato il terzo acquirente dopo Cina e India. Attenzione perché la Turchia è sì un fondamentale paese Nato ma si sta avvicinando anche nell’orbita dei paesi Brics+ e dell’Organizzazione di Shanghai come osservatore.
«Soltanto nei primi sei mesi del 2025 fa notare Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia - la Turchia ha comprato greggio e prodotti petroliferi dalla Russia per 15,6 milioni di tonnellate». Altri acquirenti di petrolio russo - con percentuali decisamente inferiori e con deroghe della Ue - sono la Slovacchia e l’Ungheria (fino ad aprile lo era anche la Repubblica Ceca) che, nel primo semestre, hanno acquistato petrolio e prodotti derivati rispettivamente per 3 milioni di tonnellate, 2,2 milioni e mezzo milione. «In base al prezzo medio del greggio - stima Tabarelli - questi quattro Paesi hanno finanziato la Russia per circa 10 miliardi di euro nei primi sei mesi dell’anno».
La lavorazione del gas comprato dai russi finisce in Europa, e ovviamente anche in Italia con buona pace delle sanzioni. Questo accade per lo più con India e Turchia, terminali attraverso i quali si aggirano le sanzioni: «Solo l’Italia - dice Tabarelli - nei primi sei mesi, ha comprato dall’India jet fuel per 220 mila tonnellate, cioè per circa 144 milioni di euro. A livello di Ue, si sale a 2,2 milioni di tonnellate di prodotti petroliferi dal Paese asiatico e si arriva a 2,4 considerando anche la Turchia. Si può quindi stimare che Ue e Turchia abbiano pagato all’India, nel primo semestre, circa 1,5 miliardi di euro per prodotti originati per due terzi dalla Russia». Insomma, contando anche il gas, il legame tra Europa e Paesi della Nato con gli idrocarburi di Mosca è duro a morire. Forse perché è fondamentale per muovere le economie. Trump lo sa e si sta muovendo da uomo di affari.
di Gianluigi Paragone
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