10 Settembre 2025
Altro che Oscar: stavolta il cinema internazionale punta il dito (e pure il megafono) contro Israele. Con un’iniziativa dal nome sobrio come una sassata in vetrina – Film Workers for Palestine – oltre 1300 tra attori, registi e tecnici hanno firmato un impegno: niente più collaborazioni con istituzioni culturali israeliane considerate “complici” di genocidio, apartheid e insabbiamenti vari. E no, non è la trama di un film distopico. È tutto vero.
Tra i volti noti che hanno alzato la mano ci sono Olivia Colman, Tilda Swinton, Mark Ruffalo (sempre pronto a spaccare, pure fuori dai film Marvel), Javier Bardem, Susan Sarandon e Ken Loach, che il fioretto con Israele lo aveva già fatto partire tipo vent’anni fa.
La dichiarazione – lanciata con enfasi apocalittica stile trailer da festival di Cannes – sostiene che “il cinema può cambiare le percezioni” e che, vista la carneficina in corso a Gaza, è ora di “fare tutto il possibile per rompere la complicità”. Tradotto: niente film ai festival israeliani, niente strette di mano con emittenti e produttori locali. Chi collabora, è fuori.
La risposta? La Israeli Producers Association scuote la testa: “State colpendo le persone sbagliate”. Ma i firmatari, che si rifanno al boicottaggio culturale anti-apartheid sudafricano (quello con Scorsese e soci), non mollano: “Non è contro gli israeliani, è contro le istituzioni che chiudono un occhio mentre si bombarda”.
E così, tra un tappeto rosso e una standing ovation, Hollywood tira fuori la politica… con regia drammatica e inquadrature molto, molto critiche.
Di Aldo Luigi Mancusi
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