09 Settembre 2025
Macron, imagonoeconomica
Si scrive Bayrou ma è fin troppo evidente che si legge Macron. Lo hanno scritto e detto tutti nelle ultime ventiquattr’ore. E c’è assolutamente del vero e ne parleremo. Ma non basta esaurire la crisi francese con le responsabilità del presidente della Repubblica: se si mettono in controluce molti accadimenti degli ultimi vent’anni, specie degli ultimi quindici, sarebbe miope non vedere la crisi del più ampio paradigma con cui è stata edificata l’Unione europea. Insomma, la crisi della Francia è lo specchio di quel che doveva essere il “miracolo europeista” (e invece è stato altro).
Bayrou ci ha provato ma ha pagato l’errore di un parlamento nazionale uscito dal grave errore di valutazione commesso da Macron quando, frettolosamente, sciolse anticipatamente le Camere riavvolgendo la Francia con solito nastro adesivo del “tutti contro Marine”. È il peccato originale degli ultimi decenni politici in terra francese, da quando cioè sotto le insegne dei Le Pen - ma molto più realisticamente con Marine - si sono prima destrutturate le società e poi riaggregate portando a destra operai, lavoratori e cittadini stanchi di vedere i propri sobborghi urbani alla mercé di un modello integrazione che cominciava a mostrare crepe evidenti. La Le Pen era un doppio pericolo perché intanto avrebbe portato la Francia nel club degli euroscettici e in second’ordine avrebbe - o almeno così ci viene da dire prestando orecchio alla predicazione di Marine - smontato le politiche di immigrazione. Insomma sarebbe stata la certificazione del fallimento degli ultimi mandati presidenziali.
Allentare l’europeismo da Parigi sarebbe stato un segnale importante, tra l’altro in linea con una popolazione che non ha mai amato l’Europa a tal punto di indebolire la propria identità nazionale, come conferma l’esito del referendum sul trattato di Lisbona dopo il fallimento della Convenzione europea (cioé l’assemblea costituente) tra l’altro retta dal francese Giscard d’Estaing. Allentare l’Unione europea e rimettere l’accento su economia reale, salari, lavoro e politiche familiari - secondo quel che dovrebbe essere la tesi dei conservatori e dei sovranisti - è esattamente quel che oggi provoca lo scollamento tra il Presidente Macron e i francesi. La crisi della Francia è, come dicevamo, lo specchio di quel che era stato venduto come un “miracolo europeista” venduto all’insegna del “facciamo tutto noi, cioé le élite, e vedrete che starete meglio” e che invece si è rivelato come una lenta consunzione di quella forza comune data dal patto tra impresa, lavoro e Stato. In Francia come in Italia, in Spagna, in Portogallo, in Grecia. Ora persino la Germania, cioé il kingmaker della Ue, è entrata in crisi sebbene per motivi diversi.
La Francia da tempo ribolle di tensioni sociali che Macron ha sperato di addomesticare a volte trattando altre volte portando lo scontro a inasprirsi. Le cause delle rivendicazioni - che hanno caratterizzato sempre e soltanto lavoratori e piccoli imprenditori come per esempio gli agricoltori - sono nelle pieghe della costruzione neoliberista dell’Unione europea, la cui architettura ha sempre puntato sulla rinuncia a usare la leva della spesa pubblica anche come compensazione delle asimmetrie create dallo strapotere della finanza. Siamo sempre fermi lì, in Francia come in Italia: i conti sono in ordine (quelli dell’Italia sì, quelli della Francia no) ma non c’è ossigeno per muovere la domanda interna. La riforma del patto di stabilità poteva essere scritta cambiando progressivamente il riferimento politico con cui finora la Ue ha comandato le linee finanziarie sui governi.
Con la guerra in Ucraina Macron ha esasperato i problemi, ha allargato le crepe, spingendo sul finanziamento del comparto militare e sugli investimenti nella digitalizzazione, Intelligenza artificiale in testa; ha parlato un linguaggio all’insegna dell’interventismo non percependo che le priorità della sua gente erano ben altre. Ora si può anche sostenere che è compito delle classi dirigenti sfidare anche il popolo se le sfide sono storiche: concordo ma se si storico non c’è nulla ed è fin troppo evidente che l’interventismo francese è un altro frutto avvelenato del neoliberismo e del primato della finanziarizzazione su società ed economia, allora ha ragione il popolo. E al prossimo giro di elezioni anche in Francia potrebbe accadere quel che è accaduto in Italia: una vittoria di un centrodestra più nazionalista.
di Gianluigi Paragone
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