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La Groenlandia contesa: autonomia fragile in un Artico sempre più militarizzato un laboratorio geopolitico fra Usa, Russia e Cina

Nelle acque gelide e apparentemente remote dell’Artico si gioca oggi una delle partite geopolitiche più delicate e pericolose del nostro tempo

06 Settembre 2025

Artico, ipotesi scambio tra USA e Russia: Groenlandia in cambio delle Isole Svalbard, territori ucraini e accordo su basi NATO e Stretto di Bering - RETROSCENA

Nelle acque gelide e apparentemente remote dell’Artico si gioca oggi una delle partite geopolitiche più delicate e pericolose del nostro tempo. Al centro di questo nuovo “Grande Gioco” non c’è una superpotenza, né un alleato consolidato, ma una terra dai confini liquidi e dall’identità in via di definizione: la Groenlandia. Isola autonoma ma non indipendente, legata alla Danimarca da un complesso intreccio di storia coloniale e dipendenza economica, la Groenlandia è diventata un obiettivo strategico conteso da Stati Uniti, Cina e Russia. Ma è anche – e soprattutto – un Paese con una sua voce, un suo popolo e una sua volontà di autodeterminazione. Nel 2024, il governo guidato da Múte B. Egede ha pubblicato la strategia “Groenlandia nel mondo: niente su di noi senza di noi”, un titolo che riassume perfettamente la tensione crescente tra le ambizioni locali e le mire globali. Ma la realtà è che quel “senza di noi” sembra essere ancora la regola per molte grandi potenze.

La nuova corsa all’Artico

L’Artico non è più solo un ecosistema da proteggere, ma una vera e propria frontiera geopolitica. Le sue rotte marittime, sempre più navigabili per via del riscaldamento globale, promettono scorciatoie commerciali tra Europa e Asia. I suoi fondali custodiscono riserve ingenti di minerali strategici, idrocarburi e terre rare. In questo contesto, la Groenlandia – con la sua posizione tra America del Nord ed Europa, e la sua abbondanza di risorse – è divenuta oggetto di un corteggiamento aggressivo, spesso travestito da cooperazione.

Nel settembre 2025, la miccia è stata accesa nuovamente da dichiarazioni incendiarie del presidente statunitense Donald Trump, tornato alla Casa Bianca. “La Groenlandia ci serve”, ha detto, rilanciando con tono minaccioso una proposta di annessione mai realmente abbandonata dai circoli più espansionisti di Washington. Dietro l’apparente eccentricità del tycoon si cela una visione freddamente strategica: la Groenlandia non solo ospita la base militare di Pituffik, centrale per il sistema di allerta della difesa statunitense, ma rappresenta un asset cruciale per contenere Russia e Cina. Eppure, gli strumenti utilizzati per consolidare questa influenza non sono più quelli tradizionali della diplomazia, bensì operazioni occulte, influenze culturali e penetrazione economica.

Interferenze americane: più che soft power

Secondo un’inchiesta dell’emittente pubblica danese DR, tre uomini legati all’entourage trumpiano sarebbero stati coinvolti in una rete segreta di influenza politica in Groenlandia. L’obiettivo? Alimentare il risentimento verso la Danimarca, creare spaccature interne e avvicinare la popolazione locale all’idea – oggi largamente impopolare – di un’unione con gli Stati Uniti. Uno di loro avrebbe chiesto a cittadini groenlandesi di segnalare episodi da usare contro Copenaghen; gli altri due cercavano contatti tra imprenditori, politici e attivisti. Un’operazione su piccola scala ma con ambizioni grandi: preparare il terreno per una futura secessione, con Washington pronta a offrire protezione, sviluppo e “amicizia strategica. Copenaghen non è rimasta in silenzio: il Ministero degli Esteri ha convocato d’urgenza l’incaricato d’affari statunitense, segnando uno dei momenti di maggior tensione diplomatica tra Danimarca e USA negli ultimi decenni. E non è un dettaglio che Washington, a settembre, non abbia ancora nominato un ambasciatore per la Danimarca.

Pechino e Mosca: strategie divergenti, ambizioni convergenti

Se gli Stati Uniti tentano l’influenza politica e militare, la Cina ha preferito in passato la via degli investimenti. Negli anni Dieci, Pechino ha cercato di trasformare la Groenlandia in un nodo della “Via della Seta polare”, finanziando miniere, porti e aeroporti. Ma la reazione del governo groenlandese – che nel 2021 ha vietato l’estrazione di uranio – e le pressioni USA-UE hanno fatto fallire i progetti cinesi. Tuttavia, Pechino non ha abbandonato l’Artico. Ha semplicemente cambiato rotta: oggi collabora con Mosca sul Mare del Nord e si propone come partner tecnologico per la gestione delle rotte artiche. Meno visibile, ma non meno ambiziosa. La Russia, invece, non cerca la penetrazione economica ma il controllo strategico. Per il Cremlino, la Groenlandia è un nodo chiave del dispositivo NATO nel Nord Atlantico. La base di Pituffik, insieme alla crescente cooperazione tra Washington e Copenaghen, viene percepita come una minaccia diretta. Mosca ha risposto rafforzando la sua flotta artica, riattivando basi sovietiche e intensificando le esercitazioni militari. Ma la sua narrativa ufficiale denuncia la “militarizzazione unilaterale” dell’Artico da parte occidentale, posizionandosi come difensore dell’equilibrio regionale.

Una secessione possibile, ma non ancora sostenibile

La vera domanda, tuttavia, è se la Groenlandia sia pronta per l’indipendenza. Politicamente, il desiderio c’è: alle elezioni del marzo scorso ha prevalso una maggioranza autonomista, anche se cauta. Giuridicamente, il “Self-Government Act” del 2009 prevede la possibilità di indire un referendum. Ma economicamente, la strada è in salita: oltre il 50% del bilancio groenlandese dipende ancora dai trasferimenti danesi.

A ciò si aggiungono fragilità sociali gravi: alcolismo diffuso, disoccupazione giovanile, emigrazione, carenza di infrastrutture e capitale umano qualificato. La recente chiusura dell’aeroporto di Nuuk per problemi di formazione del personale di sicurezza – con conseguente sospensione dei voli internazionali – è solo l’ultimo campanello d’allarme. E qui rientrano gli “aiutiesterni: ciò che oggi si presenta come supporto tecnico, domani potrebbe diventare dipendenza politica. La promessa americana di sviluppo e protezione rischia di sostituirsi a quella danese, senza però garantire più sovranità effettiva.

Conclusione

La Groenlandia è oggi un laboratorio geopolitico unico: luogo di incontro – e scontro – tra autodeterminazione e ingerenze, tra ecologia e militarizzazione, tra interessi locali e agende globali. Ogni mossa compiuta nell’isola avrà ripercussioni ben oltre le sue coste. E ogni errore – politico, diplomatico o militare – rischia di trasformare questa fragile transizione verso l’indipendenza in un dramma internazionale. Come giornalisti e come cittadini europei, non possiamo permetterci di guardare altrove. L’Artico non è più lontano. La Groenlandia è già qui.

Di Riccardo Renzi

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