25 Agosto 2025
I soliti noti del cinema italiano, quelli bravi a firmare petizioni e molto meno a riempire le sale, stavolta se la prendono con due star vere: Gerard Butler e Gal Gadot. L’accusa? Troppo filo-israeliani per calcare il red carpet della Mostra del Cinema di Venezia. La richiesta? Semplice: cacciarli via per far posto… a una sfilata con bandiere palestinesi.
Il gruppo dietro questo teatrino si fa chiamare Venice4Palestine – nome altisonante per un mix di attivisti, giornalisti e artisti che nessuno fuori dai circoli autoreferenziali conosce. Hanno inviato una nuova lettera alla Biennale chiedendo che Butler e Gadot vengano esclusi perché “sostengono pubblicamente il genocidio” (cit.). E ovviamente – udite udite – pretendono loro di sfilare sul tappeto rosso, portando con sé la loro indignazione confezionata per Instagram.
Ma davvero vogliamo paragonare il peso artistico di Gerard Butler e Gal Gadot – volti di blockbuster globali, amati dal pubblico, professionisti di calibro internazionale – con quello di attori e registi nostrani che, al massimo, incassano un paio di applausi in rassegne locali? Con tutto il rispetto per Bellocchio, Morante, Garrone e compagnia cantante: qui non si parla di arte, ma di propaganda.
E sia chiaro: essere pro Israele non è – e non dovrebbe mai essere – un criterio per l’esclusione da un evento culturale. Anche perché, altrimenti, si aprirebbe la porta a una censura selettiva dove l’ideologia pesa più del talento. E quello, Gadot e Butler, lo hanno dimostrato sul campo. Non basta alzare la voce in un comunicato o piazzare una firma online per avere lo stesso spessore.
E parliamoci chiaro: molti di questi artisti italiani usano la causa palestinese per guadagnarsi un attimo di visibilità, magari sperando in un’intervista o in qualche follower in più. Ma la Mostra del Cinema non è un megafono per slogan politici, né una passerella per chi cerca hype.
La Biennale, nella sua risposta diplomatica, ha ricordato che il festival è “un luogo aperto al confronto”. Giusto, ma il confronto non significa dare spazio a chi fa processi pubblici contro chi non la pensa come loro. Altrimenti, tanto vale cambiare il nome dell’evento in “Festival dell’Intolleranza Selettiva”.
Gerard e Gal, il red carpet vi aspetta. Gli altri? Al massimo la zona selfie fuori dal Lido.
Di Aldo Luigi Mancusi
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