22 Settembre 2023
"Ogni singolo inglese discende da un migrante, e i Britanni furono i primi neri". È solo una delle molte affermazioni fantasiose contenute in Brilliant Black British History, il libro illustrato dell’autrice britannica di origini nigeriane Atinuke. L’opera, pubblicata da Bloomsbury e promossa dalla charity "The Book Trust", si presenta come un volume di storia destinato ai bambini a partire dai sette anni.
Sin dalle prime pagine, però, emergono evidenti forzature e ricostruzioni altamente discutibili. Nell’introduzione, per esempio, si legge che “l’Inghilterra è stata abitata da persone nere per 7.000 anni prima dell’arrivo dei bianchi”, e che durante quel periodo sarebbe stato eretto Stonehenge, il monumento più celebre del Regno Unito. Una narrazione che si scontra con le ricerche scientifiche più recenti, secondo cui la pigmentazione dei primi abitanti delle isole britanniche era tendenzialmente chiara, in netto contrasto con quanto sostenuto nel libro, dove l’antico Cheddar Man viene descritto come “più scuro di così non si può”.
Il racconto continua nell’epoca romana, con l’illustrazione di un improbabile legionario nero che combatte contro un guerriero celtico bianco. Secondo l’autrice, l’Impero Romano avrebbe deciso di invadere la Britannia solo dopo aver fallito la conquista del regno africano di Nubia, ignorando completamente il fatto che Roma e Nubia raggiunsero un accordo pacifico già sotto l’imperatore Augusto, morto nel 14 d.C., mentre la spedizione romana in Britannia avvenne nel 43 d.C.
Anche il medioevo viene reinterpretato attraverso una lente dichiaratamente revisionista. Atinuke dipinge un’Inghilterra medievale come un crocevia di popoli – celti, romani, britanni, anglosassoni, vichinghi, africani e normanni – che avrebbero contribuito, indistintamente, alla nascita dell’inglese moderno. Tuttavia, nel testo non c’è traccia dell’invasione anglosassone, né tantomeno di quella normanna del 1066, passaggi fondamentali per comprendere lo sviluppo linguistico e culturale della nazione.
Nel periodo Tudor e Stuart, la narrazione si fa ancora più audace: il libro sostiene l’arrivo in massa di popolazioni musulmane nere, portatrici di innovazioni in medicina, matematica, tessitura e navigazione. Secondo l’autrice, il Regno Unito avrebbe continuato a essere influenzato da queste comunità fino al secondo dopoguerra, quando, a detta sua, il governo britannico avrebbe invitato apertamente le popolazioni delle colonie a trasferirsi in massa per contribuire alla ricostruzione postbellica.
L’uscita di questo libro ha suscitato reazioni molto dure da parte del mondo accademico, preoccupato per i messaggi trasmessi ai lettori più giovani. Molti studiosi parlano apertamente di disinformazione. Il professor Zareer Masani, docente a Oxford e membro della Royal Historical Society, ha commentato: “Siamo davanti a un classico esempio della cultura woke che sta prendendo piede nelle scuole e università. È un lavaggio del cervello basato su falsità e confusione”.
Ancora più severo il giudizio dello storico David Abulafia, professore emerito a Cambridge: “I nazisti sostenevano che le grandi opere del nord Europa fossero state realizzate da popoli biondi e dalla pelle chiara. Usare oggi il colore della pelle per rivendicare monumenti come Stonehenge non è un’idea nuova – è solo un altro esempio di pseudoscienza. Sarebbe originale solo se sostenessero che quei costruttori fossero verdi o blu”.
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