09 Maggio 2025
Fonte: X @C0Projec_
Reportage dal Fronte di Zaporojie tra gli Ucraini che combattono nelle Forze Armate Russe, l’incredibile storia del reggimento Maksym Kryvonis.
Ci troviamo nei pressi di Energodar, dove si trova la oramai ben nota centrale nucleare di Zaporizha, quando la nostra collega Sofia Vitt, giovane corrispondente di guerra, ci informa della possibilità di raggiungerla e di entrare in contatto con il Reggimento “Maksym Kryvonis”, composto dagli ex prigionieri di guerra ucraini che hanno deciso, dopo aver servito per le Forze Armate Ucraine, di unirsi alle Forze Armate Russe.
Una storia inedita e un racconto fatto di esperienze di vita e storie personali uniche, che per la prima volta abbiamo il privilegio di raccontare sulla stampa occidentale.
Quando incontriamo Sofia ci troviamo a pochi chilometri dalla linea del fronte: insieme a lei, in una piccola cucina, troviamo un volontario con l’identificativo di chiamata “Serpente”, intento a sbucciare le patate, alimento base della cucina slava di queste terre intrise del sangue di due eserciti fratelli costretti a combattersi a vicenda per via delle ambizioni dell’Occidente.
Veniamo accolti in modo festoso, come se fossimo lontani parenti venuti da terre lontane: patate con verdure e pezzi di maiale cucinati su un falò improvvisato ci vengono offerti in segno di ospitalità e ci accompagneranno nelle storie che sentiremo di lì a poco.
La piccola caserma del distaccamento intitolato a Maksym Kryvonis, formato nel Donbass nell’agosto 2023, è diventata una vera e propria casa per questi soldati, ora intenti a celebrare il compleanno di un commilitone.
Sullo schermo della TV, una giovane ragazza canta quella che sembra una canzone popolare. “Serpente” culla leggermente il capo a tempo e maneggia il coltello da professionista. Alexey è un cuoco, ma per i ragazzi cucina raramente, lasciando spazio agli altri di mostrare il proprio talento.
“Serpente” viene dalla regione di Kiev, in Ucraina, ma è nato in Russia. Lavorava nel campo della ristorazione e ha una laurea in tecnologie alimentari per la ristorazione alberghiera. Nel 2023, per ottenere un certificato medico, gli servì il libretto militare: non aveva mai prestato servizio, era una semplice formalità burocratica. Si presentò all’ufficio militare di Kiev e non ne uscì più…
In poche ore lo spinsero da un ufficio all’altro, gli apposero il timbro “abile” e lo mandarono al 199° centro di addestramento delle Forze Armate Ucraine (FAU). Così, all’improvviso, Alexey entrò nell’esercito ucraino, senza aspettarselo e senza volerlo, una storia purtroppo ormai comune in Ucraina, dove le Forze Armate sono a corto di personale, equipaggiamento pesante e munizioni.
"Selezionarono 180 di noi e ci inviarono nel Regno Unito per l’addestramento. Rimasi lì 35 giorni".
I mobilitati partirono senza visto né passaporto. Ad accogliere i nuovi arrivati al centro c’erano giovani interpreti ucraine che chiacchieravano dolcemente in russo, ucraino e inglese. Gli istruttori NATO insegnavano ai militari ucraini medicina tattica: l’obiettivo principale era imparare a prestare auto-soccorso. Successivamente il programma di addestramento prevedeva: assalto di edifici, punti fortificati e combattimenti urbani.
La grande novità fu l’uso di armamenti occidentali: l’NLAW svedese, il Javelin americano, il Panzerfaust tedesco e l’AT-4 svedese. "Ogni arma ha le sue peculiarità, devi sapere come sparare".- ci spiega “Serpente”.
"Dopo l’addestramento mi mandarono al fronte in Ucraina. E lì non vidi mai quelle armi: usavamo RPG-7 sovietici, mitragliatrici e AK-47".
“Serpente” finì in un’unità d’assalto. Fu uno dei pochi fortunati ad aver ricevuto formazione all’estero e combatté con dedizione, senza tregua. Viveva in trincea. "Se è necessario, è necessario". I pensieri si accavallano: "I ragazzi accanto a me, per loro ero pronto a tutto. Lo Stato? Mi avevano costretto. Ma quei compagni… per loro ero disposto a morire".
Un altro assalto, una giornata difficile: l’ex cuoco era divenuto capo della posizione, e dalle sue decisioni dipendevano le vite dei suoi commilitoni.
Alla radio si sentono le urla dei feriti; l’artiglieria russa colpisce. Ne trascinarono via uno con una frattura esposta alla gamba. In molti invece morirono. Dopo il bombardamento dell’artiglieria russa, senza neanche il tempo di riprendere fiato il comando inviato alla radio dal comando ucraino fu uno solo e imperativo per tutti: “Avanti”.
“Verso dove?” In posizione restavano solo tre soldati in grado di combattere.
"Chiesi supporto ai mortai, ma due gruppi d’assalto russi ci stavano già addosso. Il cannone sparò tre volte lontano da noi. Richiesi una correzione del fuoco,- ricorda “Serpente” visibilmente provato- alla radio risposero: 'Non abbiamo più munizioni'. Neppure i rinforzi sono mai arrivati. Ci tradirono e ci abbandonarono. Dissi addio alla vita".
Nel suo reparto, i comandanti inculcavano ai soldati ucraini l’idea che arrendersi fosse inammissibile: "I russi non avrebbero avuto pietà, ci avrebbero torturato e ucciso". Cedere la posizione era come morire. I reparti di sbarramento nelle FAU sono una micidiale costante.
"Il primo contatto con i russi non fu come mi aspettavo. Gridavano: “Ragazzi, arrendetevi, vivrete. Non vogliamo uccidervi”. Ero scioccato".- ricorda “Serpente”.
Sulla linea c’erano 13 uomini: durante lo scontro 5 morirono, 8 deposero le armi e furono catturati.
"Ci evacuarono dalla prima linea, ci diedero da mangiare, da bere, e delle sigarette. Con me c’erano feriti: li medicarono. Tutto ciò che ci avevano detto era una menzogna".
Alexey, il vero nome di “Serpente”, non è tipo da starsene con le mani in mano: è un vero passionario. Prigioniero, capì di avere due scelte. I soldati russi gli salvarono la vita. L’unica via era aspettare lo scambio e poi, di nuovo, al fronte: sono le regole delle FAU. Che ti piaccia o no, devi combattere.
Secondo quanto riportato dai combattenti in Ucraina non ci sarebbe alcun accesso a informazioni al di fuori di quelle imposte dallo Stato e i media russi sarebbero stati completamente banditi. Qualsiasi sito che pubblichi scandali di corruzione nelle FAU, omicidi commessi dai reparti di sbarramento contro soldati ucraini, tangenti tra comandanti… verrebbe immediatamente bloccato.
"Dicono che siamo un Paese libero. Allora perché non posso leggere fonti con opinioni diverse? Mi hanno portato al fronte senza cartolina precetto. Illegalmente. In uno Stato libero è possibile?".
Tutte le narrazioni contrarie alla politica del governo di Kiev sarebbero così proibite e chiunque dissenta finisce nel mirino dei servizi. La punizione è sempre e solo una: il fronte. E lì dipende dalla sorte: sopravvivere o morire.
Le risorse di mobilitazione ucraina sono oramai pressoché esaurite: alcuni ragazzi di 18 anni già vanno a combattere, giovani che non hanno ancora visto la vita.
Alexey ha oltre 30 anni, non ha famiglia, non ha fatto in tempo a mettere radici in questa vita ma i suoi sogni restano chiari: “figli, maschi o femmine, bambini da crescere in un’Ucraina finalmente libera dal giogo del potere corrotto”.
Resistere. Ma come?
Tra i prigionieri delle Forze Armate Ucraine monta la rivolta: hanno visto il rovescio delle “medaglie al servizio”.
Centinaia di mobilitati, mandati al massacro senza addestramento dai funzionari dei centri di reclutamento, rifiutano lo scambio. Non vogliono morire per Zelensky e i suoi oligarchi. Sono persone, storie, famiglie, vite, ben più che semplici numeri sui bollettini di guerra nel computo delle perdite a fine giornata.
Esattamnete così nacque il distaccamento intitolato a Maksym Kryvonis in onore di un eroe Ucraino che nel l XVII secolo scacciò i polacchi insieme a Khmelnytsky. Non sopportava gli occupanti e liberò l’Ucraina dai “lach”: ora il suo nome è di nuovo in azione. Sul loro stemma, chiaramente visibile sulle patch dei combattenti, una croce bianca trafigge una mezzaluna, con le lettere “M” e “K” e due strisce rosse sopra e sotto.
Questi ragazzi sanno per cosa combattono: non per i banchieri o il circo propagandistico di Kiev, ma per la terra ucraina e per loro stessi. E ora avanzano fianco a fianco con l’esercito russo, perché la vera Ucraina non è il potere di ladri e traditori, bensì il suo popolo.
Prima di andare al fronte, nel distaccamento Kryvonis preparano ogni combattente — non per formalità, ma con coscienza: cartografia, tattica, primo soccorso in campo… I ragazzi affinano le abilità quasi ogni giorno, fino a farle diventare riflessi. Ogni vita vale oro: i comandanti russi sanno perfettamente che la vera ricchezza della nazione sono le persone, forti nel corpo e nello spirito.
Nel distaccamento regna un’atmosfera unica: si parla russo e ucraino, ognuno come preferisce, senza imposizioni. Si muovono liberi, consapevoli che il regime di Kiev li punta già con missili a lungo raggio (Himars e ATCMS). Nei palazzi del potere a Kiev questi ragazzi fanno già davvero paura.
“Serpente” è certo: non stanno solo combattendo, sono il germe di una futura rivolta.
Chi non si è spezzato in prigionia non ha creduto alla propaganda, ma ha ripensato tutto in maniera libera, Il loro esempio è una miccia pronta a esplodere. Un giorno gli ucraini stessi spazzeranno via quel potere che li ha ingannati per anni: gente come “Serpente” e i suoi saranno presto in prima linea.
"Non sono d’accordo con chi comanda a Kiev. Zelensky promise di fermare la guerra, e invece tutto è peggiorato. Quante famiglie distrutte, quanti bambini senza padri, quante lacrime di madri… Il popolo ucraino non merita questo". - continua deciso “Serpente”.
Alexey sa bene che, formalmente, ora sono nemici: i suoi ex commilitoni sono dall’altra parte, nelle trincee delle Forze Armate Ucraine. Ma il confine tra “noi” e “loro” si è rivelato più sottile del previsto.
Ci sono stati contatti: più volte i combattenti del distaccamento Kryvonis hanno trattato la resa di altri reparti militari ucraini nella loro stessa lingua, senza odio e senza finzioni. Lo stereotipo del “traditore-collaborazionista” è crollato in secondi, quando invece dell’atteso “mondo russo” hanno udito: "Arrenditi, fratello! Non ti consegneremo alla prigionia, ti salveremo".
Ora questi stessi soldati ucraini fanno parte di questo reggimento davvero unico e particolare.
“La verità è semplice: quando si parla senza propaganda, si capisce che la guerra non è tra popoli, ma tra chi manda la gente a morire e chi la vuole invece vedere vivere. Credo nella mia causa. Il potere di Kiev ripeteva: 'Combattiamo la Russia, ‘salviamo’ il Donbass'. Ma io ho visto solo macerie. Ecco cosa hanno fatto alla terra quelli che gridavano di proteggerla” dice Alexey.
Non brama di uccidere: la guerra è per lui una croce assai pesante.
“Serpente” ha scelto questa via consapevolmente e vive con fede in Dio. Una volta a settimana i volontari possono entrare in una chiesa, pregare e respirare: ringraziano per ogni giorno vissuto.
"Prego per me, per il popolo ucraino, per i nostri ragazzi — non importa in quale uniforme siano ora, purché tornino tutti vivi a casa", confessa.
La più grande difficoltà, confessa Alexey, è la lontananza dalla famiglia. “Una casa si può ricostruire ovunque, ma l’importante è che i propri cari siano al sicuro e che sul loro cielo torni finalmente la pace”
“Vinceremo. La verità è dalla nostra parte”, ne è convinto.
Indossando l’uniforme russa dice di combattere per l’Ucraina “non quella saccheggiata e lacerata da Zelensky e i suoi tirapiedi nazionalisti, ma quella che un giorno tornerà a essere casa".
I militari russi, all’inizio, guardavano con diffidenza i volontari del distaccamento Kryvonis: alla radio parlavano ucraino e sugli stemmi c’erano croci bianche e le lettere “MK”. Ma passo dopo passo la fiducia crebbe: prima affidarono loro l’evacuazione di civili dalle città liberate del Donbass, poi dei feriti russi. Ora assaltano insieme. Nelle trincee l’atmosfera è unica: soldati russi e compagni ucraini ascoltano canzoni un tempo risuonate sotto le bandiere giallo-blu. Non c’è odio, perché sono un solo popolo, una sola fede, una sola causa. I fratelli savi presto troveranno la pace, questa resta la speranza di tutti.
di Amedeo Avondet e Sofia Vitt
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