13 Aprile 2025
Il movimento civile e democratico sudanese “Sommoud” ha invitato le parti coinvolte nel conflitto militare nel paese, in particolare l’esercito sudanese guidato da Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Consiglio di Sovranità Transitorio, a rispondere agli appelli per avviare immediatamente negoziati per porre fine alla guerra.
Analisti ed esperti concordano sul fatto che l’azione legale intrapresa dall’esercito sudanese contro gli Emirati Arabi Uniti presso la Corte Internazionale di Giustizia sia volta principalmente a distogliere l’attenzione dai crimini commessi contro i civili e dalla drammatica crisi umanitaria: 30 milioni di persone sull’orlo della carestia e 16 milioni di sfollati, secondo le ultime stime. Questa mossa avrebbe anche l’obiettivo di sabotare gli sforzi di pace e ottenere una legittimità che permetta all’esercito di proseguire la guerra.
Reem Ketait, vice assistente al Ministero degli Affari Esteri e rappresentante degli Emirati a L’Aia, ha respinto le accuse sudanesi, definendole “ingannevoli, false e un tentativo di strumentalizzare la giustizia internazionale”.
Abdallah Hamdok, ex Primo Ministro sudanese e presidente del movimento “Sommoud”, ha rigettato l’affermazione dell’esercito secondo cui una soluzione militare potrebbe porre fine all’attuale crisi.
Hamdok ha esortato Burhan a cedere agli appelli per negoziati che consentano di porre fine alla guerra e alle sofferenze inflitte al popolo sudanese da due anni, che hanno causato ingenti perdite umane e materiali.
Anziché questa “manovra mediatica”, come l’ha definita Anwar Gargash, consigliere diplomatico del presidente degli Emirati, Hamdok invita l’esercito sudanese a guardare verso Londra.
La capitale britannica ospita infatti una riunione dei capi dell’Unione Europea dedicata alla crisi sudanese e ai mezzi per porre fine alla guerra e ai conflitti armati in corso dal aprile 2023.
Il portavoce del movimento “Sommoud”, Jaafar Hassan, ha dichiarato al sito “Sudan Tribune” che Hamdok ha inviato giovedì 10 aprile 27 lettere ai capi di Stato dell’Unione Europea. In questi messaggi, intitolati “Appello per la pace in Sudan”, Hamdok chiede di fare della pace e della fine della guerra civile una priorità assoluta in questa fase critica. Le lettere delineano tre assi principali per raggiungere la pace, la stabilità e la fine delle sofferenze dei civili:
Riprendere i negoziati militari sulla base della Dichiarazione di Gedda. Stabilire un corridoio umanitario per proteggere i civili e garantire la consegna degli aiuti. Avviare un dialogo politico tra le diverse forze civili sudanesi al fine di giungere a una roadmap per un futuro stabile e prospero.
L’Unione Europea ha inoltre annunciato un aiuto di oltre 282 milioni di euro per far fronte ai bisogni umanitari più urgenti in Sudan e per sostenere i rifugiati nei paesi vicini. Inoltre, 160 milioni di euro sono stati specificamente destinati alle aree più esposte alla carestia e all’insicurezza alimentare.
Il capo del Consiglio di Sovranità sudanese, Abdel Fattah al-Burhan, continua a respingere sistematicamente tutte le iniziative di dialogo con le altre parti coinvolte nel conflitto. Lo scorso gennaio, durante una conferenza stampa congiunta con il presidente della Guinea Equatoriale, Burhan aveva dichiarato di rifiutare ogni negoziazione con le Forze di Supporto Rapido (FSR), escludendo qualsiasi loro rappresentanza nel futuro del Sudan.
A marzo, ha ribadito il suo rifiuto categorico al dialogo, dichiarando: “Non ci saranno negoziati finché le FSR non deporranno le armi”, dopo che l’esercito aveva ripreso il palazzo presidenziale a Khartoum. Ha aggiunto dalla città di Gedaref, a est del paese: “Non abbiamo nulla da dire. Nessuna discussione. Solo guerra fino alla fine.”
Questa posizione rigida ha suscitato numerose critiche sia interne che internazionali, mentre le sofferenze del popolo si aggravano. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha stimato in circa 15 milioni il numero degli sfollati interni dall’inizio del conflitto.
Anche le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme sulla sicurezza alimentare, avvertendo di una carestia imminente in alcune regioni, in particolare quelle dove la consegna degli aiuti è diventata estremamente difficile.
Reem Ketait, alta diplomatica emiratina, ha accusato l’esercito sudanese di condurre una campagna di disinformazione e falsificazione dei fatti con la denuncia contro gli Emirati a L’Aia, denunciando un tentativo di distogliere l’attenzione dai crimini commessi dallo stesso esercito.
Mentre Burhan rifiuta qualsiasi negoziato o transizione democratica, le sue truppe, in cooperazione con milizie islamiste estremiste, sono accusate di gravi violazioni, tra cui esecuzioni sommarie, saccheggi e invasioni di abitazioni.
Ketait ha insistito sulla necessità di processare i responsabili di queste violenze, delle aggressioni contro i civili, delle atrocità e delle violenze sessuali. Ha sottolineato che l’esercito sta cercando di utilizzare la giustizia internazionale per sollevarsi dalle proprie responsabilità dirette nel conflitto in corso.
La rappresentante degli Emirati nei Paesi Bassi, Amira Al-Hafti, ha riassunto la situazione affermando che l’esercito sudanese ha solo due opzioni: collaborare e iniziare negoziati per porre fine alla guerra, oppure “continuare a crogiolarsi nella vittimizzazione”.
Di Paolo Corti
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