13 Aprile 2025
Trump e Meloni, fonte: imagoeconomica
Dietro le quinte della diplomazia transatlantica in vista del viaggio di Giorgia Meloni a Washington si muovono forze silenziose, ma potentissime. Nel riserbo ovattato dei palazzi del potere, l’ambasciata americana di via Veneto ha fatto pervenire a Palazzo Chigi un messaggio chiaro: Donald Trump sarebbe pronto a ridurre i dazi imposti all’Italia. Ma a un prezzo preciso.
Primo punto: la NATO. Trump vuole che l’Italia alzi il proprio contributo almeno al 2% del PIL. Non si accontenta di un mero allineamento agli standard dell’Alleanza: chiede un segnale forte, un gesto che testimoni una rinnovata fedeltà atlantica. Un impegno che a Roma non tutti sono disposti a sottoscrivere a cuor leggero, soprattutto in un contesto di conti pubblici già in difficoltà.
Secondo punto: la Cina. Gli americani hanno individuato undici presunte “stazioni di polizia” cinesi sparse sul territorio italiano, ufficialmente presentate come centri culturali. Per Washington sono roccaforti di Pechino in Europa, una minaccia alla sicurezza occidentale. Trump pretende che l’Italia le smantelli e, più in generale, che si sganci da ogni legame strategico con la Cina. Un diktat che, se accolto senza mediazioni, potrebbe avere conseguenze pesanti per le aziende italiane che ancora vedono nel mercato cinese un’opportunità imprescindibile.
Terzo punto: energia e difesa. L’Italia deve acquistare più petrolio e più armi dagli Stati Uniti. È un modo per rinsaldare il legame commerciale con Washington, ma anche per ridurre la dipendenza da altri fornitori internazionali. Un affare miliardario, che interessa non solo l’economia, ma anche il posizionamento strategico del Paese nello scacchiere globale.
Giorgia Meloni sa che questa partita si gioca sul filo del rasoio. Con Trump è necessario mantenere aperto il dialogo, senza però alienarsi i partner europei né compromettere l’equilibrio economico dell’Italia. Per questo, la sua strategia è quella dell’equilibrismo: confermare l’adesione alla NATO senza sbilanciarsi troppo, valutare con cautela gli acquisti militari e petroliferi, e sulla Cina adottare una tattica attendista, intensificando i controlli sui centri culturali senza chiuderli ufficialmente.
La diplomazia italiana è al lavoro. In ballo c’è molto più di una semplice riduzione di dazi: c’è la ridefinizione del ruolo dell’Italia nel grande gioco globale. E Roma, come sempre, è chiamata a giocare d’astuzia per non diventare né pedina né bersaglio.
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