In queste settimane si è parlato parecchio del riarmo come passaggio di upgrade politico dell’Europa. Ammesso e non concesso che sia così (l’esercito può essere condizione necessaria ma non sufficiente per dar forza a un soggetto politico), vorrei capire, in questo processo di maturazione, quale sia la posizione di Bruxelles rispetto a Gaza e alla questione mediorientale.
Lo domando alla luce della incontinenza verbale sull’Ucraina e sul processo di mediazione avviato da Trump: summit, voti, promesse di intenti, comitati di volenterosi... Su Gaza invece nulla, come se la cosa non riguardasse l’Europa. E forse è davvero così visto che tra i suoi errori strategici, l’abbandono del Mediterraneo come baricentro politico è uno dei più gravi. Il 18 marzo scorso Israele ha rotto la tregua compiendo uno dei massacri più gravi da quel 7 ottobre: 970 palestinesi uccisi, di cui 170 bambini, in meno di quarantott’ore. Un massacro avvolto nel silenzio di Palazzi ciarlieri. Domando: perché questo silenzio? Qual è l’equilibrio che non si vuole rompere? La famosa Europa, tra una indignazione per le critiche al Manifesto di Ventotene e una votazione sui miliardi da destinare per le armi, ha o non ha una posizione vera? Se non ce l’ha eviti di armarsi: risparmiamo soldi e soprattutto un’armata Brancaleone al servizio di CiccioVonPasticcen.
Quel che sta accadendo a Gaza non è la disputa tra ProPal o filo Israeliani ma un passaggio delicatissimo, tanto più in questa fase storica, dove l’unica voce di rilievo, netta, è arrivata ancora una volta da Papa Francesco, che pure convalescente e malconcio ha il coraggio di ribadire che a Gaza devono tacere la armi, senza farsi intimidire dalla rinnovata postura bellica di Netanyahu. La cui scelta di rompere la tregua così drammaticamente durante il Ramadan mi sembra potenzialmente suicida più che risolutiva.
Dunque lo domando nuovamente a Bruxelles come a Roma: vi va bene la modalità che Netanyahu ha innescato rompendo la tregua? Il concetto di tregua va bene solo per l’Ucraina ma non per Gaza? Qui si tratta di mettere in fila degli elementi e poi, con altrettanta lucidità, domandarsi se quel disordine ci convenga oppure no. Era la bussola dei Mattei, degli Andreotti, dei Craxi, le cui aperture sul mondo arabo hanno lasciato impronte importanti. Io non credo che costoro avrebbero tenuto bordone al premier israeliano. Il quale, coi massacri compiuti nel Ramadan, ha:
rotto una tregua che comunque aveva il sigillo americano: d’ora in avanti un accordo di tregua con gli Usa sarà meno forte;
indebolito la posizione degli ostaggi nelle mani di Hamas;
violando la tregua in coincidenza con un momento religioso importante, il governo israeliano alimenta e alimenterà l’arruolamento a favore di Hamas, le cui fila diventano l’unica scelta per chi non ha più genitori e fratelli uccisi dai bombardamenti di Israele. E il problema diventerà anche nostro perché lo spirito del lodo Mattei sta andando a farsi benedire.
Questione Hamas. L’avvicendamento tumultuoso (e inopportuno) del capo del Shin Bet accrescerà le voci per cui Netanyahu non voleva che i servizi facessero luce sull’intreccio di finanziamenti con il Qatar, anche rispetto al movimento politico/militare palestinese.
Di Gianluigi Paragone
Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.