18 Marzo 2025
Trump ha cominciato a bombardare. Questo, dal presidente che aveva promesso di porre fine alle guerre subito. In Ucraina, in effetti, ci sta lavorando, ma in Medio Oriente, come avevo anticipato l'anno scorso, rischia di peggiorare la situazione piuttosto che porre fine ai conflitti.
La Casa Bianca ha ordinato di colpire gli Houthi nello Yemen, per punirli per gli attacchi alle navi nel Mar Rosso l'anno scorso, ma anche in modo preventivo, visto che gli attacchi erano stati sospesi con l'annuncio del cessate il fuoco a Gaza nel mese di gennaio (ora rotto dai nuovi bombardamenti israeliani). Gli Houthi hanno minacciato di riprendere le loro azioni contro Israele se quest'ultimo non dovesse interrompere il blocco agli aiuti per i palestinesi. Trump, così, pensa di intimorire i militanti, facendo capire che è disposto a sparare su larga scala. Non è detto che funzioni, visto che ci aveva già provato l'amministrazione Biden l'anno scorso.
Il vero messaggio, però, è diretto all'Iran. In un post sul suo social, "Truth", il presidente ha scritto: "All'Iran: il sostegno ai terroristi Houthi deve cessare IMMEDIATAMENTE! NON minacciate il popolo americano, il suo Presidente, che ha ricevuto uno dei mandati più ampi nella storia presidenziale, o le rotte di navigazione globali. Se lo farete, ATTENZIONE, perché l'America vi riterrà pienamente responsabili."
Intanto, va sottolineata l'insistenza di Trump sulla sua grande vittoria alle presidenziali, quasi come se dovesse convincere se stesso: in realtà, nonostante la vittoria in tutti gli stati in bilico, ha prevalso di appena un punto e mezzo nel voto popolare, uno dei margini più sottili di sempre. Inoltre, anche dopo l'insediamento, la sua popolarità non ha mai raggiunto il 50 per cento, a differenza di tutti i suoi predecessori recenti. Dopo appena due mesi, è sembra invece in declino inesorabile, principalmente a causa dei danni economici provocati dalla sua amministrazione con una politica commerciale erratica e con tagli sconsiderati ai dipendenti pubblici.
Tuttavia, Trump è il presidente legittimamente eletto e, di conseguenza, ha il diritto di perseguire le politiche promosse in campagna elettorale. Qui, però, emergono delle contraddizioni riguardo agli attacchi militari, considerando la sua promessa di perseguire la pace. In questo contesto, si delinea uno scenario interessante: osservando attentamente le dinamiche di Washington, si scopre che la situazione è complessa, con diverse fazioni che cercano di influenzare il presidente.
Infatti, il New York Times riporta che "alcuni consiglieri per la sicurezza nazionale vogliono perseguire una campagna ancora più aggressiva" contro gli Houthi, ma Trump preferisce evitare il rischio di un conflitto più ampio in Medio Oriente. Inoltre, il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sta esercitando pressioni su Trump affinché autorizzi un attacco militare contro gli impianti nucleari iraniani. Anche in questo caso, il presidente appare riluttante e, per il momento, resiste alle pressioni sia degli israeliani sia dei falchi all'interno della sua amministrazione.
Il Tycoon non sembra avere una strategia promettente per affrontare l'Iran: dopo aver ritirato gli Stati Uniti dall'accordo sul nucleare durante il suo primo mandato, ora minaccia la guerra se Teheran non accetterà un nuovo accordo con restrizioni ancora più severe, soprattutto sulle sue attività politiche nella regione. La prima risposta della Guida Suprema Khamenei, prevedibilmente, è stata negativa. Non sorprende che non si fidi di chi ha già stracciato un accordo precedente e ora parte direttamente con minacce belliche.
Tuttavia, è evidente che a Washington esistono fazioni che vorrebbero trasformare le minacce di Trump—formulate principalmente per costringere le altre nazioni a sedersi al tavolo delle trattative— in azioni militari concrete. Il Tycoon dovrà decidere fino a che punto spingersi con la sua retorica della forza, senza perdere il controllo della situazione.
Di Andrew Spannaus
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