01 Gennaio 2025
Jimmy Carter, fonte: Facebook, @US National Archives
La morte del trentanovesimo presidente americano, Jimmy Carter, sta producendo numerosi racconti sul difficile periodo della sua presidenza, ma anche sul grande lavoro svolto da ex presidente nel campo della diplomazia internazionale e dei programmi per aiutare i poveri. È opinione comune, infatti, che Carter sia stato più efficace fuori dalla Casa Bianca che dentro: ha costruito case per gli americani, ha combattuto le malattie in Africa e ha svolto un ruolo importante nel dialogo con gli avversari degli Stati Uniti.
Per quanto riguarda l'economia, si ricorda il periodo dell'alta inflazione, spinta dai prezzi del petrolio a seguito delle crisi in Medio Oriente, compresa la rivoluzione in Iran. Carter è stato visto come incapace di affrontare la congiuntura, aprendo la porta alla vittoria del suo successore, Ronald Reagan, che ha promesso di combattere il malessere del Paese e di "rendere di nuovo l'America grande" (ben prima di Donald Trump).
Quello di cui si parla poco, invece, è il cambiamento fondamentale introdotto da Carter nella politica economica del Partito Democratico, spostandosi verso posizioni liberiste che sarebbero state proseguite proprio dal suo successore. Non è stato Reagan, infatti, a iniziare la trasformazione liberoscambista dell'economia americana, ma il democratico Carter.
Tra le misure più importanti ci sono state la liberalizzazione di settori come il trasporto aereo, ferroviario e stradale, la posizione antisindacale nel caso degli scioperi e l'inaugurazione del periodo di alti tassi d'interesse con la nomina alla Federal Reserve di Paul Volcker. Guardiamo brevemente gli effetti di queste politiche.
Riducendo le regole nel mondo dei trasporti, l'idea era di stimolare la competizione e quindi migliorare il servizio. Sono entrati nuovi attori nei relativi settori, ma di fatto i prezzi per i consumatori non sono diminuiti, mentre gli stipendi e le condizioni di lavoro sono peggiorati. Oggi i risultati più drammatici si vedono nel mondo del trasporto via gomma e rotaia: seri problemi di rete dovuti alla concentrazione del potere in mano a pochi grandissimi operatori, che fanno di tutto per tenere bassi i costi del personale, anche a rischio della sicurezza.
Sono stati i lavoratori a soffrire di più questa svolta: l'obiettivo di liberare il mondo del business ha avuto l'effetto di aumentare i profitti a spese della popolazione. Carter si è schierato contro i sindacati nel caso di uno sciopero importante dei minatori – temendo un ulteriore aumento del costo dell'energia – e ha bloccato le iniziative del suo partito per affrontare le lacune dello stato sociale.
L'obiettivo pratico era chiaro: abbassare i salari per evitare pressioni inflattive. La mossa più drammatica è stata l'impennata improvvisa dei tassi d'interesse decisa dal nuovo governatore della Federal Reserve, Paul Volcker, nominato da Carter. Questa strategia mirava esplicitamente a far crescere la disoccupazione per raffreddare l'inflazione.
In teoria, si trattava di sopportare un periodo di sacrifici temporanei per poi ripartire. Tuttavia, la precarietà è rimasta per i lavoratori, e i salari non sarebbero aumentati per decenni. Contemporaneamente, iniziò il periodo della deindustrializzazione: gli alti tassi d'interesse portarono alla chiusura di numerose imprese, inaugurando l'era della perdita del lavoro industriale, che sarebbe diventata una delle caratteristiche fondamentali del nuovo mondo liberista e globalizzato negli anni successivi.
Per completare il quadro, nel 1980 si diede una spinta anche alla finanziarizzazione, indebolendo i poteri dei regolatori bancari e abbassando le tasse sulle plusvalenze. Questo alimentò la crescita delle disuguaglianze socioeconomiche, ponendo le basi per l'era del dominio del capitale finanziario.
Quel brav'uomo di Jimmy Carter, che successivamente avrebbe passato decenni ad aiutare i poveri, ha contribuito non poco all'impoverimento della classe media americana.
di Andrew Spannaus
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