28 Agosto 2023
Leopard 1 A5; Fonte. Wikimedia Commons
Uno scandalo (a pochi mesi dalle elezioni) sta occupando in questi giorni i media e l'opinione pubblica svizzera. Secondo le informazioni che arrivano da Ginevra, l'azienda elvetica Ruag avrebbe venduto 25 carri armati Leopard 1 A5 in disuso alla bavarese Global Logistic Support Gmbh, presumibilmente perchè fossero poi spediti in Ucraina. Se la tesi fosse confermata, ciò si tradurrebbe in una chiara violazione del principio di neutralità elvetica, tema molto caro nel Paese alpino e per questo capace di influire non poco sul voto del 22 ottobre.
Ad alzare il polverone che da giorni infiamma il dibattito pubblico elvetico è stato un articolo comparso sul settimanale Sonntags Zeitung domenica 27 agosto. Nel pezzo si parlava della vendita di 25 carri armati ad un'azienda bavarese presumibilmente interessata ad inviarli in Ucraina. Una storia, in realtà, molto complicata, e che va avanti almeno dal 2016.
Quei 25 carri, infatti, fanno parte di uno stock di 96 Leopard acquistati nel 2016 dall'azienda elvetica Ruag, specializzata nella progettazione e vendita di armamenti di vario tipo. Si tratta di mezzi obsoleti, retaggio della guerra fredda e, fino a quella data, in servizio all'Esercito Italiano. Non è un caso, quindi, se ad oggi sono ancora tutti chiusi in un capannone nel comune di Villesse, in provincia di Udine.
Nel 2019, quindi, la Ruag aveva venduto 25 di quei pezzi da museo all'azienda tedesca citata, ad un prezzo considerato ridicolo. Se nel 2016 gli svizzeri li avevano acquistati dal nostro Ministero della Difesa ad 43mila franchi l'uno, appena 3 anni dopo li avevano ceduti a soli 500 franchi. Secondo il settimanale svizzero, ciò sarebbe stato possibile grazie all'intermediazione di un ex responsabile Ruag, che avrebbe sfruttato per la vendita una società il cui controllo ricadeva al 50% sulla moglie.
Dopo la vendita ai bavaresi, comunque, tutta l'operazione si congela: firmati i contratti, pagamenti effettuati, carri lasciati a Villesse dopo una fallita vendita al Brasile. Secondo alcuni, in attesa di "tempi migliori". Flash forward di tre anni e mezzo: scoppia la guerra in Ucraina, Kiev ha un disperato bisogno di mezzi, gli alleati iniziano a svuotare i propri depositi ma anche i rifornimenti occidentali iniziano a scarseggiare e si comincia a puntare su materiali di seconda o terza mano. Un ottimo momento per chi ha in magazzino 25 carri armati per la prima volta impiegati negli anni '60.
La settimana scorsa lo studio legale della Global Logistics Support GmbH si sarebbe fatto vivo, chiedendo l'invio in Baviera dei mezzi acquistati quattro anni prima. Una fonte di non poco imbarazzo per Berna, dove sono in pochi a non credere che questi carri armati finirebbero in Ucraina. A rafforzare questa ipotesi, un piccolo scandalo locale scoppiato nell'agosto di quest'anno e che aveva costretto l'allora Ceo di Ruag, Brigitte Beck, a dimettersi. La donna aveva infatti invitato i Paesi Nato a "ignorare il veto di Berna alla riesportazione di materiale da guerra svizzero in Ucraina". Parole gravi, considerando che si trattava di consigliare a Paesi stranieri di ignorare le leggi e le regolamentazioni del proprio. Parole che, tuttavia, secondo alcune indiscrezioni non confermate avrebbero incontrato il favore (non ufficiale, chiaramente) della Ministra della Difesa svizzera Viola Amherd, da buona fetta dell'opinione pubblica accusata di avere una visione fin troppo "flessibile" attorno al tema della neutralità.
Un tema, come detto, che non mancherà di incidere sulle elezioni di ottobre, a cui la destra sovranista e quella moderata dell'Udc si appropinquano con sondaggi sempre più favorevoli, mentre il partito socialista del Presidente del Consiglio Federale Alain Berset (e della citata Ministra Amherd) sembra guardare con crescente sfiducia.
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