12 Giugno 2023
Il Sunday Times ha pubblicato una lunga inchiesta sulle origini del Covid-19, secondo cui, secondo la testata inglese, è sempre più probabile che il coronavirus che ha scatenato la pandemia sia stato originato da un incidente di laboratorio nell’Istituto di virologia di Wuhan, la città cinese dove, secondo la narrativa ufficiale, il virus avrebbe invece per la prima volta contagiato un gruppo di umani dal famigerato mercato del pesce.
Ma le cose non starebbero così, almeno secondo l’inchiesta del settimanale britannico. Che ha consultato centinaia di documenti, alcuni dei quali diventati di pubblico dominio grazie al “Freedom of Information Act”, e comunicazioni top secret, parlato con diversi esperti e soprattutto con fonti dell’intelligence americana che sta indagando sulle origini del Coronavirus che ha afflitto il mondo fino all’anno scorso e ucciso 7 milioni di persone.
Alla fine, secondo l’inchiesta, è probabile che la pandemia da Covid sia nata da una fuga dal laboratorio di Wuhan, che “la Cina stesse conducendo esperimenti proprio su Coronavirus modificati in laboratorio coordinati dal ministero della Difesa cinese in vista di una possibile guerra batteriologica” e che “Pechino abbia nascosto molti dati ed esperimenti negli ultimi anni alle autorità straniere”.
La storia raccontata dal Sunday Times parte da lontano. Ossia dalla fondazione dell’Istituto di Virologia di Wuhan nel 2003, per comprendere le origini del virus respiratorio Sars. Il laboratorio negli anni riesce ad accumulare fondi per decine di milioni di dollari anche da scienziati e istituzioni americane, per la ricerca sui vaccini anti Sars e altri simili virus letali della famiglia del coronavirus. Un’iniezione di denaro che aumenta soprattutto dopo l’11 settembre e i timori negli Stati Uniti e Occidente di una guerra batteriologica.
La ricerca viene guidata a Wuhan dalla misteriosa e controversa capo-scienziata 39enne Shi Zhengli, che verrà soprannominata “BatWoman” per il suo lavoro sui pipistrelli in caverne e miniere e che ancora oggi lavora in quell’istituto. Allora il laboratorio di Wuhan inizia a testare i nuovi virus rinvenuti su topi geneticamente modificati, tali da avere polmoni più simili agli umani. Per esempio, nel 2012 il laboratorio di Wuhan prende un virus rinvenuto a Shitou, nella provincia dello Yunnan, che denomina W1Y1, e lo incrocia con un secondo proveniente dalla stessa zona, ribattezzato SHC014: il risultato è un patogeno molto più potente che potrebbe tramutarsi in un’arma di distruzione di massa.
Negli anni, nonostante una moratoria di Obama nel 2014 sulla sperimentazione di agenti patogeni potenziati, gli scienziati cinesi iniziano ad incrociare e a sviluppare sempre di più “cocktail di virus”, o incroci di pestilenze recuperate soprattutto da resti e feci dei pipistrelli. L’obiettivo, secondo gli investigatori americani, è quello di creare virus sempre più infettivi per gli umani. Il laboratorio di Wuhan insiste nelle sue sperimentazioni e a un certo punto, “mescolando” il coronavirus W1Y1 con il SHC014 e un altro patogeno simile alla Sars, crea un virus più letale del 300%, almeno a vedere i risultati sui topi geneticamente modificati con polmoni simili agli umani: il 75% infettato da questo nuovo virus muore.
Ma queste informazioni non vengono condivise con i colleghi occidentali. Allora, l’agenzia statunitense Darpa (Defence Advanced Research Projects Agency) e altre si rifiutano di continuare a sovvenzionare le ricerche del laboratorio di Wuhan. Secondo i documenti e le fonti occidentali consultate dal Sunday Times, le cose cambiano davvero dal 2016. Quando gli scienziati cinesi ammettono di aver scoperto, 4 anni prima, un nuovo tipo di Coronavirus in una miniera di Mojiang, sempre nella provincia di Yunnan, insieme ad altri otto. Alcuni studiosi che hanno raccolto campioni ed escrementi di pipistrello muoiono dopo aver sofferto di sintomi simili alla Sars, anche se Pechino questo non lo comunicherà nella circostanza. La variante viene chiamata “RaTG13”, e la sequenza del genoma è quella più simile al Covid che abbiamo conosciuto nel 2020.
Le autorità cinesi non informano quelle internazionali delle vittime né di questi e altri avvenimenti. O almeno, lo fanno solo parzialmente. “In questo momento, le comunicazioni e la condivisione di informazioni con i cinesi si interrompe improvvisamente”, dicono fonti di intelligence americane che hanno avuto accesso a metadati e conversazioni private, “a questo punto parte il loro programma di ricerca segreto e vengono coinvolti direttamente la Difesa e l’esercito cinesi per quella che sembra una preparazione a un’eventuale guerra batteriologica”.
Secondo i documenti e le fonti del Sunday Times, in questi anni il laboratorio di Wuhan avrebbe iniziato a sperimentare e incrociare il RaTG13 insieme agli altri virus rivenuti a Mojiang. Inoltre, secondo l’intelligence americana, negli ultimi anni Pechino si sarebbe già preparata a un vaccino contro il Covid, tanto che ha destato sospetto la tempestiva presentazione di un brevetto già nel febbraio 2020.
Secondo il professore di microbiologia Richard Ebright, del Waksman Institute of Microbiology della Rutgers University, quegli “esperimenti a Wuhan sono stati tra i più irresponsabili e pericolosi nella ricerca sui coronavirus”. I virus rinvenuti 7 anni fa in quella miniera sono, a livello di genoma, i più vicini a quelli del Covid-19 prima che scoppiasse la pandemia.
Le autorità cinesi, secondo il Sunday Times, non avrebbero riportato tra l’altro la malattia e i malori di alcuni giovani ricercatori dell’istituto di Wuhan che nel novembre 2019 - un mese prima dell’allerta mondiale del Coronavirus - vengono ricoverati con sintomi simili al Covid. Uno dei loro parenti successivamente morirà.
Fonti americane sentite dal Sunday Times dicono: “Riguardo a quegli avvenimenti di fine 2019 all’istituto di Wuhan, siamo certi che si sia trattato di Covid19”. Studi recuperati dal settimanale e confermati in un report del Senato Usa, inoltre, dimostrano come i primi veri focolai siano avvenuti proprio intorno all’istituto di Virologia di Wuhan e non al mercato del pesce e altri animali lontano alcuni chilometri in città.
Quindi davvero il Covid19 è scappato dal laboratorio di Wuhan? È molto probabile, secondo il Sunday Times e le sue fonti, sebbene la prova certa non ci sia. Ciò anche a causa dell’oscurantismo del regime cinese che negli ultimi anni, come documenta il settimanale, hanno limitato fortemente i movimenti e l’accesso di studiosi e autorità straniere per cercare di approfondire le origini del virus.
Come successo alla spedizione dell’esperta britannica Alice Hughes, ex professoressa dell’Accademia Cinese delle Scienze che supervisiona l’Istituto di Wuhan, che si è recata più volte nella miniere e caverne incriminate. Ma i poliziotti cinesi dello Yunnan non le hanno permesso di svolgere il suo lavoro tra 2020 e 2021. Oggi Hughes è riparata a Hong Kong e dice di poter non parlare con i media perché “sorvegliata dalla sicurezza cinese”.
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