08 Marzo 2022
Prosegue la guerra Russia-Ucraina e continua la pioggia di sanzioni sul popolo di Putin. Non è chiaro fino dove il Presidente della Federazione Russa è disposto a spingersi, né cosa rimane da fare per un definitivo cessate il fuoco. Intanto, Salvini è l’unico politico occidentale ad essersi spinto confine tra Russia e Ucraina per osservare il mare di persone in fuga dalla guerra. Gesto di solidarietà o tornaconto politico? Marco Antonellis ha parlato di tutto questo con Andrea Pancani, giornalista e conduttore del programma Coffee Break, in onda su LA7, per Il Giornale d’Italia.
È possibile una tregua tra Russia e Ucraina?
«Credo che al momento l’unica cosa possibile sia un breve cessate il fuoco per i corridoi umanitari. Per ora, una tregua d’armi per un periodo più lungo mi sembra molto improbabile».
Cosa ne pensi della presenza di Matteo Salvini in Polonia e perché è l’unico politico occidentale ad aver preso questa iniziativa?
«Salvini aveva già annunciato la missione ai confini tra Polonia e Ucraina dedicata al tema dei profughi, nella quale poi si è trovato in perfetta solitudine, forse per mancanza di adesioni. Una volta arrivato lì ha potuto vedere di persona il mare di gente che si sta emigrando.
«Per me un politico deve anche stare sul campo e vedere le cose con i propri occhi, quindi sono d’accordo se Salvini come il cittadino privato ha deciso di incontrare i profughi che presto arrivano anche in Italia, per esprimere solidarietà e accendere qualche faro in più sulla questione. Se, al contrario, questa missione avesse un retropensiero di natura politica, chiaramente non ha nessun senso farla: basta guardare la giornata di oggi, durante la quale tutti stanno parlando del sindaco di Varsavia che gli rinfaccia la maglietta pro Putin».
«Io credo fortemente a quello che ha detto Draghi l’altro giorno: in questo momento, non ha senso parlare di filorussi o antirussi, perché è in corso una crisi immensa dovuta alla guerra e a tutte le ripercussioni finanziarie e le sanzioni geopolitiche. Questi aspetti, insieme alle vittime del conflitto, devono essere la nostra prima preoccupazione. Tutto il resto lascia il tempo che trova».
Secondo te avranno effetto le sanzioni sulla Russia? E quanto rischierebbe la Cina se il mondo dovesse cadere in una nuova recessione?
«Da sempre la Cina vive di commerci e la sua posizione in questo conflitto è stata un po’ attendista, ma certamente non di un paese che appoggiava l’iniziativa di Putin. Nonostante la Cina possa sembrare il vero negoziatore, ha chiarito l’altro giorno che i rapporti con Putin sono di solida amicizia. Riguardo l’effetto delle sanzioni, credo che sia simile alla questione delle città e delle campagne: nelle grandi città russe si conduce una vita molto all’occidentale, ma un’altra importante fetta di popolazione è stata abituata alle privazioni e a vivere con un reddito pro capite molto basso. Non conosco direttamente la questione, ma temo esista una similarità con l’America profonda e che parte del popolo russo appoggi Putin e non gli ucraini. Essendo abituato a un certo stile di vita, non sono sicuro che queste sanzioni, al momento, li colpiscano direttamente. Si tratta sempre di una questione di tempo, perché ne potrebbero arrivare altre».
Cosa rimane da fare all’Europa in una fase così complicata della sua storia?
«Questa è una domanda a cui è difficile rispondere con nettezza, ma credo che l’Europa debba mettere fare il possibile per raffreddare questa situazione molto complicata. Se da una parte si tentano tutte le strade negoziali possibili, dall’altra si cerca di appoggiare il popolo ucraino con le armi, consapevoli di non poter assecondare tutto nel rischio di scatenare una guerra globale. Nonostante l’apparente coesione con gli Stati Uniti e la Nato, l’Europa è il vaso più debole, perché ha interessi diversi rispetto quelli americani e si trova nella posizione più scomoda. Bisognerà aspettare di vedere come crescerà il pressing dell’opinione pubblica.
«Davanti a una avanzata di Putin e un massacro ulteriore, le opinioni pubbliche faranno pressione e i governi magari saranno costretti a cambiare atteggiamento, oppure nessun popolo europeo vuole morire per Kiev? Questa è la grande domanda».
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