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La natura del servizio pubblico incide sul canone Rai: ecco come

23 Aprile 2022

Gli italiani amano ancora la Tv

Già lo scorso novembre in un numero di questa Rubrica, scrive Mauro Masi su Milano Finanza, avevamo sottolineato che tra i tanti ed importanti impegni presi dal nostro Governo nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza c’era anche quello di eliminare dai pagamenti dovuti al settore energetico “charges unrelated  to the energy sector” ossia tasse non connesse al settore stesso. Per noi questo era un chiaro riferimento al canone RAI che, come noto, è unito alla bolletta elettrica dal 2015 a seguito della legge decisa dall’allora Governo Renzi. Siamo stati profeti: infatti il 16 aprile il Governo, nel corso del dibattito sul decreto Energia, ha accolto l’ordine del giorno della deputata del Gruppo Misto Laura Paxia con la proposta di separare la bolletta della luce dal canone RAI. Vediamo cosa è successo sinora: secondo gli ultimi dati ufficiali gli introiti da canone valgono per RAI, a tutto il 2020, 1,726 miliardi di euro pari al 73% degli incassi complessivi dell’azienda. Ogni cittadino paga 90 euro all’anno (prima della riforma Renzi erano 113) di cui peraltro solo 75,4 euro arrivano alla RAI in quanto il pagamento non avviene direttamente dalle bollette all’azienda ma passa attraverso l’Agenzia delle Entrate che ne detrae, secondo legge, risorse per alimentare il Fondo dell’Editoria presso la Presidenza del Consiglio e quello per le antenne locali in capo al Mise. Non è facile quindi stimare di preciso quanto l’obbligo del canone in bolletta abbia recuperato in termini di risorse effettive per la RAI (rivenienti da un canone più basso ma da una platea più ampia) dall’area dell’evasione (che è stata sostanzialmente azzerata per i canoni normali; restano invece problemi per quelli speciali) ma comunque è ipotizzabile una cifra significativa, tra 15% e il 20%.  Il canone RAI trova tuttora la sua radice giuridica in una norma molto lontana nel tempo il Regio decreto legge 246 del 1938 che, negli anni, ha visto una serie di novellazioni nonché di pronunce della Corte Costituzionale. Ad oggi si può affermare che: a) si tratta di un tributo dovuto allo Stato dai detentori di apparecchiature atte alla ricezione di programmi radiotelevisivi b) si tratta di un’imposta e non di una tassa in quanto non commisurata, neppure parzialmente, alla effettiva fruizione di un servizio c) il gettito del canone rappresenta il corrispettivo che la concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo percepisce dallo Stato per lo svolgimento di un’attività di interesse pubblico. Pertanto la natura del canone è quella di un’imposta specifica ad importo fisso quindi oggettivamente regressiva e anche per questo, nonostante il suo importo modesto, è, secondo il Codacons, tra le più invise dai cittadini. Tuttavia è, allo stato, del tutto indispensabile se si vuole mantenere un sistema di servizio pubblico radiotelevisivo con un unico broadcaster come il Legislatore italiano ha scelto e sempre confermato in oltre 70 anni; Sarà naturalmente compito dell’Esecutivo indicare, con tutta probabilità nella prossima Legge di Bilancio, le nuove modalità di pagamento del canone a far tempo dal 2023.

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