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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Il rito, breve racconto che fonde il macabro, l’assurdo e la fatalità, nel segno di una traccia a carattere antropologico

Da allora ho fatto della mia compagna una dea, ed ogni dose, credete, è diventata qualcosa di mistico e sacrale: un vero e proprio… rito

28 Luglio 2025

Il rito, breve racconto che fonde il macabro, l’assurdo e la fatalità, nel segno di una traccia a carattere antropologico

Raso Rosso, fonte: Amazon

La sua non era una risata... O almeno non proprio, perché giungeva di colpo come un singhiozzo, qualcosa di visceralmente isterico e appena sbozzato, soppresso sul nascere. E quelle che circondavano le sue fottute risate/non risate, non erano normali luci, ma qualcosa di quasi ultraterreno che poteva scorrerti sotto pelle come l'effetto della droga inoculata di fresco.

C'era, certo, un che di arancione in giro per la stanza, ma era forse la pancia di un enorme insetto tropicale. Ad ogni modo dava l'impressione, fluttuando di tinta vivace, di essere luce o magari riflesso.  La carne cruda non mi era mai piaciuta prima di allora, ma vedete, l’effetto che fa la fame è davvero un brutto effetto, e non essendovi altro che mi fosse messo a disposizione, io la mangiavo con estremo gusto e piacere.

Dicevamo di una risata nevrastenica se la mente e i sensi allucinati non m'ingannano. È bello e voluttuoso, essere ingannati dai propri sensi, di tanto in tanto: avete mai provato? Restare impegolati nella piatta realtà di giorni che sono come storpi gemellini orfani, è frustrante oltre che sintomatico di mediocrità; si può aspirare a qualcosa di meglio, sapete? Qualcosa di stupefacente e numinoso. Come insetti contro carta moschicida, così ci vogliono, nevvero? Ma noi lasciamo sovente che i sensi ci ingannino, e quante acide luci, quanti colori reviviscenti crescono d'intensità nella nebbia miasmatica del quotidiano. Comunque, per non perdere il filo, la risata era di un magro signore indù. Un indù che si rispetti ha la pelle scura... Quel figlio d'un cane invece era bianco come un cencio... Una malattia della pelle, diceva con una curiosa punta di vanità in cima alle parole sillabate con serpeggiante indugio. Il fatto più importante è che eravamo lì, entrambi, per un unico motivo, e non capivo davvero perché dovesse ridere, quel fesso di indù. "Prova di Dio", la chiamano, nelle tribù indigene che popolano quei litorali ancora semisconosciuti... Si piantano coltelli, quanti non se ne sono mai visti tutti assieme, su di una lunga tavola, diritti come fusi l'uno accosto all'altro, a formare una specie di labirinto le cui pareti risultano essere costituite dalle lunghe file contorte di lame. L'addetto a questo preparativo è una sorta di sciamano che dicono essere investito di poteri ultraterreni dal loro Dio; in realtà non è che una cicca di nano completamente fatto di droga. L'uso di allucinogeni ricavati dalle secrezioni di alcuni pesci caratteristici della zona, è cosa naturale e anzi propiziante, per quei barbari. I due sottoposti a rito si dispongono ai capi della tavola oblunga ed un insetto designato “sacro” viene lasciato libero di scorrazzare per gli anfratti del labirinto. Vedete, il giochetto prevede che vi siano solo due uscite dal dedalo di coltelli; ciascuno dei giudicandi ha una di queste davanti a sé; se l'insetto, alla fine, sbuca dalla sua parte... Sono guai dei più seri.

L'insetto è giudicato una specie di messaggero divino ed i coltelli entro i bordi del tavolo sono unti di una particolare resina che ha su di esso un effetto eccitante; talvolta riesce a provocarne anche il decesso e, se questo avviene, è segno che non era ancora il momento del giudizio per i due malcapitati.

Sovente, mi sono ritrovato a meditare sulle radici di una simile usanza che per me racchiudeva un fascino irresistibile; be', sono arrivato alla conclusione che da tempo atavico la popolazione indigena aveva subito una durissima selezione sulla base di quel giochetto, una specie di epurazione preventiva, frutto del manicheismo atroce che permeava e permea intrinsecamente la loro cultura: da una parte il giusto, il prescelto, dall'altra...

Con i miei sensi esasperati percepivo le zampette dell'insetto tamburellare convulsamente sul legno della lunga tavola. Lo sentivo prima avvicinarsi e poi allontanarsi nuovamente, imboccava  diverse piste come dovesse svolgere i suoi calcoli; faceva pensare ad uno di quei cervelloni computerizzati che prima di  sputare i loro dati, vagliano bene tutte le possibili piste da imboccare, decidono sulla scorta di un'attenta probabilistica, avanzando nella selezione secondo un percorso di tipo binario; un po' come avveniva  in quel caso, perché nel delirio dello sciamano vi era una certa qual lucidità e  comunque tanta esperienza, cosicché dal suo lavoro ne usciva un dedalo in cui ogni zona, ogni recesso, aveva due possibili  uscite.

L'insetto sbucò dalla mia parte. E giuro sulla mia pellaccia dura, che me lo sentivo che sarebbe successo così; è strano come in certi frangenti, per così dire, estremi, ti si sviluppino sensi nuovi e più acuti con cui finisci per sondare l’imminente... Lo strenuo giocatore d'azzardo sa di cosa parlo.

Era fatta, quel cervellone primitivo aveva sputato il suo responso. Adesso capivo, le risatine dell’indù: se lo sentiva nelle vene che sarei stato io ad andarci di mezzo; ed ancor più strano era, come in un torbido incubo, passare da uno stato di neutralità – quasi sul ciglio di un labile confine di frontiera che separi la rovina dal trionfo – alla certa disfatta, all'annullamento di ogni incertezza, al dissolversi del dubbio.

Non vi ho ancora detto cosa spettava a coloro che fossero additati come esclusi!  Lobotomia: una sorta di intervento chirurgico che annichilisse ogni facoltà intellettiva... ma non v'erano né bisturi né forbici, era l'insetto che operava l'intervento. Lo si  introduceva su per il naso della vittima, dandogli l'opportunità di raggiungere le cervella e nidificarvi, perché la bestiola ha l'abitudine di nidificare sotto le carni di esseri viventi: i piccoli trovano particolarmente gustoso e facilmente digeribile il cervello... Certo, non disprezzano neanche le fibre della carne, tant'è che una ferita aperta può causare gravi problemi in quei luoghi, se non viene presto curata e fasciata  a dovere, perché quelle zone pullulano di insetti come quello che decise del mio destino…

Fu in modo fortuito che ebbi a cavarmela: "polvere d’angelo", sapete, ne porto sempre una dose con me... Vecchia compagna di strada! Finì col salvarmi la vita in quel frangente disperato. Vi chiederete come sia potuto accadere; io stesso, ripensandovi, non trattengo le risa, sì, rido sul grugno allo spettro della morte beffarda, che quella notte lambì il mio destino...  Oh, se ne avevo sniffata di quella roba, ne avevo anche fra i capelli! E sortiva – pensate un po’! – un forte effetto repellente su quei voraci insetti.

Provarono più e più volte, a ficcarmeli su per il naso, ma quelli cadevano a terra storditi e non c'era proprio niente da fare. Infine, accettarono il fatto come volontà del loro stesso Dio. Dio, che forse aveva voluto mettere alla prova questo spirito allucinato e svuotato dal vizio, spirito cieco alle insidie della vita, che dei vizi può essere il più insano... Da allora ho fatto della mia compagna una dea, ed ogni dose, credete, è diventata qualcosa di mistico e sacrale: un vero e proprio… rito.

Di Massimo Triolo

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