10 Novembre 2023
Fonte: Gérald Levy
Quando c'erano ancora i muri. Ecco, quando ce ne erano ancora erano tutto sommato piuttosto pochi. Il 1989 sembra ed è effettivamente lontano, ma quanti muri c'erano in Europa? Due, tre? Berlino, Belfast, Trieste, la cortina di ferro per intero? L'ottimismo degli anni novanta poi dissolto con le Torri gemelle e soprattutto con le crisi economiche occidentali ormai endemiche, con la Pandemenza, con la crisi migratoria ed ecologico-climatica?
Quanti muri sono proliferati tra cristiani e musulmani, tra Occidente, Asia, Cina, Mondo arabo, tra poveri e ricchi, tra vecchia Europa e immigrati all'assalto, tra nuovi milionari cafoni e classe media e popolare impoverita, tra Rolex usati come commodities e homeless strafatti di ossicodone dappoco, tra auto elettriche per idioti ricchi e vecchie utilitarie rattoppate, tra politici inamovibili quanto strapagati, inetti ed arroganti ed una cittadinanza ormai inebetita, tra greggi di pecore impaurite da virus di laboratorio spacciati per brodi di pipistrello, tra inflazione senza freno e costo del denaro a sua volta inflazionato per frenare la inflazione (il capolavoro di dottrina apparentemente psicotica, in realtà ben votata alla truffa assoluta e perenne).
Ed infine un bel muro ucraino tra Europa e Russia ed un bel muro palestinese tra un Occidente pseudodemocratico ma ormai privo di dignità ed un Oriente totalitarista ma non più disposto a prendere lezioni da un maestro ormai eccessivamente mendace e sputtanato. In attesa di una bella fortezza intorno a Taiwan per evitare una Terza guerra mondiale, sempre che inquinamento globale e cambiamenti climatici non ci accoppino tutti prima, naturalmente.
Il muro di Berlino era Disneyland, in confronto.
Eppure quelle foto della fine del secolo scorso e del crollo del muro di Berlino restano emozionanti non solo perché ci ricordano di un tempo che ebbe ancora spazio per una buona dose di ottimismo, ma forse perché indicano che i nuovi muri potranno forse essere ad un certo punto scavalcati come già fu per quelli vecchi. Forse, perché la situazione nel frattempo fa parecchio più schifo di prima.
Il celebre fotografo francese Gérard Levy ebbe la ventura di trovarsi al momento giusto nel posto giusto per poter tramandare a noi quelle immagini, ponte tra un mondo in disfacimento ed una speranza che oggi appare appannata se non in netta decadenza. Soprattutto paradigma del significato di confine, di migrazione, di impossibilità di coercizione al movimento degli uomini ed ai loro sogni, o meglio alle loro necessità di una vita decente, se non proprio felice ed euforica.
Ed è proprio codesto il titolo della mostra, IL MURO: la euforia della Libertà; 14 fotografie del 1989 commentate nel contesto storico da Francesca Zilio, consigliera scientifica di Villa Vigoni, il centro italo-tedesco sul lago di Como e pensata ed organizzata da Paola Eckermann e Federica Chinese.
Abbiamo chiesto a Paola e Federica, che non a caso vivono a Berlino ma che hanno scelto Milano come lancio della mostra, quali suggestioni hanno motivato la pulsione a raccontare questo particolare momento storico e quale connessione personale le ha viste coinvolte.
Paola Eckermann:
"I confini sono stati un tema importante nella mia vita, anche se per fortuna non ne ho vissuto la parte negativa. Però la mia nonna materna, ebrea berlinese, era scappata a Cuba, che in quei tempi di persecuzioni antisemite fu uno dei pochi paesi disponibili ad aprirle i confini. In seguito, nel secondo dopoguerra, una parte della mia famiglia fu divisa dai due blocchi determinati dalle due Germanie, mentre io stessa ho avuto, questa volta in un contesto di opportunità, la volontà di vivere in paesi diversi e di trovarmi a Berlino, luogo di fusione di culture non solo europee, ed essendo nel contempo tedesca ed appassionata dell'Italia mi è sembrato interessante evocare questo pezzo di novecento, in fondo anche provocato dai tragici eventi determinati anche dalla complessa storia comune di Germania e Italia di quel periodo storico."
Federica Chinese:
"Vivo a Berlino da un po', è una città che sento casa. Vedere le foto di Gérard e lavorare insieme a Paola sul progetto del MURO mi ha proiettato in una città diversa, che io non ho vissuto, mi ha fatto capire e apprezzare la città in un modo differente anche grazie alle note di Francesca Zilio. Inoltre IL MURO rappresenta una riflessione sui confini, sull'abbatterli, sulla libertà di movimento oltre che un invito all'analisi di chi c'è dall'altra parte del confine. La maggior parte delle volte pensiamo che dall'altra parte ci sia il nemico. E se il confine fosse il nemico, e non chi si trova fisicamente dall'altra parte? E infatti stiamo pensando di organizzare la mostra a Berlino, che è la città che ha unito tutte le persone che hanno lavorato al progetto e dove io e Paola viviamo, e ad altre possibili mete da definire..."
Sono passati trentacinque anni e il nostro mondo, non solo la nostra Europa, è sprofondata in una imbarazzante crisi di identità che se ci ricordiamo minimamente (per chi già c'era) il genius loci e lo Zeitgeist (per chi usi un buon vocabolario) del 1989, ben ci sarebbe da vergognarsi collettivamente per le risultanze pessime di tutti noi come europei, se non addirittura come cittadini mondiali tout court.
Se nel 1989 la società occidentale sperava di aver superato le conseguenze conflittuali post-traumatiche sul finire del secolo, il nuovo secolo e millennio ci ha evidentemente fatti nettamente regredire non solo mattone dopo mattone verso nuovi muri, ma ad una regressione mentale avvitata su sé stessa, con la visione binocolare non solo di un nuovo scontro di civiltà, ma persino di un vicinissimo futuro dove i nemici oltre quel muro saremo noi umani stessi, forse persino buttati fuori di là dal muro dalle macchine della Intelligenza Artificiale, dall'ennesimo conflitto armato, oppure dall'avvelenamento autoinflitto dalle nostre scorie tossiche e dalla sconfinata nostra miopia.
Per questo è davvero importante ricordare la gioia di quell'abbattimento e di quel superamento di barriere quadratamente ben più cerebrali che di cemento e filo spinato.
Quelle foto in bianco e nero sono il nostro presente, in realtà, mai tanto in bianco o nero quanto adesso.
di Lapo Mazza Fontana
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