15 Agosto 2023
Abbiamo seguito il solco “autoritario” nella traduzione di Mario Tutino per, talvolta, allontanarcene e renderlo “autorevole”. Evocativo, ostinatamente classico, ma non retorico il decasillabo d’oltralpe molto vicino al nostro endecasillabo per un’interpretazione non agevole accademicamente in linea con la letteratura ermetica del secolo scorso. Non convince la “postfazione” di Alessandro Parronchi d’apparentamento stretto con “I sepolcri” di poco più di un secolo prima, anche se ben confezionata trenta anni dopo: “… allora, che è gioventù, e vecchiezza che cosa sono le stagioni passate e quelle a venire? Un bruciare, a diversi gradi di temperatura, nel fuoco della fedeltà all’Essere”.
I. Midi le juste y compose de feux
Meriggio il giusto vi compone in fiamma
Pomeriggio e meridiano in asse simbolica ed astronomica: equità e sicurezza fenomenica. Séte costiera del Languedoc tra lo stagno di Thau ed il Mediterraneo. Le barche dei pescatori equivalgono a delle colombe, mare ed anima sono fusi cromaticamente quasi plasticamente:
II. O récompense, après une pensé
Qu’un long regard sur le calme des dieux!
Versi incisi sulla lapide dello stesso poeta.
Quel pur travail de fins éclairs consume
Maint diamant d’imperceptible écume,
Et quelle paix semble se concevoir!
Che puro e fine folgorio consuma
Tanti diamanti di minuta spuma,
E quale pace sembra in nascimento!
Incipit di seconda strofa interessante poiché sancisce il distacco dal simbolismo solo estetizzante od asimmetrico e decadente di fine Ottocento.
III. Eau sourcilleuse, OEil qui gardes en toi
Tant de sommeil sous un voile de flame,
O mon silence! ... Edifice dans l’ame,
Mais comble d’or aux mille tuiles, Toit!
Acqua ammiccante, Occhio che in te costretto
Hai tanto sonno sotto un vel di fiamma,
O mio silenzio! ... Edificio dell’anima,
Culmine d’oro in mille embrici, Tetto!
Di rilievo la relazione riproposta tra luce e anima (Scintillio – Sogno) nell’edificio intimo del contemplante.
IV. Temple du Temps, qu’un seul soupir résume,
Tempio del Tempo, in un sospir riassunto,
Valéry si rivela insuperabile nella qualità ermetica ed originalmente, per la storia della letteratura europea del secolo scorso, evocativa.
Non comune la chiusura di strofa:
Sur l’altitude un dédain souverain.
Sopra l’altura un disdegno sovrano.
Tutino ricrea bene distanza, indifferenza e sovranità. Ma, a nostro parere, l’autore de “Il cimitero marino” oscilla sino al 1920 tra “metafisica della scienza” e misticismo presocratico.
V. Je hume ici ma future fumée,
Io fiuto qui il futuro mio fumo,
L’immersione nell’Essere assoluto è vanificata dall’Io fenomenico
non fenomenologico:
Le changement des rives en rumeur.
Le rive che si mutano in rumore.
VI. Alle porte dei cinquanta anni (ricordiamo che il poema in oggetto risale al 1920 e l’autore ne ha quarantanove) dalla precoce disciplina intellettuale Paul Valéry approda ad una sentimentalità dorata ed equilibrata quasi a sottrarsi alla “seduzione” metafisica dell’Essere puro. Un critico come Cohen, che Tutino richiama da manuale, sviluppa un’esegesi fondamentale comprendente V, VI, VII, ed VIII strofa significanti la “Mobilità dell’essere effimero e cosciente”. L’aderenza immediata a quanto sopra scritto si può rilevare al quinto verso della VI strofa:
Sur les maisons des morts mon ombre passe
Sulle case dei morti l’ombra io sono
VII. De la lumière aux armes sans pitié!
Luce, dall’armi che non han pietà!
Chiaro esempio di via “francese” all’ermetismo evocativo.
X. Où tant de marbre est tremblant sur tant d’ombres;
La mer fidèle y dort sur mes tombeaux!
Tanto marmo vi trema su ombre tante;
Fedele il mar dorme sulle mie tombe.
Le case dei morti. Valéry probabilmente si riferisce ad un cimitero vicino.
Lo sguardo filtra gli oggetti, ottima l’aderenza di Tutino che legge quanto sopra con “… il frammento terrestre a lui offerto”.
XI. Serenità dell’Io al termine del quesito aperto a partire dalla IX strofa tra Morte ed Immortalità.
XII. A je ne sais quelle sévère essence…
Entro non so quale severa essenza…
Tutino aderisce alla precedente interpretazione del Macrì, questa volta non segue il Cohen, ovvero non è presente una sorta di “Nirvana” misticamente raggiunto, ma una permanente “tensione” esistenziale tutta orizzontale tra vita ed assenza di vita. Pur preferendo la versione del Cohen, ci appare in realtà più centrale proprio la scelta in quistione.
XIII. Les morts cachés sont bién dans cette terre
Stan bene I morti al caldo in questa terra
Midi là-haut, Midi sans mouvement
Meriggio in alto, senza movimento
Madre terra mediterranea si carica di valore simbolico in completa collisione con il messaggio leopardiano. Questa nostra interpretazione dell’opera di Valéry desidera essere il punto cartesiano intellettuale d’incontro con la Città di Modica.
XIV. Tu n’as que moi pour contenir tes craintes!
Hai me soltanto a opporsi ai tuoi terrori!
L’Essere e la sua assenza in cui sono dissolti i morti. Mario Tutino punta decisamente verso la desolazione greco-romana dell’Ade.
A pris déjà ton parti lentamente.
Un popolo è passato lentamente.
Mesta è la processione, per tre giorni, aggiungiamo noi, avvolta nel Nulla eterno.
XV. Assieme alla seguente risulta forse la strofa intellettualmente meno sorvegliata del poema.
Ils ont fondu dans une absence épaisse,
Fusi essi sono in una spessa assenza,
“épaisse” qualifica l’assenza e l’annullamento, Tutino coglie con precisione quasi cartesiana le caratteristiche simboliche di Valéry non scegliendo un’interpretazione in chiave di appesantimento del contenitore rispetto al contenuto: il traduttore non dimentica l’indicazione del Cohen diradando così la coscienza nella processione dei morti, nel freddo del marmo sottraendosi al meriggio assolato mediterraneo.
XVI. Vertice sensuale dell’opera con straordinaria congiunzione intellettuale e sintattica.
Tout va sous terre et rentre dans le jeu!
Tutto sotterra va, torna nel giuoco!
Ci assumiamo qui la responsabilità culturale di un’interpretazione tentatrice non danzante e dionisiaca, l’autore si pone meglio sopra un piano evocativo-sentimentale d’ispirazione presocratica (la natura è ancora un tempio come in Baudelaire). Qui però l’Ottocento si risolve definitivamente, compresa la scolastica ipoteca luciferina intorno ai maudits.
XVIII. L’allievo Valéry “supera” il maestro Mallarmè: ancora fenomenologia presocratica per il primo, fenomenica algida e quasi immacolata nel secondo.
XXIII. Rilevante l’abbandono dell’ermetismo asintattico ed estetizzante.
La strofa sembrerebbe intuire, a nostro pensare, la macabra strage di corpi, anime e manufatti novecenteschi, forse non lontana dal profetismo biblico di William Blake: “Dreams of reason produce monsters”.
XXIV. Le vent se lève! ... Il faut tenter de vivre!
L’air immense ouvre et referme mon livre,
la vague en poudre ose jaillir des rocs!
Envolez-vous, pages tout éblouies!
Rompez, vagues! Rompez d’eaux réjouies
Ce toit tranquille où picoraient des focs!
Si leva il vento! ... E di nuovo la vita!
L’aria immensa apre e richiude il mio libro,
L’onda il suo fiotto avventa dalle rocce!
Volate via, pagine abbacinate!
Rompete onde! Rompete acque inebriate
Quel tetto quieto ove beccavan flocchi!
L’ansia dell’assoluto è risolta.
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