19 Febbraio 2023
Re Umberto di Savoia
Sono passati quaranta anni dalla scomparsa, avvenuta il 18 marzo 1983 all’ospedale cantonale di Ginevra di Umberto II, l’ultimo Re d’Italia. Umberto di Savoia nacque a Racconigi, il 15 settembre 1904, figlio di Vittorio Emanuele III e della Regina Elena del Montenegro. Divenne Re d’Italia, dal 9 maggio 1946 fino al 2 giugno 1946, data di un referendum istituzionale molto discusso (le schede furono bruciate quasi subito per evitare ogni riconteggio) e per evitare una guerra civile (lo slogan del Fronte Popolare era “O la Repubblica o il Caos”) e il 13 giugno Umberto lascia l'Italia, per non farvi più ritorno. Più fortunata, se così si può dire, fu Maria Joseè, alla quale, in virtù della stato di vedovanza, fu acconsentito il rientro in Italia, che avvenne grazie ad un parere favorevole del Consiglio di Stato, per assistere ad un convegno storico su Sant' Anselmo d' Aosta, sorprendendo un po' tutti, persino gli organizzatori che l' avevano invitata e i nostalgici della monarchia che palpitano già per una meno fugace visita in Italia di colei che ancora considerano la loro regina: con tanto di cerimoniale, feste e croci dell' Ordine di San Maurizio e Lazzaro per i fedelissimi che non hanno dimenticato. Maria José di Saxe Coburgo Gotha era accompagnata dalla figlia Maria Gabriella, da Michele Falzone membro della Fondazione Casa Savoia e dall' amica Janine Rochard che sovente la segue nei suoi viaggi. Proveniente da Merlinge, la sua residenza elvetica nei pressi di Ginevra, arrivò ad Aosta verso le 10 quando già erano in corso i lavori del convegno al quale era stata formalmente invitata a partecipare dal professore Ettore Passerin d' Entreves, presidente dell' accademia di Sant' Anselmo di cui l' ex regina è membro autorevole da alcuni anni. “Non ho votato né per la monarchia né per la repubblica” rispose a chi gli chiedeva di pronunciarsi su un argomento che ancora oggi appassiona gli storici. E perchè l' Italia avrebbe atteso tanto prima di consentire a una Savoia di rientrare dall' esilio? Su questo argomento non penso niente, è stata la risposta, secca e senza alcuna inflessione che potesse far pensare a un sia pur celato tentativo di recriminazione o di indiretta polemica. Altro affaire quello di suo figlio Vittorio Emanuele e del nipote Emanuele Filiberto, che dovettero aspettare altri 15 anni prima di poter mettere ufficialmente piede sul suolo italiano, con abolizione della XIII norma transitoria della Costituzione. I funerali di Maria Josè, il 2 febbraio 2001 nell’abbazia di Hautecombe in Francia, furono l’ultimo grande evento mediatico per la ex casa regnante italiana. Maria Josè veniva salutata per l’ultima volta con l’inno sardo "Conservat su re sardu", cantato anche durante le sue nozze con Umberto II, da Alberto II del Belgio con la consorte la regina Paola Ruffo di Calabria, il Re di Spagna Juan Carlos, i Granduchi Jean e Charlotte del Lussemburgo, il Principe Alberto di Monaco, l’ex imperatrice di Persia Farah Diba, l’ex Re Simeone di Bulgaria, Carlo e Camilla di Borbone delle Due Sicilie e da tutte quelle famiglie rimaste fedeli a Casa Savoia anche nei lunghi anni dell’esilio: i Giovanelli, Giorgiana Corsini, i Moncada di Paternò , le dame e i cavalieri dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e una folta delegazione di infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana, di cui Marià Josè era ispettrice nazionale. Per ironia della sorte era il 27 gennaio il giorno della sua scomparsa, lo stesso in cui viene celebrato in Italia il Giorno della Memoria, a perenne ricordo della deportazione degli ebrei. Una deportazione che fu favorita dalle ormai tristemente note leggi razziali, volute da Mussolini, ma controfirmate dal Re Vittorio Emanuele III. «Una firma sofferta, dalla quale ci dissociamo fermamente, un documento inaccettabile, un’ombra indelebile per la mia famiglia, una ferita ancora aperta per l’Italia intera». Sono queste le parole che l'erede di Casa Savoia Emanuele Filiberto ebbe a scrivere nella lettera indirizzata ai «Fratelli della Comunità Ebraica italiana». «È il momento di fare i conti con la Storia. Ma non mi aspetto di ottenere perdono». Da parte sua il principe spera che questa lettera sia «un primo passo verso quel dialogo che oggi desidero riprendere e seguire personalmente». A sei anni dalle ultime polemiche che seguirono il rimpatrio, effettuato nel 2017 con un aereo dell’Aeronautica Militare Italiana, della salma del Re Vittorio Emanuele III che riposava ad Alessandria d’Egitto, dove era morto in esilio il 28 dicembre 1947, e di quella della Regina Elena che invece era sepolta nel cimitero di Montpellier, per essere entrambi traslati al santuario sabaudo di Vicoforte in Piemonte, Casa Savoia torna e far parlare di sé per la richiesta da parte dei figli di Umberto e Maria Josè dei gioielli della corona, consegnati al Ministro della Real Casa Falcone Lucifero con la dicitura “a chi di diritto”. Una formula abbastanza generica che non ha fatto altro che rinfocolare le polemiche sui tesori che da oltre 70 anni sono rinchiusi nei caveau della Banca d’Italia e di cui non si capisce la proprietà.
Umberto si spegne il 18 marzo del 1983, dopo aver vissuto in esilio per quasi 37 anni, all’età di 79 anni nell’Ospedale Cantonale di Ginevra
Nata principessa Sassonia Coburgo Gotha, Maria Josè era la figlia del Re dei Belgi Alberto I di Sassonia Coburgo Gotha e di Elisabetta di Baviera. Crebbe con i due fratelli maggiori Leopoldo, futuro Re dei Belgi, e Carlo Teodoro in un ambiente culturalmente aperto e stimolante, potendo sviluppare la passione per il pianoforte e il violino. Passione che poi continuò a esercitare all’educandato del Poggio Imperiale a Firenze, il collegio italiano scelto dai genitori in previsione delle nozze con il principe ereditario Umberto di Savoia. Era infatti ancora in uso tra le famiglie reali europee, ancora agli inizi del XX secolo, combinare i matrimoni dei propri figli, veri e propri affari di Stato tra le potenze europee che, è bene ricordarlo, fino alla Prima Guerra Mondiale, erano tutte monarchie, ad eccezione della Francia. E fu così che Maria Josè trascorse alcuni anni della propria infanzia tra le collegiali della Santissima Annunziata del Poggio Imperiale, scuola statale ancora oggi molto ambita dalla borghesia italiana, nel quale imparò l’italiano ed ebbe alcune occasioni per incontrare il futuro sposo. Il primo incontro fra i due principi avvenne quando Maria Josè aveva 12 anni e Umberto 14. I sogni di un matrimonio felice con Umberto, il più bel principe d’Europa, rimasero tali almeno fino alla prima notte di nozze l'8 gennaio 1930, che il rampollo Savoia preferì passare con i più intimi amici. Grandi erano le loro differenze caratteriali, e altrettanto grandi erano le differenze culturali tra la corte italiana e quella belga. La prima rigida e ossequiosa della forma, la seconda più liberale e aperta alle novità, tanto che non erano un mistero le simpatie socialiste di Re Alberto. Differenze che si evidenziarono sempre di più nei duri anni della guerra quando Maria Josè, in aperta sfida del regime fascista e del suocero Vittorio Emanuele III che certo non l’amava, ma che molti anni prima l’aveva scelta per la ricca dote, intrattenne rapporti con esponenti della Resistenza e del mondo culturale antifascista. Umberto, invece, si limitava a seguire i precetti del padre che però non lo coinvolgerà mai nelle scelte di Stato, tanto che era famosa a corte la frase “In casa Savoia si regna uno alla volta”. E Umberto, per la grande deferenza al padre, che era anche il suo superiore militare, non osò mai contrastare scelte dolorose, come quella di lasciare all’improvviso Roma per Pescara l’8 settembre, senza avvertire i vertici militari, che si ritrovano quindi senza comandi. Un sbaglio che lo stesso Umberto, incalzato da Nicola Caracciolo nella celebre intervista filmata, l’unica che l’ex sovrano dette in 37 anni di esilio a Cascais, ammise di aver fatto. Un passo falso che determinerà la scelta repubblicana anche di molti moderati nel referendum istituzionale.
La Regina Maria Josè si astenne al Referendum tra Monarchia e Repubblica: non lo considerava elegante
Se Umberto non hai mai voluto parlare degli esiti del referendum, la Regina invece si lasciava andare, dicendo di non aver votato né per la monarchia né per la repubblica, “perché non mi sembrava elegante votare per me stessa”. Dopo alcuni mesi insieme in Portogallo, le strade di Umberto e Maria Josè si sì divideranno molto presto. Il primo a Cascais con le figlie Maria Pia, Maria Gabriella e Maria Beatrice, la seconda a Ginevra con il figlio Vittorio Emanuele. Il resto è cronaca rosa nei rotocalchi popolari del Dopoguerra, con le storie d’amore movimentate delle giovani principesse Savoia, come quella di Beatrice detta “Titti” con Maurizio Arena, e qualche volta cronaca nera, come l’incidente di Cavallo in cui rimase coinvolto Vittorio Emanuele, poi prosciolto da ogni accusa, ma che costò la vita ad un giovane ragazzo tedesco. A far parlare di casa Savoia ci pensa oggi Emanuele Filiberto, il quale dopo una esperienza con i food trucks sulle strade americane, ha recentemente aperto il ristorante italiano Prince of Venice a Westwood, il quartiere dei vip (insieme a Beverly Hills) di Los Angeles. Una scelta che, pare, stia avendo successo e che esalta le eccellenze italiane negli Usa come la famosa pizza Margherita (di Savoia, la prima Regina d’Italia), e che ha forse fatto capire all’erede sabaudo che è più facile mettere a frutto il suo nome nel campo dell’imprenditoria (e della ristorazione) piuttosto che in quello politico, come già sperimentato nel passato senza grande esito.
La cerimonia prevista all’Abbazia di Hautecombe sabato 18 marzo alle ore 15
Se il ventennale della scomparsa di Maria Josè non era potuto essere svolto a causa della persistenza della pandemia da Coronavirus, in occasione del quarantennale della scomparsa di Re Umberto è prevista una solenne messa nell’Abbazia di Hautecombe in Francia, dove è sepolto insieme alla consorte. I fedeli di casa Savoia assicurano la presenza del Principe Vittorio Emanuele, nonostante le sue precarie condizioni di salute dovute all’età (ha compiuto 86 anni il 12 febbraio). Alla cerimonia dovrebbe essere presente tutta la famiglia al gran completo, compresa la moglie di Emanuele Filiberto e le due Figlie Vittoria e Luisa, ormai nominate con decreto reale, eredi di Casa Savoia. Norma naturalmente contestata, per gli ormai noti fatti, dal cugino Aimone di Savoia, nuovo duca d’Aosta dopo la recente scomparsa del padre Amedeo, e padre di tre figli: Umberto. Amedeo, Isabella, che si dichiara lui stesso successore dell’ultimo Re. Una diatriba che rimarrà conversazione da salotto visto che al momento di troni al Quirinale non ce ne sono a disposizione.
Il libro di Massimo Franco su Giulio Andreotti svela alcuni retroscena dell’eredità Savoia
E sempre a venti due anni dalla scomparsa di Maria Josè, e quaranta da quella di Umberto II, e in occasione dell’apertura dell’Archivio apostolico (l’ex Archivio Segreto Vaticano), per gli anni 1939 – 1958, vengono svelati nel libro di Massimo Franco «C’era una volta Andreotti. Ritratto di un uomo, di un’epoca e di un Paese» (Ed. Solferino, 16 euro) alcune carte inedite che svelano le trattative più riservate tra neonata Repubblica italiana e gli eredi della monarchia sabauda per quanto riguarda l’eredità di Vittorio Emanuele III. Dalle carte analizzate da Massimo Franco si evince un interessamento benevolo del futuro presidente del Consiglio, all’epoca alle prime esperienze politiche in qualità di sottosegretario, nei confronti di Casa Savoia per quanto riguarda la delicata questione dell’avocazione da parte dello stato dei beni privati degli ex re. In un appunto scritto a macchina, in un foglio con l’intestazione «Archivio della Segreteria di Stato», anno 1948, si legge: «Il Marchese Solaro del Borgo fa presente l’urgenza di un interessamento della Santa Sede presso l’On. Andreotti per definire la questione del Patrimonio di Casa Savoia specie per quel che riguarda i beni di Londra». In un altro appunto si legge: «È fatta presente l’urgenza di un interessamento presso S.E. Andreotti, allo scopo che sia definita la questione del patrimonio di Casa Savoia, specialmente per quanto riguarda i beni di Londra, per i quali si corre il pericolo di una prossima scadenza e di una tassa di successione del 72 per cento. Si desidererebbe che S.E. Andreotti facesse qualche pressione su Peano». In un terzo appunto si legge: «Appunto per S.E. il Sostituto», «Il Marchese Solaro del Borgo fa presente l’urgenza di un interessamento della Segreteria di Stato presso S.E. Andreotti allo scopo che sia definita la questione del Patrimonio di Casa Savoia».
La mano di Giulio Andreotti sulla questione dei beni privati di Casa Savoia depositati presso una banca di Londra
Luigi Peano era un avvocato e prefetto politico a Perugia, diventato nel 1948 il commissario scelto da Alcide De Gasperi per amministrare i beni della corona dopo la soppressione del ministero della Real Casa. Mentre quando si parla della Segreteria di Stato vaticana si fa riferimento a Giovan Battista Montini, futuro Papa Paolo VI. La richiesta di “triangolazione” nei rapporti tra Stato italiano e Casa Savoia era probabilmente necessaria per evitare rapporti diretti tra l’uomo di fiducia di Umberto II, il marchese Solaro del Borgo, con Alcide De Gasperi che sulla questione era abbastanza indifferente, se non sfavorevole, mentre Andreotti appariva più simpatizzante per la causa monarchica, tanto si dicesse, anche se non ci sono mai state affermazioni dell’interessato in tal senso, che il sottosegretario democristiano, al referendum istituzionale monarchia repubblica avesse votato per la prima. La questione dei beni privati di Casa Savoia, e nello specifico della assicurazione sulla vita che Umberto I aveva depositato alla fine del 1800 in una banca inglese, non era di facilmente risolvibile, anche in virtù dell’avocazione dei beni Savoia in seguito all’entrata in vigore la nuova Costituzione italiana il 1° gennaio 1948. C’era poi stato anche il contenzioso a Londra con lo Stato inglese che inizialmente aveva posto sotto sequestro i beni “inglesi” dei Savoia in quanto questi ultimi ex nemici nella Seconda Guerra Mondiale. Contenzioso poi risoltosi dopo l’armistizio.
Lo scontro tra l’avvocatura dello Stato e il Ministero delle Finanze sui beni privati dei Savoia
Le quattro figlie di Vittorio Emanuele III, che era morto il 28 dicembre 1947, quattro giorni prima dell’entrata i vigore della costituzione dovevano dividersi l’eredita (Umberto era escluso in quanto ex re e quindi non beneficiario per le diposizioni della costituzione repubblicana) e tutto sembrava filare liscio: l’Avvocatura dello Stato aveva dato parere positivo, ma il ministero delle Finanze si era opposto, tanto da sequestrare tutto il patrimonio. Negli appunti vaticani tornati alla luce si continua a leggere: «da tale situazione è derivato un risveglio di ideologie monarchiche che evidentemente non aiutano a stabilire una solidarietà per il nuovo regime istituzionale, mentre si compie una ingiustizia nei confronti di persone che non hanno che benemerenze verso il Paese...». In sostanza Solaro del Borgo invita Andreotti a perorare la questione ereditaria Savoia anche per andare incontro al sentimento dei moderati italiani, che vedevano lesi dei diritti personali patrimoniali della famiglia reale e al tempo stesso evitare al nuovo regime repubblicano rivendicazioni di stampo monarchico. Alla fine i Savoia ebbero quello che spettava loro. Una delicata e difficile trattativa era andata in porto in un Paese ancora dilaniato dai postumi della guerra, e la grande abilità di mediare farà guadagnare al leader democristiano una delle carriere politiche più lunghe della storia repubblicana italiana.
I Savoia le la Sacra Sindone: la donazione di Umberto II al Vaticano. Ecco la riproduzione del testamento
Il 18 marzo 1983 moriva in Ginevra Umberto II di Savoia. I solenni funerali si svolsero il 24 marzo nell’abbazia di Hautecombe, ove la salma era stata trasferita. L’annuncio della donazione della sacra Sindone alla Santa Sede nella persona del regnante pontefice Giovanni Paolo II venne data il 25 marzo 1983 in Ginevra dall’Avvocato Armando Radice che lesse il seguente comunicato: “In data 23 marzo, il conte Fausto Solaro del Borgo ha consegnato a sua eminenza reverendissima il cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato di Sua Santità, una lettera degli esecutori testamentari di Sua Maestà Umberto II, Sua Maestà Simeone di Bulgaria e Sua Altezza Reale il Langravio Maurizio d’Assia, con la quale lo pregavano di informare Sua Santità Giovanni Paolo II che il defunto Sovrano aveva disposto tra le sue ultime volontà che la Santa Sindone conservata nel Duomo di Torino venisse offerta in piena proprietà al Sommo Pontefice. Sua Altezza reale il Principe di Napoli, anche a nome dell’intera famiglia, ha espresso la gioia di potere, rispettando la volontà dell’augusto genitore – che è intesa a garantire per il futuro definitivamente l’affidamento alla Santa Sede di una delle reliquie più insigni della Passione di Nostro Signore – compiere un gesto di devozione verso la persona del Sommo Pontefice della Chiesa romana. Il Principe di Napoli ha voluto che l’intenzione del defunto Sovrano fosse portata a conoscenza di Sua Santità Giovanni Paolo II alla vigilia dell’apertura dell’Anno Santo”. Ecco il testo originale del documento di donazione così come è stato pubblicato dalla principessa Maria Gabriella di Savoia nel volume La Sindone nei secoli nella collezione di Umberto II, Gribaudo, Torino, 1998, pp. 11-15.
A Sua Maestà Simeone di Bulgaria A Sua Altezza Reale Maurizio d’Assia
In considerazione della secolare venerazione che la Chiesa Cattolica dedica alla Santa Sindone, conservata nella Reale appella del Duomo di Torino. Essendo Confermato che la Gerarchia Cattolica riconosce alla Casa di Savoia, nella Persona del suo Capo, i secolari diritti di proprietà della Santa Sindone. Ritenendo doveroso per il futuro garantire definitivamente l’affidamento alla Chiesa di una delle Reliquie più insigni della Passione di Nostro Signore,
DISPONGO
che dopo la mia morte la piena proprietà della Santa Sindone venga trasferita in donazione della Santa Sede. Unitamente alla Santa Sindone dovrà essere donato quanto pertinente al culto della Medesima, conservato nella Reale Cappella del Duomo di Torino ed, eventualmente, risultante di mia proprietà. Prego pertanto Voi, quali miei esecutori testamentari, di voler effettuare tutti i passi necessari perché questa mia volontà sia portata a conoscenza del Sommo Pontefice, affinché Egli disponga dell’affidamento della Santa Sindone. Desidero che per la cessione della proprietà venga redatto un documento ufficiale con la Santa Sede e, in virtù delle presenti disposizioni, Voi siete delegati a procederne alla definizione ed alla firma.
Fatto in Ginevra il 27 marzo 1981
Il 19 ottobre 1983 “L’Osservatore Romano” in prima pagina riportava questa breve comunicazione:
Perfezionato l’atto di donazione della Sindone alla Sede Apostolica. Nella mattinata di oggi, 18 ottobre 1983, l’Em.mo Cardinale Agostino Casaroli, Segretario di Stato, in nome e per conto della Santa Sede, ha sottoscritto con S. M. Simeone di Bulgaria e S.A.R.. Maurizio d’Assia ed alla presenza di S.A.R. Amedeo d’Aosta, il documento con il quale è stato perfezionato l’atto di donazione della Sacra Sindone alla Sede Apostolica, in esecuzione della disposizione testamentaria del Re Umberto II di Savoia. Al termine dell’atto, il Cardinale Segretario di Stato ha manifestato la riconoscenza del Santo Padre per il gesto deferente del defunto Sovrano e per i sentimenti di devozione verso la Sede Apostolica che lo hanno ispirato. Segue il testo completo della lettera del Segretario di Stato Cardinale Agostino Casaroli, ripreso dalla “Rivista Diocesana Torinese”, novembre 1983, pp. 957-958:
SEGRETERIA DI STATO n. 115.046
dal Vaticano, 14 novembre 1983
Signor Cardinale,
Come è noto, Sua Maestà Umberto II di Savoia, in data 27 Marzo 1981, con documento firmato a Ginevra, dispose che, dopo la sua morte, la piena proprietà della Santa Sindone, conservata nella Reale Cappella del Duomo di Torino, fosse trasferita in proprietà alla Santa Sede. Il 18 ottobre scorso, alla presenza di Sua Maestà Simeone di Bulgaria, Sua Altezza Reale Maurizio d’Assia, in qualità di esecutori testamentari, e del Duca Amedeo di Savoia Aosta, ho accettato la donazione della Santa Sindone a nome e per conto della Santa Sede, come Ella potrà rilevare dal verbale qui unito in fotocopia. Mi do ora premura di comunicarLe che il Santo Padre ha nominato l’Arcivescovo pro tempore di Torino delegato della Santa Sede per tutto ciò che concerne la conservazione e il culto delle preziosa Reliquia, atteso che essa continuerà a restare a Torino. Profitto della circostanza per confermarmi con sensi di profonda venerazione dell’Eminenza Vostra Reverendissima
Dev.mo in Domino
A. Card. Casaroli
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