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"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Fuori ed oltre il proprio tempo: racconto in forma di parabola filosofica tratto da “Genealogia della morale di Nietzsche

“... soltanto la cattiva coscienza, soltanto la volontà di svillaneggiare sé stessi, fornisce il presupposto per il valore del non egoistico...”

20 Novembre 2025

Friedrich Nietzsche

“... soltanto la cattiva coscienza, soltanto la volontà di svillaneggiare sé stessi, fornisce il presupposto per il valore del non egoistico...”

Da Friedrich Nietzsche, “Genealogia della morale”

R. se ne stava tutto solo sul ciglio di un profondissimo baratro. Per lui era assolutamente normale – una condizione imprescindibile della sua natura. Ma il baratro non era un concetto, non era un’astrazione: era reale, materiale e visibile allo sguardo di chiunque vi si approssimasse. Ogni qual volta gli era possibile, e aveva tempo sufficiente, faceva, tutto solo, la passeggiata che lo conduceva davanti ad esso.


Sul limine di quello sprofondo, si poteva godere la veduta del mare a perdita d’occhio: un’immensa, sconfinata e inquieta distesa di blu, solcato da onde, piccolissime alla vista, che spumeggiavano lontane e minute come bianchi ricami su seta. Ma a R. non interessavano l’ancestrale fascino e l’inquieta natura del mare. Certo, sapeva bene che era da lì che la vita aveva avuto inizio, come in una grande culla che richiamava alla sua mente destra e allenata al ragionamento, l’idea del liquido amniotico… Purtroppo, – continuava a ragionare in una di quelle lunghe catene di pensieri che tanto gli erano familiari, – quel mare era solcato da navi serve di una luce così lontana dal fulgore della verità e dell’estenuante esercizio della consapevolezza. Quelle navi, issavano al vento vessilli che erano il suggello di false conquiste, d’ideali svenduti al soldo di un potere incapace di abbracciare la bellezza e i tesori del mondo senza svilire il loro oro in stagno. No, il mare non gli interessava in sé stesso, se non, forse, visto dal ciglio di quel baratro… Per comandare, – lui pensava, – bisogna avere la fierezza e la nobiltà dell’aquila…e come l’aquila, saper scrutare dall’alto, da molto in alto. È insito, in essa, il volo regale, il calcolo esatto e infallibile che fa di ogni suo movimento un’approssimazione asintotica alla perfezione e alla bellezza di una libertà che regna sulla sua stessa natura… Avvoltoi volgari e spennati, sono i potenti che muovono gli eserciti, decidono le leggi, e avvelenano il popolo del veleno lento dell’assuefazione alla servitù.


Il baratro è proprio l’unica cosa che conta, per l’infelice R., l’espressione più alta del senso di sfida, la vertigine in preda alla quale, soltanto, si compiono i gesti e le scelte più radicali, avvicinando al Cielo una vita altrimenti prona e grufolante nella melma dei compromessi, in cerca di qualche misera ghianda.


Ghiande per porci, sono le verità che giustificano l’immensa deriva dell’uomo dall’uomo, che ottenebrano la mente con le venefiche lusinghe di essere un limite a se stessi, per poter dire di non essere un limite a vacuità come la supposta onnipotenza di un Dio, riconosciuto e servito frustrando la carne agli occhi di chierici avvizziti – occhi velati dalle cataratte del risentimento, unico ed essenziale sostrato di ogni loro tortuoso sofisma scolastico, mai inclini al perdono verso la povera gente, ma ben allenati a restar bassi quando si tratta di accordarlo a chi unge il religioso ufficio con oboli che gli valgono assoluzione certa –, e bramandola fino al parossismo in privato. Costoro sono gli stessi che rinunciano di buon grado, non alla ricchezza, come il buon S. Francesco, ma solo a una ricchezza che non faccia tintinnare, di tanto in tanto, i forzieri della Chiesa, e non alimenti l’opulenza di chi, per mestiere, consiglia i potenti accarezzandoli per il verso del pelo e svuotandoli di nerbo, di chi fa, per mestiere, la scimmia ammaestrata. Davvero degne di speciale menzione, codeste scimmie, pronipoti del celeberrimo buffone di Re Lear, ma, come si conviene al Nostro Tempo, prive dell’arguzia e della coraggiosa franchezza che gli erano care più del buon vino.
Ah…io vedo lontano. Vedo oltre. Vedo un Tempo in cui, tutti e ciascuno, avranno vergogna del meglio che ha da venire, e si sperticheranno a decantare la forza dell’Ideale… Per la verità, io maledico l’enfio tepore dell’Ideale, e benedico il sacro fuoco di ciò che Ideologia sarà nomato!


R. pensa quel giorno che è fuori del suo Tempo, e forse fuori da ogni Tempo… Vicino com’è, e come non è stato mai, al baratro, avverte come una dolce e familiare carezza, la stessa da cui così spesso è stato tentato nel corso della sua vita… Ma stavolta non si limita a subirne la suggestione, stavolta ne coglie l’essenza, e capisce che così come mai ha saputo amare totalmente e incondizionatamente una donna – se non le donne che mai ha potuto avere – e nessuna causa in particolare – se non le cause che abbracciava per contrarietà – allo stesso modo amava quel baratro. Lì, e lì soltanto, sente ora di essere veramente solo con sé stesso e con il suo dramma personale; ciononostante, per un attimo, un fuggevole, insignificante attimo, in una parte assai riposta della sua persona, avverte di non essere così solo, e di esistere anche altrove e oltre quel preciso quando – molto, molto lontano… E non sa capire, se in un passato remoto, in un remoto futuro, o nel trascurabile niente che sta in mezzo a questi imprescindibili estremi.

di Massimo Triolo

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