22 Novembre 2025
Tre anni. Questa l'età in cui la maggior parte dei bambini impara a correre, a saltare, a esplorare il mondo con l'energia inesauribile dell'infanzia. Francesco Sicilia Gelsomino, invece, a tre anni ricevette dal padre una tastiera. Non un giocattolo qualsiasi, ma uno strumento destinato a diventare la sua voce, il suo modo di esistere nel mondo.
Oggi Francesco, in arte Frenci, ne ha 25 e quella tastiera è diventata molto più di uno strumento: è il ponte che collega la sua sedia a rotelle al resto dell'umanità. Una connessione costruita nota dopo nota, poesia dopo poesia, con una determinazione che farebbe impallidire chiunque.
Nato con una forma di tetraplegia, Frenci non ha mai chiesto compassione. Non ha voluto privilegi, e tanto meno pietà. Ha cercato qualcosa di più difficile: un linguaggio capace di superare i limiti del corpo, di trasformare la disabilità in identità artistica.
«Mi muovo come un robot, ma ho inventato il mio modo di suonare», spiega con quella semplicità disarmante che caratterizza le persone davvero eccezionali. "Lavoro con l'energia, i bassi, poche dita alla volta, ma con tutta l'anima".
Il suo approccio al pianoforte è unico: ispirandosi ai monaci del Settecento che suonavano il fortepiano con sole tre dita, Frenci ha sviluppato una tecnica personale, fatta di gesti controllati, note essenziali, energia pura. Un linguaggio musicale che è insieme pop, istintivo, emotivo. Dove ogni suono non è solo musica, ma presenza, messaggio, testimonianza.
Ma il percorso non è stato lineare. C'è stato un momento in cui tutto poteva finire: la morte improvvisa del padre, il primo a credere nella sua musica, l'unico che aveva visto in quel bambino costretto su una sedia a rotelle un artista in grado di emozionare il mondo.
"Ho pensato di mollare tutto", ammette Frenci. "Ma poi mi sono detto: lui non avrebbe voluto così. Ho deciso di reagire: ho preso il mio pianoforte e sono andato a suonare per strada, a Bologna, come volevamo fare insieme".
L'estate 2024 lo vede busker sotto i portici bolognesi, con il suo pianoforte portatile e una manciata di sogni. I passanti si fermano, ascoltano, si commuovono. Alcuni lasciano qualche moneta, altri si limitano ad applaudire. Ma quello che conta è altro: Frenci ha trovato il suo pubblico, la conferma che la sua musica funziona, che il suo messaggio arriva.
L'inaspettato accade poche settimane dopo: una redattrice del programma "Dalla strada al palco" lo contatta per un provino. La storia di Frenci viene selezionata tra centinaia. I suoi brani vengono arrangiati dal maestro Luca Chiaravalli, le sue poesie vengono lette da Beppe Fiorello e Luca Argentero. E lui, il ragazzo che si vergognava delle sue mani, si ritrova a suonare con Nek davanti a milioni di spettatori su Rai 1.
"Non ci potevo credere", racconta. "Ma la cosa più incredibile è l'affetto delle persone. La gente mi ferma per strada, mi scrive, mi ascolta".
Il successo televisivo non lo ha cambiato. Frenci continua a suonare per strada, a scrivere, a comporre. Ma soprattutto continua a difendere il suo credo più profondo: "Voglio essere trattato come tutti gli altri. Oppure avere in cambio la libertà di essere diverso".
Il suo brano più rappresentativo si intitola "Voice in Space". Una composizione che Frenci descrive così: "Parla di quando ti manca il fiato. Nello spazio non c'è suono, ma la musica riesce a farci sentire meno soli". Una metafora potente della sua condizione: impossibilitato a muoversi liberamente, trova nella musica l'ossigeno per respirare, per comunicare, per esistere.
Tra le sue poesie, spicca "Fiorire", che lui stesso definisce "motivazionale e autoironica". Una riflessione sulla diversità affrontata con una maturità rara: "Tutti i fiori vogliono fiorire". Una frase semplice, ma che contiene un universo di significati.
Le sue parole sono diventate virali sui social, trasformate in citazioni, condivise migliaia di volte:
"La Z è l'ultima lettera dell'alfabeto, ma senza di lei l'alfabeto non avrebbe senso".
"L'arte è della passione che non sa aspettare, di chi la vuole nella propria vita perché senza non vede domani".
"La mia fobia di cadere all'indietro non è un problema: devo solo guardare avanti".
Ma la frase che lo ha reso celebre è un'altra, quella che ha ripetuto su Rai 1 e che oggi è il suo manifesto artistico: "Credete nei vostri sogni, non negli incubi degli altri".
Frenci non vuole essere un simbolo. Non gli piace l'etichetta di "ragazzo coraggioso che ce l'ha fatta nonostante tutto". Rifiuta la retorica dell'ispirazione facile, quella che trasforma le persone con disabilità in esempi edificanti per normodotati in cerca di motivazione.
"Non voglio essere un esempio", ha dichiarato più volte. "Voglio essere un artista. Punto". E in effetti la sua musica, le sue poesie, la sua presenza scenica parlano da sole. Non c'è bisogno di aggiungere aggettivi pietosi o enfatici.
Ciò che Frenci ci ricorda, ogni volta che suona o scrive, è qualcosa di più profondo: la fragilità non è un difetto, ma un'altra forma di forza. La diversità, quando è vissuta con libertà e autenticità, può diventare una delle spinte creative più potenti del nostro tempo.
Oggi Frenci sta lavorando a un progetto che unisce le sue due anime: quella del pianista e quella del poeta. Un progetto lirico-musicale che promette di portare ancora più avanti la sua ricerca espressiva.
Nel frattempo continua a suonare per strada, a rispondere ai messaggi dei fan, a coltivare quella connessione umana che per lui è importante quanto la musica stessa.
Quando gli chiedono cosa vuole dal futuro, la risposta è semplice: "Voglio continuare a fare quello che faccio. Scrivere, suonare, raccontare. E soprattutto vivere. Semplicemente vivere".
Da una tastiera regalata dal padre su gambe immobili a un palco nazionale. Da una sedia a rotelle a un linguaggio universale. La storia di Frenci non è quella di un eroe, ma di un artista che ha deciso di esistere alle sue condizioni, con i suoi mezzi, con la sua voce.
Una voce che, come suggerisce il titolo del suo brano più amato, risuona anche nello spazio. Dove non c'è suono, dove non c'è ossigeno, dove apparentemente non c'è vita. Ma dove la musica, ostinatamente, continua a farci sentire meno soli.
Di Massimo Garofalo
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