15 Gennaio 2023
Luca Signorelli, Dante, affresco, 1499-1502, particolare tratto dalle Storie degli ultimi giorni, cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto
Per noi che insegniamo letteratura italiana a scuola e all’università e che formiamo le nuove generazioni a una cittadinanza responsabile, lo sviluppo di un pensiero critico lontano da ogni condizionamento è il presupposto necessario sul quale si fonda il significato stesso del nostro lavoro.
Dante non è né di destra né di sinistra; il senso etico del lavoro intellettuale, l’esercizio virtuoso del potere e la libertà di pensiero sono i fondamenti della sua opera, che nasce proprio dal rifiuto di ogni strumentalizzazione. Lo scriveva lui stesso nelle parole del suo maestro Brunetto Latini che preannunciando al suo allievo, nel canto XV dell’Inferno, un destino glorioso, lo sottraeva a qualsiasi logica di parte e profetizzava:
che l’una parte e l’altra avranno fame
di te; ma lungi fia dal becco l’erba.
Ma se anche non si trattasse di Dante, che è forse lo scrittore che più si presta a una difesa della libertà di giudizio, il rifiuto di astoriche etichette politiche varrebbe per qualsiasi altro autore: nessuna epoca e nessuna parte politica si può appropriare di scrittori che appartengono al mondo intero.
D’altronde Dante, il padre della patria, l’inventore della lingua italiana ha sempre suscitato tentativi di appropriazione proprio perché massimo interprete, dal Risorgimento in poi, della cultura nazionale; ed è proprio sul significato e sulla funzione di una cultura nazionale che vale piuttosto la pena interrogarsi nuovamente oggi, in un mondo globalizzato e profondamente diverso dall’epoca risorgimentale, dal fascismo, dal dopo guerra; e questo a partire proprio dalla tradizione linguistica e letteraria italiana che ci aiuta a prendere coscienza della nostra storia per collocarci nel presente.
Silvia Tatti, Presidente dell’Associazione degli Italianisti
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