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Ambiguità delle leggi e burocrazia inefficiente: il doppio freno che rallenta imprese e crescita economica, in attesa di una riforma

In Italia, la qualità delle leggi non è solo un tema per giuristi o accademici: è una questione economica centrale, con effetti concreti sulla competitività, sugli investimenti e sull’efficienza dello Stato

16 Ottobre 2025

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L’Italia e la trappola dell’ambiguità normativa

In Italia, la qualità delle leggi non è solo un tema per giuristi o accademici: è una questione economica centrale, con effetti concreti sulla competitività, sugli investimenti e sull’efficienza dello Stato. Lo conferma uno studio recente del CESifoInstitute di Monaco di Baviera, che analizza l’impatto delle leggi ambigue sul sistema giudiziario e sulla crescita economica. Il documento, intitolato The Economic Costs of Ambiguous Laws, parte da una realtà ben nota ai professionisti del diritto: le leggi italiane sono spesso incomprensibili, farraginose, ridondanti e scritte in un linguaggio oscuro. Più che strumenti di ordine, diventano fonti di incertezza. Il risultato? Tribunali imprevedibili, sentenze contrastanti, imprese scoraggiate dal rischio legale. E uno Stato di diritto indebolito.

Giustizia inefficiente e crescita bloccata

Secondo lo studio, se la produzione normativa italiana avesse lo stesso livello di chiarezza della nostra Costituzione, il PIL sarebbe oggi superiore del 5%. Una cifra enorme, che equivale a decine di miliardi di euro persi ogni anno a causa di norme mal scritte. Gli autori del paper mostrano come il disordine legislativo produca effetti negativi soprattutto nei territori dove la giustizia funziona peggio. Qui, l’ambiguità normativa aggrava l’imprevedibilità del giudizio, disincentivando gli investimenti. Il problema non è solo teorico. I ricercatori hanno incrociato dati linguistici, giudiziari ed economici e dimostrato un nesso causale diretto: dove le leggi sono più confuse, nascono meno imprese, l’economia ristagna e la fiducia crolla. In altre parole, la cattiva legislazione è un vero e proprio freno invisibile allo sviluppo.

Un danno soprattutto per i piccoli e per il Sud

Chi paga il prezzo più alto di questa incertezza? Le piccole imprese, gli artigiani, gli imprenditori locali. Ovvero il cuore pulsante dell’economia italiana. Sono loro a non potersi permettere lunghe cause civili o interpretazioni ondivaghe da parte dei giudici. In contesti territoriali con tribunali lenti o contraddittori, molti rinunciano a investire del tutto. Questa situazione colpisce in modo particolare le regioni del Mezzogiorno, dove la giustizia è meno efficiente e la pressione burocratica più pesante. Il risultato è un’Italia a due velocità, non per mancanza di idee o di capitale, ma per colpa di un sistema normativo disfunzionale.

Leggi scritte per accontentare le lobby

Alla base di questo caos normativo vi è una deriva politica ben nota: leggi scritte per compiacere lobby e corporazioni, oppure per inseguire il consenso mediatico. Più che atti razionali di governo, molti testi legislativi appaiono come compromessi di bassa cucina politica. A farne le spese è la coerenza del diritto, ma anche la capacità dello Stato di essere prevedibile, equo e trasparente. Serve dunque un cambiamento culturale, prima ancora che tecnico. Il processo legislativo va riformato: occorre riscoprire il principio di legalità come pietra angolare dell’economia liberale, non come retaggio formale del passato.

Il nodo della burocrazia: zavorra del sistema Paese

Ma accanto alla confusione normativa, c’è un altro gigante silenzioso che blocca l’Italia: la burocrazia pubblica. Secondo l’Indice della qualità del governo dell’Università di Göteborg, l’Italia è terzultima tra i 36 Paesi OCSE per efficienza amministrativa. Abbiamo perso terreno in modo clamoroso: nel 2000 eravamo ventesimi, oggi superati anche da Spagna e Portogallo. L’indice considera corruzione, qualità delle leggi e professionalità della PA. Tre voci che pesano come macigni sull’intero sistema economico. L’inefficienza amministrativa non è solo un fastidio: costa miliardi. Secondo Confcommercio, se avessimo una PA come quella tedesca, tra il 2009 e il 2018 avremmo guadagnato oltre 70 miliardi di PIL in più.

Brunetta e il tentativo (incompiuto) di riforma

Durante il governo Draghi, il ministro Renato Brunetta ha avviato un tentativo coraggioso di riforma della pubblica amministrazione. Tra le misure previste: digitalizzazione, gestione moderna delle risorse umane, concorsi trasparenti, valorizzazione del merito e riduzione dei vincoli burocratici. Il tutto finanziato con 1,67 miliardi di euro del PNRR, più altri 50 miliardi per la trasformazione digitale.Tuttavia, con la fine del governo e le dimissioni di Brunetta, molti di quei progetti sono rimasti incompiuti. Ora spetta al centrodestra, che ha una solida maggioranza parlamentare, rilanciare con determinazione quel percorso.

Meno leggi, più chiare, e una PA che funzioni

Il messaggio è chiaro: non serve fare più leggi, serve farle meglio. Leggi brevi, chiare, coerenti, applicabili. Norme pensate per favorire la libertà economica, la certezza del diritto e la responsabilità individuale. In parallelo, serve una PA snella, digitale, meritocratica, capace di sostenere cittadini e imprese invece di ostacolarli. Questa non è una battaglia tecnica, è una scelta di civiltà. Il liberalismo non può tollerare uno Stato che paralizza invece di proteggere. Se vogliamo un’Italia che cresce, crea valore e attrae investimenti, dobbiamo restituire dignità alla legge e serietà alle istituzioni. Il resto è solo retorica.

Di Riccardo Renzi

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