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Leoncavallo, altro che legalità condivisa: a Milano lo Stato sfratta e il Comune guarda il telefonino

Il sindaco di Milano non sapeva nulla. Lo avvisa il prefetto a giochi fatti. E ora si scopre che “Leonka è cultura”

22 Agosto 2025

Leoncavallo, altro che legalità condivisa: a Milano lo Stato sfratta e il Comune guarda il telefonino

È bastata una telefonata – a cose fatte! – per avvisare il sindaco Giuseppe Sala che il centro sociale Leoncavallo, icona della Milano alternativa, era stato appena sfrattato. Niente avvertimenti, niente briefing, niente “gentili preavvisi istituzionali”. Solo un colpo di telefono del prefetto Claudio Sgaraglia. Il sindaco? Sorpreso. Anzi, allibito.

E pensare che proprio il giorno prima si era tenuto un Comitato per l’ordine e la sicurezza. Sala non c’era, ma aveva delegato il vicecomandante della polizia locale. Eppure, su un’operazione che ha fatto tremare i muri del Leonka, nessuno ha fiato parola.

Sala adesso fa il garantista nostalgico: “Il Leoncavallo ha un valore storico e sociale per la città”, ha detto, ribadendo che dovrebbe “emettere cultura” – magari con un affitto e due bollette, aggiungiamo noi. Ma la realtà è che mentre il sindaco si aggrappa ai ricordi della Milano “alternativa ma legale”, lo Stato ha deciso di fare ordine. Con o senza Palazzo Marino.

La domanda è una sola: chi comanda a Milano? Perché se la città viene messa davanti al fatto compiuto, mentre il sindaco apprende le notizie via telefono come un qualsiasi cittadino, allora siamo davvero al ribaltamento dei ruoli.

Una cosa è certa: il Leoncavallo non è solo un centro sociale. È un simbolo. E il suo sfratto, eseguito nel silenzio delle istituzioni comunali, è un segnale chiaro.

Ora la palla passa al Comune. Sarà ancora “cultura” o diventerà finalmente legalità? E soprattutto: qualcuno avviserà Sala la prossima volta?

Di Aldo Luigi Mancusi

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