05 Agosto 2025
Photo source: Don Elvir Tabaković, Can. Reg. https://www.liturgicalartsjournal.com
La Chiesa riceve la liturgia non la crea, soprattutto a uso e consumo dei pastori di turno secondo il vento che tira. Eppure oggi vediamo le cose andare diversamente. Da quando Bergoglio ha dichiarato guerra al Vetus Ordo - cioè, al rito antico della Messa che ha accompagnato la Chiesa per secoli – con l’emanazione del motu proprio Traditionis Custodes, limitando di fatto la libertà di celebrare secondo il messale di Pio V, non c’è più scampo per i sacerdoti che vogliano avvalersi dell’antica «forma straordinaria della Liturgia della Chiesa». Tra gli ultimi casi emblematici, quello del sacerdote don Nicolò Casoni, già parroco della Chiesa di Santa Maria Nascente. Sì, già parroco, perché è stato costretto dall’arcivescovo di Milano Delpini a scegliere tra la celebrazione della Messa secondo il rito antico ambrosiano e la guida della parrocchia. Custodire l’antica tradizione cattolica non è compatibile con i diktat della nuova “chiesa bergogliana”, che, nonostante la dipartita dell’eponimo, continua a perseguitare coloro che restano fedeli alla Traditio catholica e resistono alle “novità” al margine dell’eresia. L’imperativo è protestantizzare la Chiesa cattolica, dissolvendone la sostanza e allontanandola sempre di più dall’Ortodossia, fino a creare una frattura insanabile tra le due Chiese. L’Occidente non deve riunirsi con l’Oriente. Questo è il comando che la quinta colonna ha ricevuto dai nemici della Chiesa, i medesimi nemici di ieri, oggi e sempre.
Questa nuova “teologia”, per cui la Chiesa crea la liturgia, come se la verità provenisse dal basso mediante un processo dialettico che parte dalla prassi e non dall’Alto, è una tipica escrescenza del tumore modernista, che dopo essersi infiltrato nei Gesuiti e avendone corrotto lo spirito, producendo l’aberrante teologia del popolo o teologia della liberazione – cioè, il marxismo in teologia - ha “gesuitizzato” la Chiesa fino alla sommità. Benedetto XVI ha ricordato che la liturgia è un dono alla Chiesa, un dono che la Chiesa deve custodire. Per questo nel motu proprio Summorum Pontificum Benedetto volle “riabilitare” l’antico rito di Pio V, dal momento che esso è patrimonio della fede cattolica. Lo stesso pontefice riteneva che la celebrazione secondo l’antico rito non intaccasse in alcun modo l’Autorità del Concilio Vaticano II né causasse spaccature all’interno delle comunità parrocchiali. E aveva ragione. Così Benedetto XVI scriveva nella sua Epistula Ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani:
In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali — la riforma liturgica — venga messa in dubbio. Tale timore è infondato.
In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. (pp. 795-797)[1]
Eppure la “chiesa bergogliana” ha visto nella celebrazione dell’antico rito ciò che Benedetto aveva categoricamente escluso. Paradossalmente, è proprio la persecuzione dei bergogliani verso i fedeli e in particolare verso l’antico rito a creare spaccature nelle comunità e ad accendere ingiustificate fiammate anticonciliari, innescate da un cieco e irrazionale malcontento alimentato da un “NO” ideologico e categorico, che sembra usurpare ai fedeli i loro diritti a vivere e custodire l’antica liturgia.
Non credo che per alcuni il vetus novus sia preferibile al novus ordo per qualche frivolo motivo: il messale latino prevede una conoscenza della lingua della Chiesa e proprio per questo non permette derive obbrobriose dal canone. La messa in lingua volgare permette al celebrante di aggiungere o modificare il canone della messa, a volte inserendo veri e propri strafalcioni fino ad arrivare alla caricatura della messa stessa, celebrandola al mare mezzi nudi su un materassino gonfiabile, che ondeggia sull’acqua, come fosse un rito pagano per la propiziazione dei raccolti. La messa in latino costituisce una roccia inattaccabile, un bastione dell’ortodossia, in quanto per la sua celebrazione non è possibile improvvisare, non lascia spazio alla “creatività” di inutili quanto mediocri preti da avanspettacolo! Inoltre, nel rito ordinario spesso non viene lasciato spazio al silenzio: ogni istante di silenzio deve essere riempito con canti spesso inopportuni e non liturgici, tamburelli, maracas, chitarre elettriche, batteria, etc., il tutto all’insegna di un insano sentimentalismo di presunta matrice chassidica, importato dai vari gruppi ecclesiali al margine dell’ortodossia, volto a rimuovere il senso del sacro, cercando di rendere il sacrificio dell’altare un atto immanente, svuotato di ogni trascendenza, dove il protagonista non è più Cristo ma il celebrante, i lettori (o spesso avvenenti lettrici tutte inghirlandate che salgono sul palco) o qualche bizzarro direttore del coro che salta come un fringuello posseduto dallo spirito di qualche chitarrista trapassato. Tutte queste aberrazioni non sono il frutto dei testi del Concilio ma il frutto avvelenato di uno spirito modernista, che, infiltratosi nella compagnia dei Gesuiti, ha infettato tutta la Chiesa, come ha mostrato Malachi Martin nel suo libro I Gesuiti, ripubblicato in italiano da Arca Edizioni.
Riteniamo che ripristinare il motu proprio di Benedetto XVI sarebbe cosa utile, opportuna e edificante. Per questo umilmente chiediamo al Santo Padre Leone XIV di ristabilire la giustizia nella Chiesa, rendendo pienamente efficace il Summorum Pontificum, perché non ci siano più spaccature nelle comunità parrocchiali, inique discriminazioni da parte di vescovi ideologizzati né ingiustificabili rigurgiti anticonciliari. Che la Chiesa di Cristo possa tornare a riappropriarsi di ciò che è suo!
[1] https://www.vatican.va/archive/aas/documents/2007/settembre%202007.pdf
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