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Genova, ecco perché la Cassazione vuole la riduzione della pena all'artigiano che uccise con arco e freccia

Processo d'appello da ripetere. Scalco era stato condannato dai giudici a 23 anni di reclusione. La sua aggressività era stata ritenuta "eccessiva" dai giudici

01 Agosto 2025

Genova, ecco perché la Cassazione vuole la riduzione della pena all'artigiano che uccise con arco e freccia

Per la Corte di Cassazione la pena definitiva di Evaristo Scalco - l’artigiano che la notte tra il primo e il 2 novembre del 2022 ha ucciso in vico Mele, nel centro storico, Javier Alfredo Miranda Romero con una freccia scoccata con l’arco dalla finestra di casa sua - deve essere rimodulata dalla Corte di Appello di Milano. La Suprema Corte ha sostanzialmente confermato tutto l’impianto accusatorio che ha resistito in primo e secondo grado. E cioè che Scalco è colpevole dell’omicidio volontario aggravato dai futili motivi. Ma il disturbo che la vittima e il suo amico stavano arrecando a Scalco ha "rappresentato semplicemente il pretesto per manifestare in maniera arrogante la propria aggressività, in modo da fare comprendere a quali gravi conseguenze andava incontro chi gli stava mancando di rispetto". 

La vittima stava festeggiando nel centro storico di Genova la nascita del figlio con un amico. I due si erano trovati a un certo punto in un vicolo sotto la finestra di Scalco. L'artigiano si era affacciato e li aveva mal apostrofati ("andate via immigrati di m...") perché a suo dire facevano baccano e avevano orinato contro il muro. I due amici gli avevano risposto, uno di loro gli aveva mostrato il dito medio e allora il maestro d'ascia aveva preso l'arco che teneva in casa, aveva montato la punta più letale che possedeva, e aveva colpito Romero. Era poi sceso in strada e aveva provato a estrarre il dardo. "Tali peculiari situazioni - si legge nelle motivazioni - sono state ritenute idonee a rivelare non solo l'eccessività, sul piano oggettivo, della reazione rispetto all'individuato movente, ma anche, sul piano soggettivo, la connotazione di tale sproporzione quale espressione di un moto interiore assolutamente ingiustificato, tale da configurare lo stimolo esterno come mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale". I difensori di Scalco hanno sempre sostenuto che l'artigiano non volesse uccidere "ma solo spaventare". Patricia Zena, la compagna della vittima in udienza aveva ricordato come il compagno fosse riuscito a vedere il figlio solo due volte prima di morire.

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