Nel settembre 1990, Indro Montanelli profetizzò il nostro presente. Naturalmente, neppure lui poteva immaginare tutta la sconvolgente sequenza degli ultimi
cinque anni distopici. Per farlo, sarebbe stato necessario avere l'acume e la preveggenza di George Orwell.
Limitandosi a una previsione ordinaria, rispondendo a una domanda di Alain Elkann, Indro Montanelli affermò: “Se mi chiedi che cosa sarà il domani per gli italiani, forse sarà un domani brillantissimo; per gli italiani, non per l'Italia”.
Trentacinque anni più tardi, da un sondaggio emerge che la maggioranza degli italiani vorrebbe che i propri figli trovassero un lavoro all'estero. Mia figlia maggiore, i miei nipoti e la maggior parte dei figli dei miei amici hanno studiato all'estero (come me, del resto) e trovato lavoro lontano da casa. Una gioventù istruita, poliglotta, cosmopolita. Mi rende orgoglioso affermare che – a 24 anni – mia figlia è già manager di una multinazionale. Il merito, naturalmente, è tutto suo, ma anch'io – come tanti – ho fatto sacrifici per pagare il costo esorbitante della sua educazione. Nel mondo anglosassone – da sempre – l'istruzione di qualità è riservata alle classi più abbienti. Ai miei tempi, la retta di Harvard era (come è anche oggi) stellare e dovetti accontentarmi di un Master all'Università dell'Alberta ottenuto grazie a una borsa di studio.
La decisione di Donald Trump di revocare l'iscrizione degli studenti stranieri ad Harvard – per fortuna sospesa da un Giudice Federale su ricorso dell'università – pregiudica il diritto di tanti ragazzi (anche italiani) di laurearsi in quella che è la più prestigiosa facoltà di giurisprudenza del mondo.
C'è molto da riflettere: perché la nazione dove ha sede Harvard esprime due candidati Presidenti come Joe Biden e Donald Trump? La democrazia americana può ancora chiamarsi tale?
Ma non è questo l'oggetto della mia riflessione: perché – come tanti – sono contento che mia figlia sia all'estero?
In Germania, a parità di costo della vita rispetto a Milano, una giovane manager guadagna il doppio che in Italia. I diritti dei lavoratori vengono tutelati. In una multinazionale, esistono concrete possibilità di carriera. Il prezzo al mq degli immobili è più basso e le banche concedono facilmente mutui a chi abbia un contratto di lavoro a tempo indeterminato. La tassazione è alta, ma alcuni costi sono interamente deducibili. Sembra poco, ma non lo è.
C'è stato un tempo felice in cui in Italia anche una coppia di impiegati poteva permettersi l'acquisto di una casa, un mese di vacanza, un'automobile di proprietà. Oggi sembra incredibile. Un'altra profezia, questa volta di Klaus Schwab, incombe: “Non avrete più niente e sarete felici”. Non credo che l'essere umano possa davvero essere felice senza possedere niente, ho troppa esperienza di comunismo sovietico, “la condivisione della povertà” come disse Winston Churchill.
Al contrario, io credo che la proprietà privata sia una delle legittime aspirazioni dell'essere umano. Ho aspirazioni borghesi, lo ammetto e nulla da spartire con i marxisti.
Evidentemente, le mie sono aspirazioni condivise dalla maggioranza degli italiani, come dimostra il sondaggio. Del resto, io non ho notizia di marxisti gioiosamente emigrati a Donetsk per fare i minatori ai tempi di Krusciov, mentre conosco molti miei connazionali che hanno fatto fortuna in paesi capitalisti.
Anche il capitalismo, tuttavia, degenera. E lo fa quando la finanza inquina la politica, la sottomette ai propri interessi. A quel punto, vige la legge del più forte: la normativa antitrust viene de facto abolita, si consente la formazione di monopoli (giustificandola con la necessità di crescere a livello globale, si pensi ai casi di Microsoft, Meta, Amazon, Starlink eccetera). La libertà di emettere moneta fiat arricchisce le grandi istituzioni finanziarie che prestano denaro ai grandi investitori come BlackRock, Vanguard, State Street, Kkr eccetera e le Nazioni ai margini del sistema di potere americano s'impoveriscono, perdono, pezzo dopo pezzo, le loro banche, le loro industrie, le loro società di servizi. Restano di proprietà italiana le realtà troppo piccole a conduzione familiare e quelle formatesi all'ombra della politica.
Il capitale delle grandi industrie è straniero, le direttive politiche giungono da Washington o da Bruxelles, non esiste sovranità monetaria, mancano completamente i capitali per competere a livello globale.
A quel punto, trattati da colonia, tutto è legittimato, persino i salari fermi da trent'anni, le tutele erose, i servizi pubblici indecenti, il capitale familiare usato sempre più spesso per garantire ai figli una fuga all'estero.
Insomma, l'Italia affonda ma gli italiani all'estero – ed è l'unica consolazione, non da poco – se la cavano benissimo. Grande Indro Montanelli!
Di Alfredo Tocchi