Sabato, 06 Settembre 2025

Seguici su

"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Tra Liberazione, Giubileo e funerali di Francesco abbiamo fatto il pieno di retorica. Ora qualche… soldo per il popolo normale

Lo ripeto come fosse l’antifona di un salmo: dopo tante parole straordinarie, ora è tempo di azioni che lasciano il segno nei bilanci, perché “Senza soldi non si cantano messe”

26 Aprile 2025

Tra Liberazione, Giubileo e funerali di Francesco abbiamo fatto il pieno di retorica. Ora qualche… soldo per il popolo normale

Funerali Papa Francesco, fonte: imagoeconomica

Dopo tante parole straordinarie, ora è tempo di azioni che lasciano il segno nei bilanci. Perché, come diceva mio nonno, “Senza soldi non si cantano messe”.
Sono stati infatti giorni di parole alte, elevate, parole impregnate di retorica: il papa degli ultimi, la Chiesa dei poveri, il giubileo dei giovani e poi gli ottant’anni del 25 aprile. E anche oggi la giornata ci consegna immagini potenti. Innanzitutto la folla straripante a sostegno di Francesco il cui ultimo viaggio ha fatto capolinea a Santa Maria Maggiore laddove sostava all’inizio o alla fine delle sue evangelizzazioni.
E poi il potere politico e potere religioso ugualmente inginocchiati davanti a un Potente globale - perché tale resta un Pontefice - la cui parola si scompone e si ricompone per lasciare scie nell’anima e nelle agende. Non è un caso - a proposito di momenti che resteranno - che all’interno della Basilica di San Pietro si sono seduti Trump e Zelensky per fare i conti con la parola più difficile dell’oggi: la Pace.
C’erano tutti, persino Assange che con la sua parola aveva persino quel rappresentante dello stato di Israele mandato all’ultimo momento da un Netanyahu sempre più solo nella sua arroganza (caro governo, per quanto tempo pensate di restare nel mito della intoccabilità del premier israeliano?), lo ha mandato per non restare con il cerino diplomatico in mano dopo la figuraccia meschina di aver fatto cancellare le iniziali parole di cordoglio per un Pontefice che non aveva mai fatto mancare il cordoglio profondo e sincero dopo gli attentati del 7 ottobre ma che altrettanto affetto lo aveva mostrato verso i palestinesi a tal punto di dire che sia giusto indagare se a Gaza siamo in presenza di un genocidio.
E se a San Pietro quelli che un tempo avremmo definito i grandi della Terra incrociavano i loro sguardi nella traiettoria disegnata dal cardinale Giovanni Battista Re, nel luogo della sepoltura si riunivano i soliti ultimi cari a Francesco, dai senzatetto alle prostitute. In mezzo, sulle strade, il popolo. Il popolo che fa la massa della Chiesa e degli Stati, che però è sempre confinato in una posizione defilata come se fosse quello il suo ruolo: esserci ma non abbastanza per essere considerati come centro dell’attenzione. Eppure dentro quel corpo di cittadini e di fedeli “normali” ci sono affanni e difficoltà, ci sono pezzi di solitudine e di angoscia. Terminata l’epopea dei grandi e degli ultimi ugualmente protagonisti, spero che anche le sfumature di tutti gli altri siano degne di “azione”, per la Chiesa come per i governi. La Chiesa, perché - lo diciamo ai tanti laici che impartiscono lezioni di catechesi - i fedeli lungo la strada sono in cammino, tengono aperte le parrocchie e ne sorreggono spesso le iniziative, dalla cura degli edifici alla partecipazione nei consigli pastorali. I governi, perché è arrivato il tempo di prendersi cura di quegli affanni quotidiani che sono piccole croci: la sanità pubblica non può diventare una via crucis, tra liste d’attesa infinite e scarsità di personale; il lavoro non può essere solo il dato dell’occupazione ma deve riempirsi di un diritto alla retribuzione che sia degna; l’impresa non vale meno delle multinazionali e delle banche; il rispetto della propria persona va tutelato da crescenti deviazioni di magistrati e dalla élite di Signori della rete, padroni delle nostre vite.
Quella gente comune non è così disperata da poter meritare il lascito di un papa morente ma lo è abbastanza da doversi riparare presso chi possa garantire per loro. Lo ripeto come fosse l’antifona di un salmo: dopo tante parole straordinarie, ora è tempo di azioni che lasciano il segno nei bilanci, perché “Senza soldi non si cantano messe”.

Di Gianluigi Paragone

Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.

Commenti Scrivi e lascia un commento

Condividi le tue opinioni su Il Giornale d'Italia

Caratteri rimanenti: 400

Articoli Recenti

x