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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Una denuncia di impedimento, scisma e usurpazione: ecco cosa fu davvero la Declaratio di Benedetto XVI

La Declaratio di Benedetto XVI non fu un atto di abdicazione, (nullo e invalido) bensì una declaratoria di decisio su delitto, scisma, usurpazione e sede impedita

31 Dicembre 2024

Una denuncia di impedimento, scisma e usurpazione: ecco cosa fu davvero la Declaratio di Benedetto XVI

Il 31 dicembre 2022 moriva papa Benedetto XVI. Mentre in un festival di ipocrisia fioccano gli articoli agiografici su di lui, senza accennare minimamente alla questione fondamentale della sua sede impedita che ha reso Bergoglio antipapa, pubblichiamo il più recente lavoro sulla sua Declaratio, uno studio comparato fra latino e diritto canonico, che ne svela la vera natura.

La Declaratio di Benedetto XVI non fu un atto di abdicazione, (nullo e invalido) bensì una declaratoria di decisio su delitto, scisma, usurpazione e sede impedita.

Il risultato è stato conseguito grazie a un gruppo di studio coordinato da chi scrive che ha compreso

Due stimati latinisti come i professori Gian Matteo Corrias e Rodolfo Funari e gli avvocati Costanza Settesoldi e Roberto Antonacci. 

Lo studio è frutto della più approfondita inchiesta mai prodotta sulle dimissioni di Benedetto XVI: 4 anni di lavoro, 1000 articoli, 1300 podcast, 160 conferenze, un volume (“Codice Ratzinger” Byoblu ed. 2022) venduto in 23.400 copie, con 5 traduzioni, vincitore di 2 premi giornalistici. A tale lavoro hanno partecipato canonisti, giuristi, latinisti, teologi, storici della Chiesa e anche comuni lettori che hanno contribuito offrendo documenti, testimonianze e preziose intuizioni.

In queste pagine si dimostra come la Declaratio di Benedetto XVI dell’11 febbraio 2013 sia stata diffusa, all’epoca, da fonti vaticane in modo artatamente manipolato, sia nell’originale latino che nelle sue traduzioni, al fine di essere spacciata al pubblico come l’atto dispositivo di abdicazione del Papa.

In realtà si trattava di tutt’altro: una declaratoria di “DECISIO”, cioè un decreto penale che il Pontefice emette per i delitti maggiori contro la fede, che sono l'eresia, l'apostasia e lo scisma.  Il decreto del papa è inappellabile e i delitti giudicati dalla decisio comminano la scomunica latae sententiae a coloro che li hanno commessi. Il verbo con cui vengono comminate le pene è proprio declaro, che si può tradurre come accertamento, dichiarazione pubblica di ciò che appartiene già all'ordine delle cose e che viene semplicemente riconosciuto.

Con tale decisio, il Santo Padre Benedetto XVI non rinunciava, ma solamente “dichiarava di rinunciare” al ministerium di vescovo di Roma a causa di un misfatto compiuto durante la sua elezione da un manipolo di cardinali. Il misfatto consisté in una spregiudicata manovra elettorale testimoniata da diverse autorevoli fonti che, non solo rivela un’aperta violazione degli articoli dal 78 all’81 del capitolo VI della costituzione Universi Dominici Gregis, ma che era finalizzata a uno scopo ben preciso ed eversivo.

La manovra elettorale portò al card. Ratzinger i voti dei suoi avversari del Gruppo di San Gallo facendo iniziare il suo pontificato con una minoranza di fatto.

Tale debolezza “politica” consentì ai nemici di Benedetto XVI, dentro e fuori la Chiesa, di logorarlo nel tempo con una strategia ostruzionistica e oppositiva, impedendogli sempre più il normale esercizio del munus petrino, ovvero il ministerium, cioè il governo della Chiesa. Questa azione eversiva condusse progressivamente il Papa allo stremo delle forze sia politiche che psicofisiche al punto che, nel febbraio 2013, dopo un oscuro “incidente notturno” subìto nel marzo 2012, durante il viaggio apostolico in Messico-Cuba, episodio da lui narrato come legato all’insonnia e ai farmaci che assumeva  dovette applicare un piano di emergenza per togliersi di mezzo, ma senza lasciare la Sede Apostolica legalmente in mano ai suoi persecutori. 

La dichiarazione di rinunciare al ministerium, da parte di Benedetto XVI ossia il giudizio sul proprio essere privo di potere di governo, era quindi una decisio motivata dal misfatto compiuto alla sua elezione da un manipolo di cardinali, ovvero quello di eleggere appositamente un papa in minoranza politica in modo che un giorno fosse costretto a dimettersi. Tuttavia, la decisio di papa Benedetto, nel febbraio 2013, non fu quella di abdicare, ma fu esclusivamente finalizzata a lasciare la sede del vescovo di Roma vuota, sgombra, libera, (non legalmente vacante) in modo che potesse essere subito occupata dai nemici usurpatori.

Una “ritirata strategica” per consentire ai nemici di impadronirsi del potere, ma illegalmente, autocondannandosi quindi alla nullità e all’espunzione finale con la conseguente purificazione della Chiesa cattolica.

La dichiarazione di rinuncia al ministerium di Benedetto XVI, dolosamente malintesa – e anche questo era stato previsto dal suo autore - avrebbe dato l’avvio a un conclave, ovviamente abusivo, per l’elezione di un “nuovo” Sommo Pontefice, ovvero un antipapa.

Così, Benedetto sarebbe stato detronizzato, deprivato del ministerium pratico, cioè di quelle “opere e parole” di cui egli stesso parla nella Declaratio e quindi totalmente impedito, come da cann. 412 e 335.

(Infatti, come specifica nella Declaratio, e come avviene per un papa impedito, egli avrebbe continuato ad esercitare il munus in modo puramente contemplativo, cioè “soffrendo e pregando”).

Dall’altro lato, i suoi avversari avrebbero eletto un antipapa, privo di qualsiasi diritto sulla Chiesa cattolica come sancito dal combinato disposto fra gli artt. 76 e 77 della costituzione Universi Dominici Gregis (UDG).

In questo modo, Benedetto XVI avrebbe prodotto sì una sorta di “ministero allargato” come egli stesso lo definì: ovvero una forma di servizio alla Chiesa, per la sua purificazione, con un papa impedito (relegato a un ruolo contemplativo) e un antipapa usurpatore attivo e regnante per qualche tempo. 

Da qui la geniale ed eufemistica autodefinizione di “papa emerito”: così come avviene per il vescovo che va in pensione e diviene emerito, anche Benedetto XVI avrebbe perso il ministerium trattenendo il munus, ma questo, per il papa, che non va in pensione e il cui munus non è un sacramento, bensì un ufficio, può verificarsi solo per sede impedita. “Papa emerito” è quindi un eufemismo per dire “papa impedito”. 

Spiegazione del titolo di "Papa emerito"

Nella conclusione della Declaratio, papa Benedetto affida la Chiesa al Suo Sommo Pastore, Gesù Cristo e invoca anfibologicamente Maria affinché “stia vicino” (assistat) ai cardinali: sia a quelli infedeli, perché la S. Vergine possa impetrare il perdono divino per il loro delitto, sia per quelli fedeli, nella futura opera di ripristino della legalità, eleggendo il suo nuovo vero successore.

La Declaratio, quindi, non è affatto un’abdicazione scritta male, con errori formali e giuridici, ma una declaratoria di decisio assolutamente perfetta, sia nella lingua latina che nel diritto: descriveva e giudicava un misfatto iniziale che avrebbe prodotto nel tempo (ingravescente aetate) una situazione insostenibile.

Nella sua “decisio”, Benedetto XVI era quindi al tempo stesso accusatore, avvocato e giudice e, in queste vesti, ha fatto tale dichiarazione per la salvezza, la sopravvivenza stessa della Chiesa (Ecclesiae vita).

Papa Benedetto illustrava dunque una “sequenza criminosa”: prima la manovra elettorale funzionale alla presa di fatto del potere, cioè  il misfatto (commissum); poi la sede completamente impedita, svuotata di potere, che coincide con l’usurpazione e la convocazione del conclave scismatico.

La Declaratio è stata scritta dal papa tedesco in un modo geniale, con un sapientissimo uso del latino e del diritto canonico, per dare il via a questa operazione, sapendo che i nemici avrebbero potuto facilmente falsificarla, con pochi ritocchi, nel senso di una rinuncia, ottenendo ciò che volevano: toglierlo di mezzo.

Si tratta di una previsione logico-razionale di un piano già in atto, che deve solo concludersi e siccome nessuno lo giudicherà, Benedetto provvede in anticipo a giudicarne anche gli esiti in quanto tutti collegati a quel commissum-misfatto.

Benedetto XVI ha poi lasciato all’azione del Logos (quindi dello Spirito Santo) nei fedeli e negli uomini di buona volontà la progressiva comprensione del documento e la relativa denuncia alle Autorità preposte cioè i cardinali (art. 3 UDG) e/o il foro ecclesiastico competente, come si legge fra i Diritti e doveri dei fedeli (can. 208-223).

Nel corso degli otto anni vissuti in sede impedita, papa Benedetto non ha mai potuto fornire una spiegazione esplicita della Declaratio esattamente perché si trovava in sede impedita, ma ci ha aiutato moltissimo a comprenderla inviando numerosi input attraverso lettere, libri e interviste, avvalendosi della restrizione mentale larga (il “codice Ratzinger”), un metodo di comunicazione prescritto, in casi di emergenza, dalla Teologia morale, per non mentire e per comunicare la verità solo a chi “ha orecchie per intendere”.

E’, inoltre, documentato che papa Benedetto, prima delle sue dimissioni, abbia lasciato sotto il sigillo del segreto pontificio della documentazione scritta, nella fattispecie gli atti dell’indagine affidata alla Commissione Herranz che fu da lui ordinata per indagare su Vatileaks ed altre questioni.

Plausibilmente, Benedetto XVI ha quindi lasciato dei documenti di spiegazione finale del suo gesto che dovranno essere aperti solo in un procedimento giudiziario.

Il 6 giugno 2024, chi scrive ha depositato in merito presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano un libello in 100 pagine, debitamente protocollato. Si aspetta l’apertura del processo o l’intervento dei cardinali di nomina pre 2013 già sollecitati da chi scrive con una prima petizione, inviata in Segreteria di Stato con 11.500 firme, l’8 novembre 2023.

Di seguito, pubblichiamo la traduzione corretta della Declaratio, (elaborata dal prof. Corrias e sottoscritta dal prof. Funari) che sarà analizzata con la massima completezza di riferimenti linguistici e giuridici nel capitolo 2.

“Fratelli carissimi,

vi ho convocati a questo Concistoro non solo a causa delle tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa. Dopo aver esaminato più e più volte la mia coscienza davanti a Dio, sono giunto alla cognizione certa che per l’aggravarsi dell’età le mie forze non sono più adeguate ad amministrare il munus petrino.

Sono ben consapevole che questo munus, secondo la sua essenza spirituale, debba essere esercitato non solo con l’azione e la parola, ma altresì con la sofferenza e la preghiera. Tuttavia, nel mondo della nostra epoca soggetto a rapide trasformazioni e sconvolto da questioni di grande peso per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e per annunciare il Vangelo è necessario anche un certo vigore del corpo e dell’anima, vigore che negli ultimi mesi in me è diminuito al punto tale che devo riconoscere la mia incapacità ad amministrare bene il ministerium che mi è stato affidato. Per questi motivi, ben consapevole della gravità di quest’atto, in piena libertà dichiaro di rinunciare a mio danno al ministerium di Vescovo di Roma, successore di San Pietro, a causa del misfatto di un manipolo di cardinali il 19 aprile 2005, al punto che dal giorno 28 febbraio 2013, a partire dall’ora ventesima, la sede di Roma, la sede di San Pietro resti vuota, e dichiaro che è da convocarsi un Conclave per l’elezione di un nuovo Sommo Pontefice da parte di questi ai quali si addice.

Fratelli carissimi, vi ringrazio di tutto cuore per tutto l’amore e la solerzia con cui avete portato con me il peso del mio servizio, e vi chiedo perdono per tutte le mie mancanze. Ora affidiamo la Santa Chiesa di Dio alla cura del suo Sommo Pastore, nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua Madre Maria che stia vicino con la sua materna bontà ai padri Cardinali nell’elezione del nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro vorrei servire di tutto cuore la Santa Chiesa di Dio con una vita dedicata alla preghiera”.

  1. RICOSTRUZIONE DEI FATTI

Dove si illustra come Papa Benedetto non abbia mai fornito le traduzioni della Declaratio, ma solo un originale in latino e come le traduzioni siano state artatamente manipolate. 

Nel volume “Nient’altro che la verità” (Piemme 2023) pubblicato da Mons. Georg Gänswein, a pag. 200 si legge: “Benedetto aveva cominciato a fine gennaio a stendere la bozza del testo che avrebbe letto in Concistoro. La sua decisione di scrivere in latino fu ovvia, poiché da sempre è questa la lingua dei documenti ufficiali della Chiesa cattolica. La formula della rinuncia venne ultimata dal Papa il 7 febbraio. Portai personalmente il foglio nell’appartamento del cardinale Bertone, dove lo leggemmo insieme con monsignor Giampiero Gloder, coordinatore in Segreteria di Stato della redazione finale dei testi pontifici. Vennero suggerite piccole correzioni ortografiche e qualche precisazione giuridica, cosicché il testo definitivo fu pronto per domenica 10 febbraio, quando si provvide anche alle traduzioni in italiano, francese, inglese, tedesco, spagnolo, portoghese e polacco”. (Successivamente fu aggiunta anche la traduzione in arabo n.d.r.).

Nell’intervista andata in onda su Tv 2000 il 4 gennaio 2023, Mons. Georg Gänswein, parlando della Declaratio di papa Benedetto XVI, dichiara testualmente:  

“Io ho detto: «Santo Padre perché in latino?» - «Questa è la lingua della Chiesa, e io vorrei fare questo, questo e questo. E poi, loro traducono … e capiscono»”.

Nel volume “Ein Leben” di Peter Seewald, (Garzanti 2020) biografia autorizzata di Sua Santità Benedetto XVI, leggiamo a pag. 1159:

“Sotto il sigillo del segreto papale, venne informato anche un dipendente della Segreteria di stato, che avrebbe dovuto verificare la correttezza della dichiarazione delle dimissioni in termini di contenuto, forma e lingua (in effetti, ne modificò poi leggermente lo stile in alcuni punti)”.

Da queste testimonianze emerge in modo inequivocabile come papa Benedetto XVI avesse consegnato la sua Declaratio scritta unicamente in latino e apprendiamo come il Card. Tarcisio Bertone, allora Segretario di Stato, provvide, insieme a Mons. Giampiero Gloder, a far stendere le traduzioni nelle varie lingue, intervenendo sul testo con non meglio specificate modifiche di “stile”, “correzioni” e “precisazioni giuridiche”.

Ora, nella Declaratio in inglese, spagnolo, francese, portoghese, polacco, e arabo, i due aspetti della figura papale citati, il munus e il ministerium, sono stati tradotti con la stessa parola che sta per “servizio”. Rispettivamente ministero, ministry, ministerio, ministére, ministèrio, posługi, khedma. 

Una scelta lecita, ma opinabile, dato che, come dimostrato dalle traduzioni ufficiali della costituzione apostolica Pastor bonus (1988), almeno in italiano, inglese, spagnolo e tedesco, c’è una parola ben precisa per descrivere il munus, citato rispettivamente come “ufficio”, “office”, “oficio”, “Amt”.

 

Tuttavia, mancava un tassello-chiave, che, secondo la nostra ultima traduzione dal latino dell’unico testo originale, ribalta di 180° questa dichiarazione.

Come molti ricordano, la Declaratio dell’11 febbraio 2013 di papa Benedetto fu pubblicata dal sito vaticano con un refuso (hora 29.00) e due grossolani errori di sintassi che furono rilevati da Luciano Canfora su Il Corriere della Sera) ecclesiae vitae e ministerio … commissum renuntiare. Questi vennero poi subito dopo corretti sul sito con ecclesiae vita e ministerio … commisso renuntiare.

Criticò questi errori anche il filologo tedesco Wilfried Stroh, in Germania, e il cardinale Gianfranco Ravasi, alcuni mesi dopo su L’Arena di Verona.

In realtà, di questi tre errori, Benedetto XVI ne pronunciò realmente solo uno, davanti al Concistoro: “commissum . Gli altri due non li ha mai letti come si può ascoltare dall’audio integrale   e quindi, dato che non si dispone dello scritto originale, l’unico testo da prendere in considerazione, secondo la corretta procedura giuridica, è quello letto dal Papa.

In sintesi, l’unico errore che ha davvero pronunciato Benedetto XVI è il COMMISSUM.

Tuttavia, nel volume “Ultime conversazioni” del 2016, il papa “emerito” rispose così a Peter Seewald, che gli chiedeva quando e come avesse scritto il testo della Declaratio.

“Avrei potuto scriverlo anche in italiano, ma c’era il pericolo che commettessi qualche errore”.

Ora, questa frase, dopo che, tre anni prima, in tutto il mondo, si era parlato di questi errori nella Declaratio, appare davvero strana e provocatoria. Nonostante la “brutta figura” fatta a livello internazionale, papa Benedetto, sommo conoscitore del latino, ribadiva convintamente di non aver fatto alcun errore nella Declaratio.

Ergo, visto che l’unico dei tre “errori” che lui aveva realmente pronunciato è il commissum, ciò significa che COMMISSUM NON È UN ERRORE.

Grazie agli avv.ti Costanza Settesoldi e Roberto Antonacci si è iniziato a riflettere sul fatto che l’unico testo su cui ci si possa basare è quello pronunciato a voce da Benedetto XVI. Sono state così elaborate una serie di diverse proposte per tradurre la frase con il commissum in un modo che potesse risultare del tutto corretta. Il gruppo di studio con gli stimati latinisti prof. Gian Matteo Corrias (già editore delle opere di Lorenzo Valla) e prof. Rodolfo Funari (massimo traduttore di Sallustio) è quindi giunto all’unica, drammatica traduzione possibile che contempli lecitamente il commissum.

Intanto vediamo come il testo corretto abusivamente con commisso = “affidato” venne tradotto dal sito vaticano.

Quapropter bene conscius ponderis huius actus plena libertate declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV COMMISSO renuntiare ita ut a die 28 februarii MMXIII, hora 20, sedes Romae, sedes Sancti Petri vacet et Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem ab his quibus competit convocandum esse”.

“Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me AFFIDATO (commisso) per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005, in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà vacante e dovrà essere convocato, da coloro a cui compete, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”.

Ed ecco l’unica versione possibile, secondo il prof. Corrias, confermato dal prof. Funari, in cui lo stesso testo può essere tradotto mantenendo il COMMISSUM pronunciato da Benedetto XVI:

“Per cui ben consapevole del peso di quest’atto dichiaro in piena libertà di rinunciare a mio danno (mihi) al ministero di vescovo di Roma, successore di San Pietro, a causa del misfatto (per…commissumdi un manipolo (manus) di Cardinali nel giorno 19 aprile 2005, al punto che dal giorno 28 febbraio 2013, all’ora ventesima, la sede di Roma, la sede di San Pietro sia vuota, e (dichiaro) che debba essere convocato un conclave per l’elezione di un nuovo Sommo Pontefice da parte di costoro a cui si addice”*.

Questa è, dunque, la soluzione di uno dei più grandi busillis della storia: infatti, commissum, all’accusativo, significa anche “misfatto” e questo sblocca la comprensione dell’intera Declaratio.

Questa semplice dichiarazione, spacciata per 11 anni come abdicazione dopo essere stata oggetto – da parte del card. Tarcisio Bertone e di Mons. Giampiero Gloder – di non meglio specificate “precisazioni giuridiche” e “modifiche nello stile” (come testimoniato da Peter Seewald) era in realtà la denuncia di un misfatto compiuto da manipolo di cardinali nel giorno dell’elezione del card. Ratzinger al Soglio pontificio.

Gli altri errori di latino che compaiono nella Declaratio, nonostante la Segreteria di Stato di allora avesse avuto tempo dal 7 febbraio fino al 10 per correggere il testo e preparare le traduzioni, appaiono quindi come chiari elementi di depistaggio, estranei al testo originale, inseriti per stornare l’attenzione pubblica dall’unica incoerenza fra testo verbale e scritto: il commissum detto a voce e variato nello scritto ufficiale come commisso.

Si spiega perfettamente anche perché nelle traduzioni nelle varie lingue volgari, il munus e il ministerium siano stati omologati con la stessa parola “Ministero” e perché in tedesco il Munus-Amt e il Ministerium-Dienst siano stati scambiati di posto, per forzare la Declaratio nel senso di una valida abdicazione.

Ed ecco a qualemisfatto” si riferisce papa Benedetto: documentati accordi, patteggiamenti e trame elettorali durante il conclave 2005, in aperta violazione degli artt. 78-81 UDG finalizzati all’elezione strumentale di un papa di transizione da poter costringere, un giorno, a dimettersi.

Su questo “misfatto” (commissum) avvenuto nel giorno dell’elezione di papa Ratzinger, abbiamo alcune testimonianze decisamente significative che ricompongono un panorama coerente su una manovra elettorale che si verificò in quel conclave. Tutte le testimonianze parlano di accordi, scambi di voti, patteggiamenti, spregiudicate strategie politiche da parte di alcuni cardinali: ciò costituisce una palese infrazione specialmente all’art. 81 della Universi Dominici Gregis (UDG):

“I Cardinali elettori si astengano, inoltre, da ogni forma di patteggiamenti, accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere, che li possano costringere a dare o a negare il voto ad uno o ad alcuni. Se ciò in realtà fosse fatto, sia pure sotto giuramento, decreto che tale impegno sia nullo e invalido e che nessuno sia tenuto ad osservarlo; e fin d'ora commino la scomunica latae sententiae ai trasgressori di tale divieto. Non intendo, tuttavia, proibire che durante la Sede Vacante ci possano essere scambi di idee circa l'elezione”.

Sulla natura di tali accordi disponiamo di diverse testimonianze che ricostruiscono un panorama coerente.

Innanzitutto, occorre citare la Biografia autorizzata del card. Godfried Danneels del 2015: essa ci informa sul fatto che, prima del conclave 2005, “Bergoglio si guadagnò la fiducia di molti dei partecipanti al Gruppo di San Gallo” e che “il cardinale gesuita Jorge Mario Bergoglio era un’alternativa realistica”.

Mons. Gänswein nel 2016 definì quell’elezione l’esito di uno “scontro”, di una “drammatica lotta” fra i due partiti chiave; il Sale della Terra e il Gruppo di San Gallo definito come quello della “dittatura del relativismo”. 

Vi è poi il diario di un ignoto cardinale conclavista riportato da Limes nel 2009 secondo cui, nel conclave 2005, si era creata una situazione di stallo fra i due principali candidati, Ratzinger e Bergoglio, situazione che fu sbloccata alla quarta votazione travasando una quindicina di voti dal cardinale argentino al teologo tedesco in modo da farlo eleggere col nome di Benedetto XVI il 19 aprile 2005, pur con una maggioranza non certo ampia.

Bergoglio afferma nel suo libro El Sucesor: “In quel conclave – la notizia è nota – mi usarono. […] È successo che ho ottenuto quaranta voti su centoquindici nella Cappella Sistina (3° scrutinio riferito anche da Limes). Sono bastati per fermare la candidatura del cardinale Joseph Ratzinger, perché, se avessero continuato a votarmi, non sarebbe riuscito a raggiungere i due terzi necessari per essere eletto Papa […] La manovra consisteva nel mettere il mio nome, bloccare l’elezione di Ratzinger e poi negoziare un terzo candidato diverso. Mi dissero poi che non volevano un papa straniero […] è stata una manovra in piena regola. L’idea era quella di bloccare l’elezione del cardinale Joseph Ratzinger. Mi stavano usando, ma dietro di loro già pensavano di proporre un altro cardinale. Non riuscivano ancora a mettersi d’accordo su chi, ma erano già sul punto di pronunciare un nome”.

Molto importante, un’altra testimonianza del 2015 di Padre Silvano Fausti, gesuita, rahneriano, amico e confessore del card. Carlo Maria Martini, membro di spicco della Mafia di San Gallo.

Ecco cosa spiegava Fausti, rivelando confidenze ricevute da Martini: “Le dimissioni di Ratzinger erano già programmate… Alla sua elezione con Martini: perché erano i due che avevano più voti. Ne aveva un po’ di più Martini… La manovra era: Martini per i progressisti, Ratzinger per i conservatori, ma volevano far cadere ambedue per metter su uno di curia molto strisciante, che non c’è riuscito. Scoperto il trucco, Martini è andato da Ratzinger la sera, (m’ha detto), e gli ha detto: «“Accetta domani di diventare papa coi voti miei? E poi vi farò un discorso». E poi mi ha detto che ha fatto un discorso, non ha parlato d’altro credo; hanno arrossito in molti cardinali … Martini, ha detto che molti arrossivano perché ha denunciato la cosa… erano manovre sporche… E poi gli aveva detto (a Ratzinger n.d.r.): «Accetta tu che sei in Curia (è stato n Curia 30 anni credo), poi sei intelligente e onesto, se riesci a riformarla bene, sennò te ne vai». E il primo gesto che ha fatto (Benedetto XVI n.d.r.): è andato a L’Aquila, a porre la sua stola, il suo pallio sulla tomba di Celestino V, già dall’inizio del papato. E poi dopo dieci anni Martini gli ha detto che «è proprio ora, sai, perché qui non si riesce a far nulla»…

In sintesi, la maggior parte delle testimonianze (Dannels, Limes e Bergoglio) affermano che il competitore di Ratzinger era Bergoglio.

Apprendiamo anche che i due candidati favoriti, Ratzinger e Bergoglio, erano arrivati a un testa a testa irrimediabile, senza via di uscita, con Bergoglio in netta inferiorità numerica di voti.

Così, piuttosto che far eleggere un terzo candidato con un’ampia maggioranza, quel cardinale italiano e di curia citato da Bergoglio e Fausti, il Gruppo di San Gallo ripiegò sull’uomo che, per loro, era il “male minore”. Infatti, Ratzinger, oltre ad essere abbastanza anziano (78 anni), avrebbe potuto essere facilmente logorato e costretto alle dimissioni in quanto era una figura ritenuta debole e gestibile: debole perché sarebbe stato privo di maggioranza; gestibile mediaticamente perché poco incline a strategie comunicative; caratterialmente mite; uno studioso, quindi troppo elevato rispetto alla massa; proveniente dalla Congregazione per la dottrina della fede, cioè la più invisa delle funzioni nell'immaginario collettivo. Inoltre, da decenni veniva dipinto al pubblico come “arcigno teologo tedesco”, “Panzerkardinal”, “Rottweiler di Dio”, “Pastore tedesco” etc.

Nell’impossibilità di eleggere il proprio candidato, ai sangallisti avrebbe fatto comodo eleggere Ratzinger al posto di altri: un papa conservatore, ma fragile, da logorare con strategie ostruzionistiche e oppositive per pochi anni, da distruggere a livello mediatico, tanto da costringerlo alle dimissioni, per poi far salutare con sollievo ed entusiasmo “il papa venuto dalla fine del mondo”, Bergoglio, con ampio e ben preparato battage pubblicitario.

Nel 2005, i tempi non erano maturi: Bergoglio non aveva ancora i voti e c'era bisogno di tempo per consolidare il suo posizionamento.

Lo ammette lo stesso Bergoglio in El Sucesor: “(Ratzinger) era l’unico che a quel tempo poteva essere Papa. Dopo la rivoluzione di Giovanni Paolo II, che era stato un Pontefice dinamico, molto attivo, intraprendente, viaggiante… c’era bisogno di un Papa che mantenesse un sano equilibrio, un Papa di transizione. […] Se avessero scelto uno come me, che combina tanti guai, non avrei potuto fare nulla. A quel tempo non sarebbe stato possibile”.

Ratzinger fu, quindi, eletto proprio per essere deposto dopo qualche anno: questo il misfatto. Nella sua Declaratio, (l’unica versione dei fatti attendibile e già giudicata dal Pontefice), questa elezione malevola è collegata - ita ut – proprio al fine di fargli lasciare la sede sede vuota, cioè allo svuotamento, nel tempo, dei poteri della Santa Sede costringendo il Papa alle dimissioni.

Del resto, tutti sono testimoni dell’opposizione politica e mediatica che subì papa Benedetto durante il suo pontificato: il rifiuto dell’università “La Sapienza” ad ospitare una sua lectio magistralis, i continui scandali sui preti pedofili rimbalzati dai media, l’ostilità della politica internazionale, ma ci sono anche episodi molto oscuri e tutti da indagare, come il presunto “incidente notturno” subìto da papa Benedetto durante il viaggio apostolico in Messico-Cuba nel 2012.

Nell’ultima lettera a Peter Seewald, egli affermò che al centro delle sue dimissioni vi era stata l’insonnia, descrivendo un incidente domestico dovuto – secondo vari medici e specialisti - a un sovradosaggio indotto di farmaci. Questa frase della lettera è eloquente: “Il prossimo evento oltre mare che mi attendeva era la Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro (22-29 luglio 2013). Era chiaro che in queste circostanze, non potevo più gestirlo, ma che un nuovo Papa avrebbe dovuto assumersi il compito. Ciò significava che dovevo dimettermi prima di Pasqua 2013”.

Benedetto aveva compreso, dopo tale episodio, che se fosse rimasto al potere non avrebbe avuto vita lunga. Morendo, però, i nemici si sarebbero impadroniti del Papato attraverso un legittimo conclave. Senza un pronunciamento ufficiale di Benedetto XVI che avesse scismato fin da subito i nemici, la Chiesa sarebbe rimasta senza difesa.  Ecco perché Benedetto decise di togliersi di mezzo, ma senza abdicare e “offrendosi alla sua passione”, cioè alla sede impedita. Con la sua Declaratio, scritta in modo appositamente facile a falsificarsi, innescò, nella mattina dell’11 febbraio 2013 due processi. Da un lato, la possibilità per i cospiratori, di conquistare il potere e manifestarsi gradualmente come apostati gnostici, scandalizzando il Popolo di Dio, dall’altro, la graduale comprensione da parte di un “sale della terra” della situazione canonica e la finale risoluzione dell’antipapato secondo le regole di uno stato di diritto.

Info: codiceratzinger@libero.it ; codiceratzinger.eu

Di Andrea Cionci.

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