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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

I lanciatori di gatti non vanno "perdonati" ma messi in galera, tanto più che annunciano nuove efferatezze

Qualcuno ci spiega come mai un giovane, categoria ormai dello spirito, può rivendicare torture, minacciarne di nuove, e la magistratura non interviene e i social moralisti neppure? Che bisogna fare per finire male in Italia, non credere ai vaccini? ai cambiamenti climatici?

12 Luglio 2024

Il Giustiziere della notte

Avendo io proposto in merito ai lanciatori di gattini alcune considerazioni sul perdonismo cattolico che istituzionalizzandosi si è trasfuso nell’impunità moralistica irresponsabile, sono stato investito da lettere e messaggi di bigotti che mi rimandano al catechismo degli 8 anni. I bigotti si possono capire, i conti del fanatismo che non tornano si possono capire, inquietano, inducono ad aggressività difensiva. L’inerzia della magistratura a questo punto non si può capire e tanto meno giustificare. Perché si dà il caso che siffatti giovani zombie insistano, accumulando reati. Già è aberrante che chi scaraventa un piccolo micio giù da un burrone se la possa cavare con una ramanzina dal reparto forestale dei carabinieri; senonché questi rivendicano, minacciano, annunciano nuove imprese. Il diretto responsabile, il lanciatore, prima ha insultato gli animalisti o semplicemente gli umani rimasti umani, irridendoli: “vi siete tolti tutti il cazzo di bocca per un gatto”. Poi ha detto che era pentito, precisando però che stava diventando famoso, e dolendosi alla prospettiva di un risarcimento monetario. Alla fine, esasperato, “Io non merito i vostri insulti”, ha fatto sapere che stava pensando di fare “molto peggio di questo che ho messo nel video che comunque è virale”, avendo cura di precisare, in un malinteso spasmo di sincerità: “Mi sto scusando con tutti perché voglio la coscienza pulita (sic!) ma di quel gatto di merda non me ne può fregare una ceppa di minkia. Se l’ho lanciato da lì ce (sic) un motivo, forse perché se l’ho lanciato prima senza pentirmi, non lo farò nemmeno ora. Adesso mollami, ciao”.

Non si cerchi di capire: siamo al punto in cui l’afasia travolge la psiche. Non diciamo la coscienza, perché questi non hanno neppure un sospetto di coscienza. Hanno mentito e, con loro, hanno mentito i rispettivi genitori, una “mamma coraggio” ha provato a spacciare la versione dell’atto pietoso perché il gatto era già morto: niente da fare, ci sono i testimoni, ci sono le riprese, il micino era vivo, vegeto, faceva le fusa in braccio a quella che l’ha raccolto e poi lo ha passato all’amico per il lancio, mentre la terza filmava: vigliacchi schifosi. Hanno avuto il coraggio di scrivere: “Come osate insultarci? Criticarci? Solo per un gatto? Ma che mondo è? Vi cambia la vita quel gatto?”. Non si cerchi di capire: siamo al di sotto del male demoniaco, della stessa banalità del male, siamo alla palude di esistenze crudeli, miserabili, irredimibili. Ci pensassero i bigotti che mi scrivono proponendo di “lasciar fare”, non si capisce bene cosa e a chi. Sì, forse, magari, sempre ammesso che: questi fanatici oscillano tra cinismo pilatesco e terrificanti ipotesi di ordalia che solo un fondamentalista può immaginare: io almeno me la cavo al modo rozzo, ma efficace e veloce, di Paul Kersey, il Giustiziere di Bronson. Sospettando sia l’unico modo per non perdere l’occasione che, biblicamente, non si ripresenta: secondo il teologo Kung l’inferno esiste ma è vuoto, non ci alberga neanche Hitler. Da cui la fantozziana impunità classista, l’inferno in terra che si riproduce pari pari in paradiso, dove salgono gli eminenti, non importa se nel male. Sono blasfemo? Può darsi, ma se la fine, per tutti, nessuno escluso, è cantare in girotondo per l’eternità le lodi del Signore (almeno l’Islam è più concreto, assicura orgasmi furibondi senza fine), vogliamo occuparci della fogna in cui viviamo adesso? I messaggi di questi tre, che meritano i genitori che hanno i quali meritano i figli che hanno, configurano minacce potenzialmente estreme: che significa essere pronti a “fare cose peggio del mio video che è andato virale”? Scannare un altro gatto? Un animale più grosso? Un essere umano, magari indifeso, anziano o disabile? A siffatta giovane miseria resta intonsa la facoltà di utilizzare i social per cercar fama, dunque soldi, a suon di deliranti pizzini, “vi quereliamo tutti”; ma più di questo resta, a quanto pare, una sostanziale impunità sia da parte della magistratura che degli stessi social, prontissimi a chiudere profili per inezie, nel modo più pretestuoso o strumentale.

Qualcuno ci spiega come mai questi restano liberi in tutti i sensi: di girare a caccia di altri animali da seviziare (lo dicono loro), di minacciare conseguenze ancora peggiori (lo dicono sempre loro), di insultare (se ne vantano loro) e di mentire (“vi ho preso in giro quando dicevo che mi pentivo”). Insomma che ci vuole in questo Paese per finire in galera? Non credere ai vaccini? Ai cambiamenti climatici? I giovani, questa categoria ormai dello spirito, onnicomprensiva, autopercettiva, vanno di per sé protetti dallo scudo penale fino alla strage annunciata? Ma dove sta scritto poi che essere giovani significa essere tutti uguali e ugualmente meritevoli di impunità? Non tutti sono degenerati, non tutti sono dei falliti analfabeti e sadici: ne restano, e pare uno di quegli stralunati miracoli della natura quando non si rassegna, ne restano che, invece di torturare animali, li soccorrono; che non massacrano i loro coetanei, o li stuprano, o danno fuoco ai barboni, ma li consolano, li curano, li difendono; ne restano a difendere la vita contro tutta la merda subumana che la sta spegnendo, umiliandola insieme al Dio dei bigotti che se ne fregano, che dicono: mandateli da don Mazzi e passate oltre. Nessuno tocchi Caino! Ma davvero ce la caviamo con le parabole per cui chi razzola male viene riscattato in fama di pecorella smarrita e chi si è sempre dannato per rigare dritto si sente dire dal Dio strafottente, beh? Che c’è? Non ti sta bene? Ti ho pagato il pattuito e allora che altro cerchi? E la conclusione è che l’infame non è chi uccide un gatto, un simile, una vita, ma chi se ne è stupito, addolorato, costernato. Forse questo ai bigotti del catechismo sta bene, ma il fatto è che se non ci si decide a mettere un freno a Caino, Caino prende il controllo totale della situazione e va a finire come in quell’opera tragica, Der kaiser von Atlantis, scritta in lager da Victor Ullman su libretto di Peter Kien, l’allegoria dell’orrore puro, incarnato da Hitler che esasperò persino la Morte, e che non venne mai rappresentata perché compositore, librettista, orchestrali, cantanti, tutti alla fine furono passati per il camino.

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