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Gino Cecchettin, un libro di sofferenza militante: prende a pretesto l'indulgenza che si deve al dolore

Scritto in un lampo, con adeguato supporto, parte da una tragedia personale, familiare per tracciare una morale discutibilissima e faziosa, nel solco dell'Agenda autoritaria e punitiva, fatta di lotta al patriarcato e senso di colpa maschile: da rispedire al mittente

04 Marzo 2024

Cecchettin libro

Ingegnere o elettricista che sia, nell’orgia dell’informazione globale non si è mai sicuri di niente, il Gino Cecchettin da Vicenza non può venirsene a dare lezioni di vita. Di vita e di politica: su quali basi, da quale pulpito? Invece non ha fatto altro da quando un bamboccio mostruoso gli ha trucidato la figlia, passando dalle università ai supermercati, dai monumenti a Fabio Fazio, dalle interviste ringhiose all’ufficio stampa per gestire la notorietà cui certo non si è sottratto. Non può il Gino Cecchettin, chi era costui fino a ieri?, venirci a dire come dobbiamo pensare e cosa, e perfino in quali termini, non spetta a nessuno e men che meno ad uno passato per certi tweet ginnico-erotici, mai formalmente smentiti. Adesso si ripresenta, alla ribalta e dal solito Fazio, per pubblicizzare un libro che esce domani, ovviamente dedicato alla figlia, Giulia. Questa operazione qualche sospetto lo autorizza, non si offendesse il Gino neopaladino del femminismo vol au vent: scritto in pochissime settimane, con un piccolo aiuto dell’amico giornalista che gli ha messo in ordine i pensieri e la paratassi, in esemplare tempismo per eventuali situazioni, il Gino che piace al Piddì, anche se prima era, par di capire, di tutt’altra sponda, quanto a gossip elettorale se la batte con Vannacci: tutto un io vorrei, non vorrei, ma se vuoi… Ebbene il Gino neoconsapevole è appetito dalla Schlein come il padre della teppista Ilaria Salis reclusa in Ungheria, uno che sul solito e fatale Twitter tuonava contro la sinistra statalista e infame, ma si sa che i compagni del gramscismo accattone non si fanno tanti problemi quando c’è da raccattare facce. E insomma Gino ha fatto il libro pedagogico, col dito puntato e dunque e quindi allora? Io perché dovrei farmi tracciare la morale dal primo che passa? Se a parlare è l’esperienza di padre, di marito sfortunato, allora uno dovrebbe farsi illuminare dalla metà della gente che incontra, e magari anche semplicemente da se stesso.

Ma il dolore non garantisce saggezza e la saggezza non autorizza la ybris: vi dico io che voi maschi – voi, certo – siete tutti colpevoli, tutti assassini quanto meno potenziali, tutti patriarcali, tutti femminicidi. Ma dici sul serio? Il Gino ha la minaccia di querela facile, ma uno che fa un libro per dirmi, volere volare, che anche io, in quanto maschio, sono feccia, sono un criminale, almeno in possibilità, almeno in senso ideologizzante, non merita lui una denuncia? Non vuole fare la morale, però vuole predicare: sentiti libero di decidere tu anche per me, per noi, per tutti. Non ha fatto il libro con intenti didascalici e, Dio gli è testimone, commerciali, però fa il giro delle sette chiese a presentarlo e ovunque traccia le sue discutibili conclusioni, molto simili a quelle dell’altra figlia, Elena, una capace di dire che tutti i maschi sono stragisti e la colpa di quanto successo alla sorella è di chiunque provvisto di pene, chissà se anche i Luxuria e chi si percepisce comunque “altra”, e che la colpa definitiva però è di Salvini, proprio così.

L’Ingegnere o elettricista Gino poteva fare un libro in memoria della disgraziata figlia e della moglie, fermandosi lì: invece parte dalla famiglia, che non c’è più, per ammonire, indirizzare, incolpare il mondo. E questo, spiacente, non è accettabile neppure in costanza di sofferenza. Dice lui: il dolore mi ha aperto gli occhi, mi ha fatto capire; non è detto che la comprensione sia sempre a fuoco, comunque non può essere imposta, sparata a pallettoni. Quello che non è accettabile è il risalire da una tragedia privata, maturata per causa di un balordo tarato, ad una costruzione sgangheratamente ideologica tutta nel solco dell’agenda, del woke autoritario e punitivo di stampo eurounionista: vedremo presto se e a cosa porterà, ma una cosa è un libro sulla tenerezza dello sgomento, un’altra è un libro militante, che prende a pretesto la indulgenza che si deve al dolore, da uno che fino a sei mesi fa vedeva la faccenda in un modo radicalmente opposto e non lo nega, anzi lo rivendica: ho aperto gli occhi, ho capito e vi illumino. La militanza è per definizione ringhiosa, divisiva, “inclusiva” a prezzo del ricatto, predica l’abiura dall’odio, la comprensione, la mitezza ma i suoi apostoli sono sempre suscettibili, violenti, le loro posizioni, approssimative, discutibili, sono in scia all’intolleranza, al “vi dico che è così” e chi non è d’accordo passa automaticamente in fama di boia, di becero, di infame, come d’altronde chi si permette di sindacare il santone di turno si chiami Gino, Mimmo, Ilaria o Chiara. La militanza è anche mediocre, sciocca, al confine col ridicolo: se uno non vuole “rinunciare al suo status” di uomo maschio occidentale, qualsiasi cosa significhi, tanto per fissare il livello, non è il caso che si senta colpevole come lo indica questo improbabile guru della domenica.

Coincidenze esoteriche, scherzi delle sincronicità: non sarà un caso che nella stessa puntata dal Ciambellano piddino sempre più pieno di sé e vuoto di domande, sfilino prima Gino, poi la Ferragni, col contorno della Big Mama, big ma pur sempre meno di Fazio. Non si sa quanto renderà il libro in memoria della sventurata figlia, al padre e a chi lo ha tirato, ad una editoria che ormai è come la politica, imbarca la qualunque per qualunque motivo, meglio se pretestuoso. Se si pensa che hanno editato uno come Soumahoro. Finirà adottato nelle scuole, probabilmente, come il filmetto militante della Cortellesi, un’altra che come apre bocca predica, impartisce banalità di imbarazzante approssimazione. Ma certo chi il libro di Cecchettin se lo piglia, e magari se lo legge pure, e perfino ne fa un vangelo pret a porter, deve essere di una specie curiosa e vagamente inquietante. Un tempo Guareschi questi conformisti di massa li chiamava trinariciuti ma nella temperie attuale le narici non bastano più, esattamente come gli eroi da cassetta e le influencer che vivono “step by step”, per dire il qui ed ora metastorico, aproblematico, senza radici e senza prospettive, prendere subito quel che c’è e poi, quando finisce la pacchia, frignare in modo inverecondo.

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