01 Febbraio 2024
Artur Marashi viene descritto dall’accusa come il collettore dei soldi che il Genoa versava indirettamente a una frangia di tifosi. Guidati da Massimo Leopizzi e capaci di minacciare calciatori e vertici della società, intimidendoli con la promessa di tafferugli se non fossero arrivati soldi. Per uno dei principali imputati nel processo incentrato su quelle possibili estorsioni però, Marashi era questo: «Per me rappresentava il facente funzioni della questura allo stadio. Lo vedevo sempre in abiti civili, per così dire, cioè senza colori o simboli del Genoa. D’altra parte era sempre assieme a carabinieri o poliziotti. Anche ultimamente era in un bar con gente in divisa». A pronunciare queste parole, ieri durante l’udienza del processo a carico di 15 persone, in buona parte tifosi, è stato Davide Traverso. Dal 2014 al 2018 presidente dell’Associazione dei club genoani, anni nei quali i rapporti fra ultras e società rossoblù erano tesissimi. Il ritratto che fa di Marashi, imputato come lui, sembra avvalorare il potere di quest’ultimo all’interno dello stadio. E per la Procura lascia ancora una volta intendere quanto, in quel preciso periodo storico, la gestione della tifoseria più calda fosse in mano ad alcuni soggetti. Tanto da diventare interlocutori privilegiati anche di chi l’ordine pubblico doveva gestirlo per lavoro.
Traverso è stato interrogato dal pm prima e dal suo difensore, l’avvocato Riccardo Lamonaca, dopo. «Non sono mai stato un ultrà, ma un tifoso. Non ho mai chiesto favoritismi alla società, neppure all’allora presidente Enrico Preziosi», dice. Ricordando però d’aver ricevuto un daspo (provvedimento che impedisce l’ingresso allo stadio) di tre anni nel 2003, oltre a quello in corso per l’indagine che lo ha portato al processo. «La mia preoccupazione, da presidente dell’associazione, era di non far scoppiare problemi di ordine pubblico». Le contestazioni contro Preziosi e, ad un tratto, l’allenatore Gian Piero Gasperini erano accesissime. «A maggio del 2015 ci fu la mancata ammissione del Genoa in Europa League (si qualificò, ma non riuscì a iscriversi per mancanza di requisiti) - continua Traverso - Fummo sostituiti dalla Sampdoria e questo creò un terremoto inaspettato, deteriorando sempre di più i rapporti con la società. Preziosi mi disse che aveva fatto un casino l’ex amministratore delegato Alessandro Zarbano». Nel 2016 poi, Gasperini in un’intervista aveva fatto i nomi di Leopizzi, Traverso e “Cobra”, ovvero Marco Pellizzari (imputato), contestando la loro condotta. «Non avevo rapporti con lui e sono rimasto sconvolto - dice Traverso - Preziosi era stupito, mi disse che Gasperini era uno nervoso. Querelai l’allenatore ma venne tutto archiviato perché era un personaggio pubblico. Non volevo soldi, soltanto smentire le sue parole: per sei mesi ho avuto paura a girare, un tizio mi aveva minacciato».
La pm chiede a Traverso quali fossero i suoi rapporti con Leopizzi, ex leader della Brigata Speloncia e per la Procura socio occulto di Marashi: «Conosceva tutti e per me era importante sentirlo per avere il polso della situazione. Qui mi si dice che sono stato il tramite tra lui e la società, ma non ne aveva bisogno. Tutti avevano il numero di tutti in questa storia. Massimo è schiavo del suo personaggio, vuole essere riconosciuto come quello che fa sintesi. Non ho mai avuto soldi da lui». Traverso ammette di aver incontrato Preziosi nel suo studio di Cogliate, con Leopizzi. «Voleva conoscermi, era il 2014. Loro due si conoscevano benissimo». Oltre a Traverso, altri imputati hanno parlato fornendo spontanee dichiarazioni. Come Ivano Mucchi, autore dei comunicati della curva Nord: «Non ho mai preso un euro. Abbiamo fatto tante cose, anche benefiche ma ci dipingono come hooligan. Non ci sono fatti contro di me, solo riletture di telefonate».
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