30 Novembre 2023
Fonte: imagoeconomica
Una nuova sentenza di Firenze in materia di obbligo vaccino Covid ha stabilito che l'infermiera non vaccinata e sospesa per un anno è stata discriminata e pertanto, deve ricevere un risarcimento. La lavoratrice è stata sospesa per un anno per aver rifiutato il vaccino Covid. Il giudice Susanna Zanda ha riconosciuto la discriminazione, disponendo così il reintegro degli stipendi. L'ASL è stata condannata a un indennizzo di 200 euro per ogni giorno senza lavoro.
Si tratta di una sentenza di primo grado, che ha riportato giustizia ad uno dei tanti sanitari sospesi e rimasti senza stipendio durante la campagna vaccinale. Susanna Zanda appartiene alla Seconda Sezione Civile del capoluogo toscano, e con la sua sentenza, arrivata lo scorso 20 novembre, l'infermiera di Poggibonsi che lavora in quell'ASL da 40 anni, ha potuto riconoscere i suoi diritti. Riuscirà a prendere tutti gli arretrati di stipendio che gli erano stati tolti in quanto non vaccinata, ma non finisce più, perché in aggiunta, riceverà anche un risarcimento significativo di almeno 70mila euro per il danno biologico, psichico e morale accusato con quel provvedimento.
L'ordinanza si basa sul principio della discriminazione che la donna ha subito. I legali ai quali si è affidata sono l'avvocato Tiziana Vigni e Gianmaria Olav Taraldsen dello studio di Mauro Sandri.
La sospensione ai danni della dipendente è avvenuta dal 2 settembre 2021 al 31 dicembre dello stesso anno, e, in seguito, dal 15 giugno 2022 al 31 dicembre. L'ASL toscana l'ha lasciata per più di un anno senza apporto economico, e l'operatrice sanitaria specializzata presente in quell'ospedale dal 1985, è stata privata in modo improvviso dell'unica fonte di reddito che percepiva.
Il giudice Zanda ha deciso che il provvedimento scattato nei confronti della donna era discriminatorio e fonte di danno risarcibile, dando torto quindi, ai Decreti Legislativi dei governo Conte II e poi Draghi.
Secondo la toga fiorentina, quei Decreti-Legge, trasformati in legge dello Stato, hanno violato la Carta di Nizza sulla violazione della dignità umana (Articolo 1) e il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea che dà la possibilità di aprire un intervento verso gli Stati che attuino una tale discriminazione (Articolo 19).
Ecco quali sono state le frasi riportate Zanda: "Occorre domandarsi se la richiesta di vaccino anti Covid per poter lavorare presso l'azienda, quale nuovo requisito introdotto dal DL 44/2021 fosse inquadrabile come misura di 'protezione sociale e tutelato della salute".
L'ASL è stata citata anch'essa in giudizio e ha giustificato il suo provvedimento avvalendosi del fatto che avesse applicato le attestazioni dell'Istituto Superiore di Sanità. Il giudice ha poi continuato: "Tali elementi sono autoreferenziali e non assurgono evidentemente a prove circa la sussistenza di valide ragioni del trattamento sperequeranno attuato dalla convenuta e non restino all'efficacia probatoria dei corposi elementi forniti a supporto della condotta discriminatoria subita. Dunque, i vaccini non solo non sono anti SARS-CoV-2 e cioè non impediscono la catena del contagio, ma non impediscono nemmeno la malattia severa da Covid, le ospedalizzazioni e i ricoveri". In conclusione, riferisce: "Poiché il vaccino non aveva la capacità immunizzante attestata in modo non veridico nel Decreto Legge 22/2021 per giustificare le sospensioni dal lavoro di certe categorie di cittadini, non appare giustificato il trattamento sperequato che consente ai vaccinati di lavorare e che vieta invece di lavorare ai non vaccinati, che sono stati emarginati dalla società, privati della dignità del lavoro e della libertà dal bisogno». Stando alla discriminazione attuata dalla legge prima che dall'Azienda, alla donna è stata riconosciuta la 'privazione di un diritto naturale per un lasso temporale eccezionalmente lungo e senza valide ragioni, gettandola nell'emarginazione e nel bisogno".
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