07 Ottobre 2023
L’arroganza maschera l’imbarazzo. Enrico Mentana detto Chicco, una vita da direttore, tg Rai, tg Mediaset, La7, annessi e connessi, sfancula gli stalker delle Jene che lo incalzano sulla vicenda di Dario Fabbri, un altro presunto laureato ammantatosi di autoscienza, politica in questo caso, uno dei tanti altarini disvelati per l’occasione dal professor Riccardo Puglisi che evidentemente sapeva di cosa parlava; per Chicco, la faccenda è una questione privata, “sono cazzi nostri” e così liquida le Jene. Mentana può risultare odioso ma in questo caso dice la verità senza coloranti né conservanti: da sempre il giornalismo reputa “cazzi suoi” le beghe interne ed è normale sia così, per dire panni da lavare nella famiglia allargata dove i direttori sono interfaccia della politica e della pubblicità. La retorica montanelliana del lettore unico padrone era pura ipocrisia novecentesca, ipocrisia perché non è mai stato così dai tempi di Baretti e della Frusta Letteraria, novecentesca perché anche a volergli prestar fede, i tempi sono completamente cambiati e gli scatti d’orgoglio narcisistico di Montanelli, uno che comunque sapeva gestirsi benissimo tra i vari potentati, oggi sarebbero semplicemente improponibili.
“Abbiamo anche indagato su Fabbri” ammette Mentana, si vede che neppure loro non si fidavano e del resto se non prende informazioni riservate un sito di debunker, allora chi? E anche su questo non c’è niente di nuovo né di strano, le redazioni, le testate sono simili a covi dei Servizi, rigurgitano di dossier, di notizie riservate anche riguardanti la loro stessa pancia, sono centrali spionistiche. Il problema, di Mentana ma soprattutto dell’informazione influencer, non è di bon ton ma di metodo: un sito come Open, che si vanta di dirigere il traffico sui social, di collaborare, ma in posizione subalterna, con Facebook, è giornalismo? O è qualcosa d’altro, di radicalmente diverso? Facebook è la piattaforma, come ammesso dal suo padrone Zuckerberg, che distorceva il senso delle notizie, oppure le censurava, affidandosi proprio a queste curiose figurine dette fact checker o debunker, che col giornalismo c’entrano poco; è anche per causa dei social se sulla profilassi legata al Covid e ai vaccini oggi assistiamo allo scempio che ci colpisce. Questi debunker sono apprendisti giornalisti, improvvisati, a volte strappati, con fatica, a una laurea breve che non arriva mai, oppure al bancone di un comprooro o di una salumeria: si sono ammantati, col tempo, di un alone di insindacabilità, di competenza, che non dimostrano: la loro attitudine, in generale, alla militanza più faziosa si è palesata subito, la loro approssimazione è diventata in breve leggendaria, tutto quello che sanno e che devono fare è nascondere le notizie sgradite al regime diffuso e potenziare quelle che il regime globale considera accettabili, pur se in forma di leggende, di profezie che si autoadeempiono. Anche questi debunker sono della risma delle autoevidenze, nessuno gli chiede niente ma decidono per gli altri, ricordano i magistrati che garantiscono per loro stessi e non rispondono a nessuno del proprio operato, con la differenza che i giudici se non altro si sono dovuti sottoporre a un corso di studi lungo, faticoso, a concorsi, a verifiche. Invece chiunque può riciclarsi come fact checker, aprire un sito o bussare alla porta del giornalista più o meno rinomato e cominciare a fare danni.
I siti che “debunkerano” ingenerano più credibilità o più creduloneria? Se volete scorrere qualche impresa di uno fra loro, il Puente che di Mentana è un po’ il braccio, leggetevi il ritratto che ne fa Mario Giordano nel libro “Tromboni”: non ci sono considerazioni, solo dati di fatto costituiti da gaffe, topiche, figure mortificanti. Spesso questi debunker d’Europa si ritrovano ai loro raduni gentilmente sponsorizzati dai Soros, dai finanzieri miliardari che investono nella comunicazione, vale a dire la propaganda di stampo autoritario e censorio diffusa sui social. Può questa gente, questa schiatta di professionisti millantati e improvvisati riscuotere fiducia? Quello loro è ancora il mestiere di informare o si risolve in una più banale, volgare attitudine alla delazione e alla propaganda di servizio? Chi scrive è convinto da un pezzo che il giornalismo non esista più e non per vuota retorica ma perché il giornalista come cerniera democratica fra il sapere degli iniziati e la sconoscenza del popolo non c’è più, oggi il suo ruolo è quello di un influencer, di un personaggio dello spettacolo; e la qualifica si è annacquata fino a comprendere i Fabrizio Corona e i mille imbonitori del vaccino o delle superstizioni eclatanti come quella sul clima che cambia. Tutti giornalisti nessun giornalista. Del resto, i palinsesti di tutti i network, dal servizio pubblico a quelli privati, sono invasi da figure trasversali conosciute più per le miserie che per gli scoop, gente che si racconta nei termini sessuali o mitizzanti che si usano per le popstar, oppure si è distinta per avere augurato la morte a chi non si vaccinava, magari dopo avere ironizzato sui vaccini a suo tempo. Siccome tra le varie questioni scabrose del giornalismo c’è un Ordine che si muove a sua volta in modo ideologico e fazioso, diremmo che il discorso è chiuso. Io stesso mi son visto rimuovere da youtube una intervista in cui raccontavo il mio stato di paziente affetto da linfoma, ipotizzando correlazioni di natura vaccinale: posso garantire che la cosa in sé pare irrilevante e invece non c’è niente di più mortificante che vedersi eliminare in quanto malato, come uno che, avendo qualcosa da dire, viene fatto fuori prima del tempo; uno che deve sparire portandosi addosso lo stigma dell’infetto. E qui, come appare sempre più evidente, i leggendari algoritmi c’entrano poco, qui si tratta di censori vivi, reali ancorché nell’ombra, che vedono, manovrano, provvedono. Vantandosene. Ecco, l’arroganza del Chicco a me è parsa il fastidio di chi capisce che la situazione, così come si è andata strutturando, non regge, è l’esatto contrario di un mestiere cui bene o male si è dedicata la vita. E si potrebbe anche dire: il fastidio dello sputtanatore minacciato da altri sputtanatori di sputtanamento. Ma il giornalismo è ridotto a questa roba qua? Non è Mentana a contare ma una involuzione collettiva del mestiere, sempre più improntato a scelte condizionate e magari obbligate ma non per questo meno fastidiose, impostazioni che a volte, inaspettatamente, emergono nelle loro contraddizioni e allora l’unica cosa che resta è mandare affanculo chi te le agita davanti, chi, in modo molesto e magari cretino, te ne chiede conto. Quoque tu, Chicco? Ma Chicco è solo un chiccolino a fronte di un mesto percorso generale al capolinea dei non giornalisti delle Jene che stuzzicano i diversamente giornalisti o laureati in fama di esperti, di debunker.
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