05 Settembre 2023
Yuval Noah Harari; Fonte: Flickr
“Non si può negare che prima che si possa comprendere ogni altra cosa, deve essere compreso il pensare. “Io penso, dunque sono”. Ogni altra cosa, ogni altro divenire, è là senza di me, non so se come verità, o come illusione o sogno. Una sola cosa io so in modo del tutto sicuro, in quanto io stesso la porto a sicura esistenza: il mio pensare”. (Rudolf Steiner, La filosofia della libertà).
Il pensiero astratto è la più straordinaria caratteristica umana. La capacità di immaginare una realtà fisica diversa da quella percepita tramite i cinque sensi. C’è chi sostiene che il pensiero astratto nasce dalla coscienza, dalla consapevolezza o dall’anima, chi afferma che è una peculiarità unicamente umana, chi – al contrario – scrive che è il risultato di un processo biologico. Tra questi ultimi, il più influente pensatore dei nostri tempi, Yuval Noah Harari.
Sul fronte opposto, Federico Faggin, con la sua fondazione (http://www.fagginfoundation.org/), che ha per scopo lo studio della consapevolezza. Le conseguenze delle due tesi sono opposte: se il pensiero astratto è il risultato di un processo biologico, una volta che la scienza abbia svelato tutte le sequenze di tale processo, potrà ricrearlo nell’intelligenza artificiale. Se, al contrario, il pensiero astratto è una peculiarità unicamente umana, l’intelligenza umana resterà in eterno qualitativamente diversa da quella artificiale. Sembra poco, ma è tutto.
Stimo immensamente Yuval Noah Harari, il suo Homo deus è un libro che andrebbe letto e commentato in tutti i licei. Da agnostico, non ho difficoltà a riconoscere che “Dio non esiste”: semplicemente aggiungo un “forse”. Condivido che l’umanesimo sia una sorta di religione senza un Dio (tesi che lo storico israeliano spinge fino al limite estremo dove l’homo sapiens, grazie alla tecnologia, diventa homo deus).
Parafrasando il Discorso sullo spirito positivo di Auguste Comte: “A livello filosofico, lo spirito umano si è evoluto passando per tre fasi principali.
La prima fase, detta teologica, è quella in cui l’umanità si è spontaneamente interessata delle questioni più insolubili, radicalmente inaccessibili a ogni investigazione decisiva.
Dalla predilezione originaria dello spirito umano per le questioni insolubili è nata poi la seconda fase, detta metafisica in cui le speculazioni dominanti vi hanno conservato lo stesso carattere essenziale di tendenza abituale alle conoscenze assolute.
La terza fase è quella positivista, in cui lo spirito umano rinunzia alle ricerche assolute che convenivano solo alla sua infanzia per circoscrivere i suoi sforzi nell’ambito della vera osservazione, sola base possibile delle conoscenze veramente accessibili. La pura immaginazione si subordina all’osservazione. In una parola, la rivoluzione fondamentale che caratterizza la maturità della nostra intelligenza consiste essenzialmente nel sostituire, dappertutto, all’inaccessibile determinazione delle cause propriamente dette, la semplice ricerca delle leggi, cioè delle relazioni costanti che esistono tra i fenomeni osservati. In questa fase l’umanità rinunzia a scoprire la prima origine e la destinazione finale ovvero cessa di interrogarsi sulle questioni inaccessibili a ogni investigazione decisiva.”
Tuttavia, mi è rimasta impressa una frase di Federico Faggin (che ho incontrato a Milano l’anno scorso): “Non capendo come funzioni, la scienza contemporanea ha deciso di ignorare la consapevolezza”.
Harari ha sposato le teorie dell’umanesimo evoluzionista, che auspicano la trasformazione dell’essere umano e non pongono limiti etici alla ricerca. L’eugenetica è una parte integrante ed essenziale dell’evoluzionismo, da qui il suo pericolo. Esiste una teoria alternativa, capace di contrapporsi all’ umanesimo evoluzionista? Se a un certo punto della ricerca la scienza svelasse tutte le sequenze del processo che porta alla consapevolezza, al pensiero astratto, sarebbe eticamente corretto ricrearlo nell’intelligenza artificiale? Cyborg capaci di immaginare una realtà fisica diversa da quella percepita tramite i cinque sensi umani potrebbero modificare il nostro mondo.
Verità, illusione o sogno, il nostro mondo non è forse “il migliore dei mondi possibili” come sosteneva semplicisticamente Gottfried Wilhelm Leibniz, ma l’ipotesi di una modifica ad opera di un computer o di un cyborg mi fa una certa paura. Ma attenzione! Scrive Harari: “La nostra fede nel libero arbitrio … deriva da una fallacia logica. Quando una reazione biochimica a catena mi fa desiderare di premere il pulsante destro, io sento di voler davvero premere il pulsante destro. Ed è così: voglio premerlo sul serio. Le persone, però, saltano a una conclusione sbagliata, e cioè che se io voglio premerlo, io scelgo di volerlo fare. Questo ovviamente è falso. Io non scelgo i miei desideri. Io mi limito a sentirli e ad agire di conseguenza”.
Se ciò che scrive Harari è vero, la conclusione, oltre a essere quella che non esiste libero arbitrio, è che tutti noi esseri umani siamo diversi. Diversi in senso che le nostre reazioni biochimiche non portano ai medesimi risultati. Tale seconda conclusione è di un’importanza capitale, ed è sorprendente che Harari non se ne renda conto: ogni essere umano è unico e irripetibile e, anche ammesso che sia possibile riprodurre la reazione biochimica descritta in una intelligenza artificiale, questo non la farà avvicinare all’intelligenza umana presa nel suo complesso, almeno fino a quando ogni intelligenza artificiale non sia unica e irripetibile. In estrema sintesi, Harari non valuta un aspetto essenziale: la regola aurea della natura è la diversità. “Satana è un numero e ci trasforma in numeri”. Harari prima ci trasforma in esseri deterministici, governati da meccanismi biologi riproducibili nell’intelligenza artificiale, poi - inspiegabilmente - non si accorge che se ciascuno di noi funziona come tutti gli altri, tuttavia non esistono due persone identiche e i comportamenti sono molteplici. Così avvalora la sacralità della vita umana, che è una catena di anelli tutti diversi, non un singolo anello replicato all’infinito.
Corriamo verso l’ignoto, come è sempre stato fin dalla nostra comparsa nel mondo. Ma oggi i mezzi a nostra disposizione sono infinitamente più pericolosi. “Umanesimo evoluzionista”: semplicemente un altro nome del transumanesimo. Un’ideologia che porta avanti la realizzazione di un sogno, di un’utopia vecchia di quasi due secoli: “l’Übermensch”, l’oltreuomo, il superuomo o - se vogliamo tradurlo diversamente - il transumano. Il superamento dell’homo sapiens e la nascita dell’homo deus, come nella visione di Friedrich Nietzsche: “Che cos'è la scimmia per l'uomo? Qualcosa che fa ridere, oppure suscita un doloroso senso di vergogna. La stessa cosa sarà quindi l'uomo per il Superuomo: un motivo di riso o di dolorosa vergogna…”.
Ma siamo davvero certi di essere soltanto ridicole scimmie? E se anche lo fossimo – a maggior ragione – non sarebbe un gesto irresponsabile modificare per sempre la nostra natura umana?
di Alfredo Tocchi, 5 settembre 2023
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