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"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

L'Italia fuori controllo: clandestini, turisti o italiani, la violenza bestiona tracima e nessuno la ferma

Non è più questione di distinguere secondo etnie o classe: è saltata la convivenza sociale, città e scali sono invivibili, la furia non risparmia pensionati, donne, animali, tutti che si vantano e nessuno paga. E la classe politica di fatto si disinteressa, le preme solo durare.

30 Agosto 2023

la capretta uccisa

Ci sono le chiacchiere da bar o da talk show, smentibili a piacere, e poi c’è la realtà che dice di una situazione fuori controllo, di una violenza tracimata che davvero lega tutti, che non ha senso distinguere secondo catalogazioni etniche o di classe. Ricchi, benestanti i turisti che tornano via con mezzo chilo di Colosseo nello zaino o dopo avere coperto a spray un loggiato fiorentino, straccioni i clandestini che appena arrivano a Lampedusa stracciano i documenti e imbracciano i bastoni, essendo stati istruiti in patria e poi dalle ong durante in viaggio; e poi benestanti e straccioni insieme quelli che in sette violentano una ragazzina a Palermo, e se ne vantano, o che torturano gli animali, massacrano una capretta o un gatto ridendo felici allo spettacolo dell’agonia, oppure quegli altri che nel Tarantino prendono un cagnolino di strada, gli rompono le zampe, lo accoltellano. Tutti uniti dalla bestialità del male, tutti coperti da uno stato bestia che li manda liberi, li denuncia al vento, se li ferma è per pochi minuti. Abbiamo assistito alla farsa di uno dei sette di Palermo, prima arrestato, poi in quanto minorenne subito spedito in comunità dal solito prete parassita, poi mandato in galera avendo appena varcata la maggiore età: “Non si era pentito, continuava a gloriarsi dello stupro”. E cosa si aspettavano i giudici, gli operatori sociali, i sacerdoti? Cosa i poliziotti che convocano in questura i vandali dei monumenti, un centinaio questa estate, per identificarli e si vedono ridere in faccia e si sentono dire “sì ma facciamo presto che abbiamo l’aereo per i Caraibi”?

Violenza e impunità, strafottenza e senso di onnipotenza. Ma sentite come la pensa una psicologa sociale, una dei nuovi mestieri ella modernità, a proposito di quelli che hanno massacrato una capretta filmandola mentre moriva coi suoi occhi miti e increduli: “Bisogna partire dalla sofferenza del soggetto e del sistema familiare, costruendo interventi anche a carattere domiciliare, proprio per agganciare la relazione e per permettere interventi anche di tipo psicoeducazionale. La solitudine e il silenzio spesso diventano strumento contro il senso di vergogna e inadeguatezza. Un rifugio da cui uscire attraverso un legame terapeutico, magari proprio in presenza di un animale, dando la possibilità di costruire un’alleanza graduale, ma costante. La cura, l’accudimento, possono essere mezzi per ricucire un rapporto con il mondo. L’equipe deve riuscire a coinvolgere tutto il mondo attorno al giovane. Importante è l’alleanza con il nucleo familiare, a partire dai genitori che vanno ascoltati attentamente e aiutati a ripercorrere la storia di questi ragazzi, sottolineando la differenza tra periodo critico e di crescita e invece una vera e propria patologia, con caratteristiche psico-comportamentali ben chiare".

È, né più né meno, l’elogio della irresponsabilità, espresso con un linguaggio da imbroglioni, per difendere il senso, dunque lo stipendio, di un ruolo completamente inutile. Siamo alla teorizzazione del male, come a dire: lasciateli fare e poi mandateceli, a giusta tariffa s’intende. A fronte dell’azione più abietta, il macello di un animale vivo, buono, inoffensivo, inerme. Un’altra oasi di impunità sta nel collettivismo colpevolista che vela la comprensione nel male: “Lo stupro è un costrutto sociale, la società siamo tutti, tutti siamo colpevoli”. Così le Chiara Valerio e tutti i manici di scopa della subintelligenza di sinistra. Costrutto sociale non vuole dire niente, non esiste, lo stupro è un atto preciso, la responsabilità penale è personale in tutti i sistemi e le logiche del mondo, da che mondo è mondo. Dire che siamo tutti i complici per attaccare la società capitalista e liberale, in senso tecnico-politologico, non psicomorale, è una senescenza ideologica da imbonitori, tanto più se ripetuta da chi dei meccanismi capitalistici, pubblicitari si giova per diventare noto e facoltoso.

La terza isola di irresponsabilità sta nel moralismo demente dei commentatori, in quello scalmanarsi se uno consiglia prudenza: “Ah, quindi una donna non si può ubriacare, quindi un migrante è per forza un delinquente”. Deliri cui il tracimare, il franare della società dissociata non lascia più scampo. Una può fare quello che vuole, ubriacarsi, stonarsi, cambiare dieci amanti per sera, sta di fatto che oggi le condizioni sono più rischiose di prima e più alto il rischio di farsi male se non sei presente a te stesso, se ti abbandoni allo sbaraglio. La fratellanza migrante, con questi sconosciuti che alla prova dei fatti nessuno vuole “nel suo giardino”, si infrange alla constatazione dei comportamenti: il Nigeria che distrugge a mani nude la pensionata in un parco, l’egiziano che sfonda con un paio di forbici o una bottiglia rotta chi incontra, le bande disseminate, le stazioni impraticabili, la casistica non più quotidiana ma minuto per minuto delle aggressioni, del sangue versato, degli scannamenti da marciapiede, delle risse etniche che finiscono a sbudellati: distinguere, offrire fiducia a chi ragionevolmente la merita è un conto, ma ignorare quanto sopra non si può più, anche per un atto di responsabilità personale e, questa sì, collettiva. Perché se non vedi a questo punto sei complice. Viene voglia di dire, sommersi da questa furia senza controllo e senza logica: basta, chiudete tutto e non fate sbarcare più nessuno, neanche uno. Altro che le donne e i bambini, altro che i fuggiaschi dalle guerre e dai cambiamenti climatici, quest’altra fuffa che giustifica tutto. Centodiecimila in otto mesi, tremila al giorno a Lampedusa che ormai è zona di guerra aperta: le forze dell’ordine rassegnate, gli indigeni terrorizzati, un paese irrecuperabile. Il “piove, governo ladro” è becero e privo di senso, ma esiste, d’altro canto, una responsabilità oggettiva in chi comanda e, in senso più generale, nella classe di potere e da questa solo disimpegno e indifferenza: il trottolare di Meloni dalla Libia alla Tunisia è stato completamente inutile, una presa in giro ricevuta da lei e riversata sugli italiani, di blocco navale non si parla più perché è impopolare e l’Europa non lo accetta, i clandestini scendono ridendo, insultano, tirano fuori coltelli e legni, pretendono tutto, abituati alla complicità affaristica della sinistra cui subito la destra di potere si è allineata. Le forze dell’ordine osservano, nessuno si gioca il posto per imporre un ordine destinato a sfarinarsi dopo un minuto. Che “coi negri si fanno più soldi che con la droga”, come diceva il pregiudicato per omicidio Salvatore Buzzi, del PD, al compare del neofascismo criminale Massimo Carminati, continua, evidentemente, ad essere vero ma non c’è solo questo, c’è la percezione di una libertà nel peggio, di una impunità ad ogni livello, da tutti, neri e bianchi, italiani ed esotici, e questa percezione una volta tanto coincide con la realtà, rispecchia in pieno la realtà. Come si spiega altrimenti che un operatore degli animali, sorpreso con un lupo ucciso, continua indisturbato nella sua attività e nessuno gli chiede conto di niente?

Si spiega con l’evidenza, col tirare a campare che è la nostra maledizione infinita: non se ne esce, ci si rassegna, secondo costume nazionale. Con una fitta di invidia per quel video che gira sui social, quattro imbecilli climatici che bloccano una autostrada desertica nel Nevada mettendo a rischio la circolazione perché se ti infogni in mezzo al nulla non ne esci vivo; arriva la polizia, scende mitra in pugno, urlano come pazzi, li fanno spalmare a terra, sull’asfalto rovente, gli imbecilli squittiscono, frignano, “non fatelo, non fatelo, ce ne andiamo, non torniamo mai più”. Problema risolto. Chiedo troppo se chiedo di vivere sereno in un paese sereno? Di non venire aggredito, come simpaticamente successo con una docente della Statale di Milano al grido “fascista!” siccome indossavo una maglietta con il Giustiziere della notte, che a sapere la storia sarebbe il professionista progressista, di sinistra che si converte alla giustizia sommaria quando chi gli ha sterminato la famiglia la fa franca? Se non voglio più vedere risorse di un metro e novanta, appena soccorse, scendere con le dita medie innestate come due baionette e “pocco dggìo, italiani merda”? Questa feccia va spazzata via, senza distinguere i colori, la provenienza, il censo, con chi si trastulla in modo criminale non c’è altra strada, ma in Italia anche solo a dirlo ti costa l’inquisizione, la damnatio memoriae. Una capretta sacrificata come il simbolo di un paese demoniaco o come minimo pecorone.

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