29 Agosto 2023
Twitter: @EmilioBerettaF1
Una testimonianza drammatica, quella di Anna Di Leo, ex insegnante e promotrice di un'associazione di supporto alle famiglie in difficoltà che da anni a Palermo lotta contro il diffuso disagio sociale all'origine dell'ormai tristemente noto stupro di gruppo ai danni di una 19enne al Foro Italico. Uno sguardo, quello di Di Leo, capace di raccontare, grazie alla lunga esperienza diretta, una condizione di degrado che si insinua tra le pieghe di rapporti interpersonali malati e, apparentemente, privi di una comprensione nei confronti dell'altro capace di trascendere la tirannia del semplice abuso.
Parole di crudo realismo, parole di chi la vita quotidiana dei quartieri degradati di Palermo la conosce da decenni, così come conosce bene quanto sia trasversale il malcostume scoppiato in faccia all'opinione pubblica nazionale con lo stupro di gruppo del 7 luglio scorso. Un malcostume che qui, purtroppo, riveste i panni della quotidianità. L'associazione che Anna Di Leo ha fondato negli anni '90 (e che ha continuato ad operare fino al 2013) si chiamava Crescita Civile. Nei suoi uffici, psicologhe, volontarie, assistenti sociali. In vent'anni di attività, dalle loro porte sono passate decine di persone, centinaia, vittime di una "cultura dell'abuso", così la definisce Anna, che qui non distingue tra uomini e donne, adulti o bambini, ma penetra sin dalla più tenera età ad inquinare credenze e visioni del mondo.
"C’è una diffusa cultura dell’abuso su chi è più debole, della sessualità esibita sin da quando erano piccoli e si masturbavano tutti insieme - dice Di Leo - l’esaltazione della vita criminale". La criminalità resa norma, e per questo indistinguibile dalla vita comune, sociale, sana. Continua l'ex professoressa: "Un modello di vita che mescola opulenza pacchiana e tecnologia costosissima con il degrado morale di chi, sin da quando è bambino, vede la mamma spacciare comodamente dalla finestra, calando le bustine con il paniere alle 11 del mattino".
A Repubblica la donna racconta i fatti più atroci di cui è stata testimone. Parla di come, con l'esperienza maturata in tanti anni di impegno, di missione nel nome di ciò che è giusto, riesca oggi a decifrare la grammatica di norme relazionali fatte di omertà e prevaricazione. Testimonia la consapevolezza di trovarsi di fronte a madri che hanno "ceduto" le figlie a uomini disposti a "prendere in casa le bambine", vendute in cambio di gioielli d'oro, donne così immerse in un contesto deviato da non riuscire più a comprendere di trovarsi nell'abisso del torto, ma ritenersi persone comuni, immagine mediana di una comunità che secondo tali leggi non scritte si rapporta a sé stessa.
Anna conclude con amarezza il racconto dei suoi ricordi, eppure lascia una piccola goccia di speranza: "Si proteggono l’un l’altro, sono vicini di casa da generazioni e si conoscono tutti. Ma c’è anche chi tutto questo lo subisce ma ha paura di raccontare. E vorrebbe solo cambiare quartiere". Una speranza in sé triste, rappresentata da chi, da queste dinamiche, da questi quartieri, vorrebbe solo fuggire, abbandonando la terra dove è cresciuto perchè impossibilitato a riconoscersi nei suoi "valori". Una costrizione che fa venire il magone, ma che conferma l'esistenza di un'altra via, lontana dalle logiche dell'omertà e dell'abuso. Una via che è forse troppo spaventa per alzare la voce, per trovare il proprio spazio, ma che esiste e nella sua esistenza dev'essere sostenuta.
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