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Covid, i debunker stoppano studio Lancet: non provato il 75% dei decessi attribuibile ai vaccini. Ma chi fa fact cheking dei fact checker? I censori finanziati da Facebook

La pseudoinformazione di fact checker e debunker che lavorano per o con i social media è illeggibile. Un Puente di Open nessuno lo ascolta davvero: chi gliel'ha data la patente per segnalarci? Giornalismo è saper raccontare la realtà. Che i debunker trascurano, novelli censori, come i virologi

15 Luglio 2023

debunker

Nella storia triste del virologo Bassetti che vuole denunciare, uno per uno, tutti e 123 i medici che l’hanno a loro volta denunciato o deferito, stanno alcune certezze che si stendono come effetti avversi di un long Covid sociale.
La prima è che da questa faida che ha diviso coppie, famiglie, colleghi, cittadini, non usciremo.
Un’altra è il tramonto, mesto, di alcune categorie uscite per l’occasione alla ribalta e già inghiottite da un oblio che non accettano. Personaggi grotteschi, come gli insospettabili virologi, privi di scrupoli, spregiudicati nel cavalcare l’ortodossia di un regime che contava sul terrore e sul ricatto per mantenersi a vita.
Allo stesso modo questi fact checker o debunker, che del giornalismo sono un po’ un succedaneo, e che come i virologi da passerella non si rassegnano. Perché succedanei dell’informazione? Perché quella loro più che controinformazione è informazione certificata, totalmente di supporto al regime e alle sue discutibili o franate verità. Quanto a dire il tradizionale ruolo di cani da guardia inteso alla lettera, il che fa a pugni con la deontologia, con il senso stesso del mestiere.
E perché, caso unico, trovata inedita di questi tempi finanziarizzati, si arrogano diritti imprevisti dalle Costituzioni: quello di essere voce unica e non discutibile, quello di discutere e addirittura impedire le altre voci, con attività delatorie e spionistiche a supporto dei social. Ma perfino lo Zuckerberg di Meta ha appena ammesso che in termini sanitari l’azione dei sui media è stata eccessiva e dannosa, ossia gli sgherri di cui si serve sono andati oltre.
Tipico dei padroni, ordinare una linea e poi scaricarla su chi esegue, sui fantaccini.

L’informazione, la buona informazione, non è fatta di algoritmi; è l’esatto contrario della specializzazione esasperata, della totemizzazione di una scienza per lo più millantata o adoperata in modo strumentale. L’informazione quando è tale è la cerniera democratica fra il sapere degli specialisti e la platea di chi legge e finalmente può capire: per fare questo ci vuole una capace opera di semplificazione, di andare all’essenziale, possibilmente reso in uno stile accettabile, leggibile. Oggi vediamo che da questi apprendisti si contestano le ricerche che non assecondano la cosiddetta narrazione unica, come quella dei 240 morti su 325 autopsie riferiti o riferibili al Covid, uscita su Lancet: solo le prime tre righe fanno desistere chiunque dal tentativo di leggere, di capire. Uno stile da poca, pochissima intelligenza artificiale, algoritmico, infarcito di maiuscole, di punti esclamativi, “NO!”, “NO!”, in un modo infantile, freudiano, i termini dell’inglese criptico, i “preprint”, il “copia cache qui”, l’ipertesto che ammazza qualsiasi speranza narrativa, “e quindi vediamo subito che”.

C’è molta ansia, molta premura di rimuovere, di impedire le notizie sgradite appellandosi alla “prova del diavolo”, dimostrami qualcosa di talmente evidente che è indimostrabile; il che è nello stile di questi zelanti, ma c’è, soprattutto, una pretesa di farsi seguire che ha del patologico. Con le raffiche di percentuali, il labirinto dei link, le tabelline da nerd: ma il giornalismo è un’altra cosa. Diciamo un mestiere diverso, ammesso, in fondo, con uno sprazzo di sincerità: “Questo articolo contribuisce a un progetto di Facebook per combattere le notizie false e la disinformazione, leggi qui per maggiori informazioni sulla nostra partnership con Facebook”. Così su Open, che non è l’Open Society di Soros ma la testata di Mentana. È curioso questo ruolo poliziesco, che fa a pugni con qualsiasi etica e regola giornalistica; ma basta dire che si lavora per la verità, basta consacrarsi alla verità unica a indiscutibile e chiamare il resto partnership. Ma ben venga, c’è posto per tutti, ciascuno nel suo ruolo, “secondo le sue possibilità”, le attitudini che sono evidentemente diverse. I fact checker o debunker vogliono smontare le notizie che assumono false coi prospettini e i capricci delle mamme severe, “NO!, questo non si fa”? Liberissimi, quello che non si accetta è la pretesa di determinare il flusso delle notizie maneggiando le palettine del lecito. Patetica, petulante pretesa. Da nessuno seguita, perché questa curiosa categoria si è subito parodizzata come i virologi: oggi debunker è sinonimo di nerd, uno che non ce l’ha fatta, magari laureandosi breve nell’età della pensione, o riciclatosi da altre professioni merceologiche.
Su uno di questi, che si agita, molto ha provveduto ad informaare Mario Giordano in un suo libro recente, “Tromboni”: David Puente, per esempio, è vicedirettore di «Open», il giornale fondato da Enrico Mentana che del fact checking (controllo dei fatti, ma in inglese è più chic) fa una ragione di vita. David "Vice direttore con delega al fact-checking" è un po’ il capofila dei controllori che controllano tutti, dispensando a destra e a manca patenti di credibilità. Di attendibilità. Ma resta un dubbio: a lui la patente di credibilità e di attendibilità chi gliel’ha mai data?
Il 1° gennaio 2022, per esempio, sul giornale «Open», di cui Puente è vicedirettore, compare una notizia choc: Il no vax usa un laccio emostatico per fermare il vaccino, finisce operato e rischia l’invalidità. Il fatto, riporta il giornale, è successo nell’ospedale di Lugo, in Emilia-Romagna. E la fonte di questa notizia così sconvolgente è un tweet di un certo dottor Claudio Luca Biasi. Peccato però che l’AUSL di Ravenna smentisca. che nell’ospedale di Lugo sia mai successo nulla di simile. E peccato che sul sito della Federazione nazionale dell’Ordine dei medici non esista nessun dottor Claudio Luca Biasi ma solo un dottor Claudio De Biasi, che per altro risulta pure di stanza a Palermo. Il tweet, insomma, pare proprio una bufala. O per lo meno una notizia per nulla verificata. Possibile che i maestrini del fact checking non abbiano fatto fact checking su se stessi prima di pubblicarla? (…) Il medesimo Puente bacchetta i video di un pericoloso razzista senza accorgersi che in realtà è un attore (Gian Marco Saolini) che sta prendendo in giro i razzisti. Allora, per rifarsi, se la prende con una foto che ritrae tre rom accanto alle biglietterie automatiche della Stazione Termini, diffusa in rete con l’ironica scritta: «Si ringrazia Trenitalia per avere assunto le nuove hostess». È chiaramente una burla. Ma Puente non lo capisce. E sdottoreggia suscitando l’ilarità del web. Possibile? Ci vorrebbe un fact checking per il fact checker. Per fortuna qualche anima pia corre in suo soccorso: quando nel maggio 2020 «Open» pubblica le foto dei morti Covid esposte nelle strade degli USA, ci pensa niente meno che Heather Parisi a correggere la topica. «Quelli non sono i morti Covid ma sono gli studenti, vivi, di un liceo di Brooklyn» svela la ballerina, dimostrando che, alla fine, i debunker di professione ne sanno meno di una ex valletta di Pippo Baudo. Cicale, cicale. David Puente invece cicale mica.
Eppure, incredibilmente, nella commissione governativa istituita il 4 aprile 2020 per il contrasto alle fake news sul Covid-19 c’era Puente e non Heather Parisi. Sarà per questo che la commissione non ha funzionato? Un paio di riunioni, il solito documento e poi nulla. Quando si è dimesso, il debunker professionista ha rilasciato un’intervista a Striscia la notizia (febbraio 2021) in cui comunicava tutta la sua delusione. E aggiungeva: i dati sono importanti per «non dare alito ai complottisti». In effetti: non bisogna dare alito a nessuno, nemmeno ai complottisti. Soprattutto dopo che si è mangiato la peperonata, bisogna stare attenti: l’alito può essere pesante. Dall’alto di questa granitica preparazione, i cacciatori di bufale di «Open» continuano imperterriti a smentire chiunque osi dire ciò che a loro non piace. Per esempio smentiscono Peter Doshi, lo scienziato che scoperchiò lo scandalo Tamiflu, docente all’Università del Maryland e editor del «British Medical Journal», una specie di Bibbia in campo medico. L’8 novembre 2021 Doshi pubblica un video in cui sostiene, fra l’altro, che Pfizer non ha fornito dati sufficienti per valutare le terze dosi. Lo fa, ovviamente, in base alla sua esperienza e allo studio approfondito della materia. Ma purtroppo tutta questa conoscenza deve fermarsi davanti a una contestazione del debunker di «Open» Juanne Pili, il quale non solo non è professore né nel Maryland né da nessun’altra parte; non solo non è di casa al «BMJ», giornale nel quale non ha mai scritto un rigo; ma mostra un curriculum piuttosto povero: un diploma all’istituto tecnico per geometri (progettazione e stima di terreni e edifici) e un’iscrizione alla facoltà di psicologia (dal 2007) senza laurea. E la domanda a questo punto è inevitabile: com’è possibile che un geometra che non è mai riuscito a laurearsi in psicologia possa correggere e bacchettare su temi medici un grande scienziato come Peter Doshi? E se questi sono i debunker come si fa a credere al debunking?

Open ha fatto sapere, nero su bianco, di aver ricevuto finanziamenti da fondazione Cariplo e da Facebook stessa: forse potevano venire investiti meglio, ma in generale a chi pratica questo mestiere fa una curiosa impressione venire segnalati, come è accaduto, in fama di falsari da simili sparafucile. Ogni studio e ogni notizia si possono ribaltare alla bisogna, ma nella notizia c’è un elemento umano che viceversa viene totalmente trascurato, se non disprezzato, da chi balla con la fiaccola della verità in mano. Noi ereditiamo storie di vaccini, di effetti, di decessi e queste sono lì, non sono gli studi delle riviste, non sono le tabelline, si trasformano in esseri umani, in viventi e non più viventi, nello sgomento di chi li piange, nelle menomazioni di chi si salva. Noi portiamo anche sulla pelle gli effetti di certe scelte, e quelli raccontiamo perché lo sappiamo fare, perché è il nostro lavoro. E ci leggono perché sappiamo fare il nostro lavoro.

Virologi e cacciatori di bufale ostentano il peso atlantico della verità ma sono seppelliti sotto le loro stesse bufale e non possono negare che la loro attività sia quella di supporto a un pensiero dominante, che va da Soros ai petrolieri riverginati passando per Bill Gates e la UE, che pretende le vaccinazioni a vita da preparati non sicuri, “aerei lanciati mentre li stavamo ancora costruendo” come ebbe a dire la Janine Small di Pfizer (nessuno le disse “NO!”, perché non si poteva), il giro d’affari vorticoso, dell’ordine delle centinaia di miliardi, ma tenuto basso, trattato coi messaggini privati che i cosiddetti debunker non si sognano di scandagliare, per cui ci vogliono i giornalisti veri; i medici mandati al macello o al suicidio, che si sono poi segnalati come quelli che avevano visto giusto, con grave disdoro per chi li voleva far fuori e adesso si indigna se riceve lo stesso trattamento. Nessuno, da nessuna parte, provvisto di un minimo sindacale di decenza e di coscienza, osa più negare la casistica alluvionale degli effetti avversi. Tranne in Italia. Si fa strada, a livello sovranazionale, globale, una sorta di dittatura che proibisce le scelte, le alternative, che vuole imporre l’ammorbato a vita, sostituire il concetto di buona salute con la presunzione di malattia, impedire la casa, l’auto personale, che pretende di imporre tipo e misura dei consumi, tre vestiti nuovi l’anno, non di più, la scomparsa degli alimenti classici come la carne e il latte, il totale ricorso a fonti energetiche che sviluppano scarsissima energia a prezzi insostenibili, il ritorno allo stato di natura come lo vuole l’Unione Europea che è uno stato da dinosauri ma non da umani, invitati caldamente ad estinguersi o almeno a decimarsi. E a questo delirio ideologico è impossibile fornire un argine coi “No!” e gli schemini, tanto più che viene teorizzato apertamente e in modo feroce. Le nuove professioni ancillarie dei debunker e dei virologi che proibiscono il bicchiere di vino e obbligano alle cento dosi sono funzionali, sbirresche, ma di scarso peso e ormai al limite del ridicolo. In ogni modo, nessuno che creda nel pluralismo democratico si sogna di volerne la rimozione: l’importante è tenere fermi alcuni limiti, certe distinzioni, tu puoi anche palleggiare con le arance ai giardinetti, ma il gioco del calcio è altro, è la geometria dell’umano che nessuna meccanica algoritmica è in grado di capire.

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