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Giorgia Meloni promette la rinascita de l'Aquila: in che modo, presidente?

Il governo annuncia 50 milioni per le scuole, ma con 50 milioni un intero territorio distrutto ci fa poco e niente. Specie dopo 15 anni o quasi. La verità è che i soldi non ci sono, la possibilità concreta neanche a parlarne.

06 Aprile 2023

Il premier Giorgia Meloni

14 anni dal terremoto a l'Aquila e siamo ancora ai proclami, alle promesse: “Renderemo l'Aquila più forte di prima” così la premier in carica, a questi della nuova destra scappa sempre qualche notazione fatale, vagamente mussoliniana. Sì, adesso tocca alla presidente di destra rinnovare il breviario degli annunci di rinascita e lo fa in questo curioso mix di auguri rétro e di neolingua della sinistra idiota, “l'Aquila città resiliente”. Resiliente non pare proprio, a quasi quindici anni dal disastro il grosso è ancora da rifare. Se mai resistente, ma della resistenza dei rassegnati: e che altro potrebbero fare? Intanto sfilano con la solita fiaccolata di ogni anniversario, ormai i grandi fatti, le grandi tragedie si direbbe succedano per dar modo di celebrarli nel modo retorico e patetico che piace alla televisione. “Stiamo ancora cercando di dare un senso a tutto questo” ha detto uno, col lumino in mano. Ma se per dare un senso intende la ragione metafisica delle sciagure, lasciasse perdere: da che mondo è mondo molti potrebbero farsi la stessa domanda e su presupposti ancora più atroci. Se invece vuol dire trovare i colpevoli veri, della mancata prevenzione e poi della mancata ricostruzione, allora ci si mettesse ugualmente l'anima in pace: non c'è disastro, calamità, sinistro che storicamente in Italia si sia mai chiuso con l'individuazione e la condanna dei responsabili. Al massimo vola qualche straccio, come anche a l'Aquila, qualche funzionario o galoppino di seconda fila in merito al crollo della Casa dello Studente e il resto perso nelle nebbie giudiziarie.

Fatevene una ragione, aquilani: i presidenti del consiglio, come i commissari alle ricostruzioni, passano con le loro promesse e i loro proclami e le rovine restano. L'Aquila difficilmente tornerà quella di prima. Non c'è una autentica volontà politica e, soprattutto, non ci sono i soldi. Giorgia Meloni a l'Aquila c'è andata anche per evocare l'immaginifico piano di resistenza e resilienza europeo, ma questo pnrr è una truffa come tutte le cose europee: duecento miliardi che prima uno sgancia, poi gli vengono resi ma con interessi da usura. E dietro garanzia di farci le cose che l'Unione desidera. È l'assalto alla diligenza, l'ennesima rapina a man salva, salva per i politici, da rifinanziare con nuovi balzelli e prevede lo spreco immane, polverizzato ma buono a finire subito i soldi, in forme anche demenziali: impianti di sci a 30 chilometri dal mare, l'orgia delle piste ciclabili, dei campetti degli sport di nicchia come il curling o il padel, musei della grappa, presepi viventi, cimiteri, parchi giochi, a San Ginesio, dove non è rimasto in piedi più niente a partire dal teatro, hanno ottenuto centomila euro per “spolverare libri antichi”. Quanto a dire una truffa bella e buona spartita fra chi eroga e chi percepisce.

Già, non esiste solo il terremoto aquilano e non esiste solo la ricostruzione abruzzese: subito prima o poco dopo sono venute giù intere regioni o subregioni, mezza Italia centrale e poi la pianura Padana tra Quistello e Modena, Capri, dappertutto la terra trema e cascano guglie, campanili, abitazioni, ruderi. E i soldi per rifarli non si trovano mentre la burocrazia che impastoia tutto non manca. Senza dire che l'Europa prende più di quanto non renda – nei primi venti anni di questo millennio ha succhiato all'Italia 330 miliardi per restituirne a malapena 240 – e detta le sue agende a base di accoglienza, integrazione dei disintegrati, refrattari ad ogni inclusione, scuole di gender, e poi la gigantesca corruzione scientifica e mediatica per orientare i consumi e crearne di inediti. Si diceva: in Europa per non ripetere le grandi ruberie del Sud, i cento, duecentomila miliardi drenati dalla Camorra dopo il terremoto del 1980, l'irresponsabilità generale, il trionfo dello statalismo predatorio e dissipatore. Ma le cose sono continuate allo stesso modo anche in Europa, anzi proprio tramite l'Europa.

Meloni a l'Aquila a promettere un nuovo rinascimento e a rassicurare le cancellerie e il sovrapotere di Mattarella che ad ogni disservizio o canagliata europeista ripete: ci vuole più Europa. Ma se in trent'anni di sottomissione extranazionale non siamo riusciti a risolvere un solo problema e invece ce li ritroviamo tutti ingigantiti, moltiplicati, se i terremoti che si accumulano li possiamo solo lasciare lì, nel languire dei calcinacci e dei tubolari che ingabbiano il tempo, nel tremolare dei lumini in quelle fiaccolate rituali, lugubri come nel Venerdì santo o in certe sacre rappresentazioni medievali, è il segno che questa Italia non funziona in una Europa che non funziona. E non funziona perché mancano sia le possibilità sia le volontà: l'Europa, l'Italia in essa, ha sempre il solito problema di far quadrare conti che non quadrano, di spremere sangue dalle pietre e, oggi, anche di correre dietro alle false priorità energetiche, ai fregolismi sessuali, agli uomini che allattano, alle resilienze, al gossip politico, alla fine del mondo che si annuncia ogni giorno, a questa vita di merda nella merda che ogni giorno costa più cara. E l'Aquila non vola, al massimo razzola tra le eterne macerie.

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