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Matteo Messina Denaro rimpianto dalla sua gente? Nessuna sorpresa, è sempre stato così

Sono fasulle le polemiche per il volgonche difende il Boss: la mafia cresce proprio su questa solidarietà diffusa, più profonda di quanto si voglia dire.

20 Gennaio 2023

Matteo Messina Denaro oggi

Noi qui a discutere di garantismi come gargarismi, di se sia giusto mandare in galera dura uno malato e "vecchio" (certo che è giusto, con buona pace dei vaporosi alla Sansonetti), addirittura se non sia il caso di scarcerarlo con tante scuse, in fondo che ha fatto u Siccu, Messina Denaro, mischinu? Ha ordinato trenta o quaranta stragi, ha scannato cristiani a mani nude, strozzato una donna incinta dopo averle massacrato il marito davanti, per pura ferocia da maschio dominante, ha fatto sciogliere bambini nell'acido, ha mantenuto col terrore e con il paternalismo l'arretezza della sua terra, della sua gente. Quella gente che difatti lo piange, lo difende, "arrestato lo hanno? Iih, errore hanno fatto". Ma è patetico stupirsi siccome la Sicilia del Boss è a favore del Boss. C'è un detto mafioso, "Con i soldi e l'amicizia si va in culo alla giustizia". Non è così?

La solidarietà al superdelinquente, latitante a portata di mano, è la più classica delle non notizie e costernarsi è ipocrita: in chi invoca il rispetto di quei diritti che un capo mafia macella insieme agli uomini c'è la mafiosità che non sarà appartenenza ma è comunque qualcosa di molto vicino, complicità sentimentale e immorale. A dire che don Matteo sta bene dove sta, al 41bis, tra i commentatori è rimasto solo Cruciani, ma la credono una provocazione. Per dire quanto sia diffuso il sentimento di comprensione dietro il velo della condanna di facciata. Se un capo mafia può stare trenta o quaranta anni indisturbato a dettare legge, la sua non quella dello stato, nei posti dove è nato e cresciuto, è proprio per questa rete di solidarietà che al sicuro fa fino, fa garantista, mentre in partibus infidelium sarà figlia dell'ignoranza, come ripetono i garantisti e i farisei, ma non certo della paura. È il modo di sentire che è lo stesso, la malavita radicata fiorisce dove lo stato è percepito come un intruso, un nemico a prescindere. Per completare l'opera, lo stato lo sa e si adegua o meglio ne approfitta, esprime personalità figlie del malvivere che spedisce nelle istituzioni democratiche con il che chiudendo il cerchio.

Poi puoi fare le sfilate, le baracconate che vuoi contro la mafia, con la faccia immancabile del Peppino Impastato antimafia in nome del comunismo che di tutte le mafie è la peggiore. Ma è solo teatro, come dicono da queste parti. Ho conosciuto, avendola lambita a suo tempo, più mascalzoni nell'antimafia che in un penitenziario, gente dalla mentalità squisitamente mafiosa, che sul palchetto faceva il pippone contro il nepotismo e le clientele e per il resto della giornata si scatenava nell'esercizio del nepotismo clientelare di stampo mafioso detto familismo amorale da Banfield a Montegrano. Anche molti parenti di professione, parenti di vittime che da quarant'anni e più imperversano con le loro cofane, i medaglioni ottocenteschi sul petto e la pretesa di essere ascoltati e riveriti ad ogni profferir di banalità: non abbassare la testa, tenere alta la guardia, la sacra memoria di Giovanni Paolo e Peppino. Mestieri che non vanno in pensione e garantiscono sacrosanti benefici.

A non abbassare la guardia degli affari sono le prefiche in guisa di vedove, fratelli, cognati, lontani cugini, discendenti, ce n'è per tutti basta poter esibire un ramo di parentela, meglio se c'è il cognome, fatidico come un cliché. Dietro il velo delle belle parole, la guerra delle fondazioni e associazioni, l'odio mafioso per quelle che, con metodi mafiosi, fanno la parte del leone nei finanziamenti, che sono molto copiosi, l'antimafia, la legalità sedicente sono un business che fa impallidire quello delle ONG che fa impallidire quello della droga, e a volte si fondono. Molta cattiveria di cosca anche nel falò della vanità in cui eccedono i giudici antimafia, quelli che immancabilmente definiscono il boss "mente rraffinatissima", per dire che loro, avendogli messo il sale sulla coda, sono ancora più rraffinatissimi, comunque nel segno di una sicilianità devastante, l'orgoglio demoniaco localistico che irrora tutto e tutti e crea le condizioni per la permanenza del male. Provate, se vi capita, a stuzzicarlo uno di questi giudici padreterni dell'antimafia sicula, dicendo peste e corna del supermafioso di turno: li vedrete scattare come sanguinari indemoniati, "iih, porta rispetto, quello sarà quel che sarà ma è mente rraffinatissima". E lo dicono col giusto orgoglio dello scandalizzato: ma che ne vuoi sapere tu, banale ottuso straniero. Tutti rraffinatissimi, così come nella Napoli camorrista tutti furbissimi, nella Calabria della ndrangheta tutti calabresissimi, ma dai tempi di Garibardo non sanno darsi esistenze normali in società normali.

Per cui non ha senso sdegnarsi per i vecchioni e i trafficoni e i fannulloni che su Matteo, come sul Totò, su u tratturi Bernardo, su don Michele Navarra, su Calogero Vizzini, salutato dal popolo al grido "viva la mafia, viva la delinquenza, viva don Calò", a ritroso in saecula saeculorum, non trovano che parole di miele. Acidulo, ambiguo, siculo, lo dico e non lo dico, ma lo dico. E di dolore adesso che è stato messo fuori gioco, e di rabbia omicida verso lo stato che "ha tradito", è venuto a prenderselo, glielo ha portato via come uno di famiglia. Almeno la storia!

Cambierà mai questo teatro degli orrori? Siccome tutto ha una fine e anche la mafia dovrà pur finire, diceva, tra speranza e disperazione, Giovanni Falcone. Ma garanzie non ce ne sono, è più un auspicio che ha del fatalistico, il cuore vorrebbe pensare di sì, ma la ragione non trova motivi per illudersi e quindi ritiene di no. Tanto più che non è una questione geografica ma globale, può andare male la mafia siciliana ma compensa il rigoglio di quella calabra, confinante. Poi, d'accordo, si potrà dire: mondi diversi, realtà opposte, ma il senso di un male, di un veleno carsico che ogni tanto risale e infetta anche i più attrezzati e i più determinati a resistere, quello rimane. Intatto e identico. Forse è meglio accettare con onestà che nei suoi orribili borghi Messina Denaro è considerato un santo da tutti o quasi tutti e che così vanno le cose, così debbono andare.

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