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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Ma a Liliana Segre i novax che le hanno fatto?

La senatrice a vita annuncia querele contro chi la odia, ma non si rende conto che anche certe sue uscite sono azzardate, contribuiscono ad esacerbare un clima già esasperato. Da chi il Male lo conosce, sarebbe lecito aspettarsi maggiore prudenza. E pietà.

11 Novembre 2022

Liliana Segre

Guai a voi, anime prave, “occhio che quella querela”. Scelta discutibile data la posizione di potere e privilegio, ma dello stile, se ce l'ha, se non è solo un costume bianco, ognuno fa quello che vuole. Se mai sarebbe da capire querelare per cosa: se è per diffamazioni, ci può stare; passi anche, come si diceva ieri su questa stessa testata, per i quattro spaventapasseri senza faccia e senza nome che si divertono a insultare via social, anche se già la faccenda si fa tirata per i capelli; se invece la si percepisce come lesa divinità, allora si finisce nel vello d'oro, l'idolo: se stesso, col ricatto che ne segue: se ti accorgi che una frase è sbagliata, se non sei d'accordo, ecco, ti ritrovi fascista, che dico, nazista, direttamente, aguzzino da lager, infame responsabile del vilipendio di un idolo.

Solo che se taci, a volte sei complice di uno sfondone o una discriminazione; come minimo, abiuri a una tua idea. Ora, Liliana Segre, come insegna Chicco Mentana, non si discute: si adora punto e basta. Curioso per un giornalista che dovrebbe avere il cielo stellato sopra di sé e il diritto di cronaca dentro di sè, ma, anche qui, è questione di percezioni. Fatto è che la 92enne senatrice a vita ogni giorno che piove sul mondo si sente in dovere di annunciare, urbi et orbi, quanto segue: 1) lei ha passato quello che ha passato (l'Olocausto); 2) l'Olocausto può sempre tornare, anzi è a un passo dal tornare, anzi è già qui; 3) la destra non le piace affatto (anche se fu sposata con un militante di Almirante, Movimento Sociale); 4) Salvini e Meloni mettono preoccupazioni, quantomeno a lei; 5) le dicono le cattiverie; 6) ha la scorta; 7) è amica di Chiara Ferragni; 8) Chiara Ferragni è una ragazza molto buona, “molto rispettosa” e quindi va adorata per osmosi, mai criticata; 9) lei è buona ma non se ne può più di tutti questi cattivi; 10) lei è umanissima, ma a questo punto querelerà chiunque si permette eccetera.

Sono, né più né meno, proclami papali. L'undicesimo comandamento scolpito sulle tavole della senatrice a vita è un corollario, ma di quelli che pesano: i novax sono esecrabili, irresponsabili, indegni: “io gli avrei fatto di peggio”. Frase effettivamente inquietante, per una serie di ragioni e ci perdonerete se invece che danzare intorno all'Idolo lo sindachiamo ossia esercitiamo il dovere di cronaca.

La bontà segriana, in punta di logica e di filosofia politica, fa, questa sì, lievemente spavento: perché è autodefinita (io sono buona, io ho passato il Male e so cosa è giusto e cosa no) e quando qualcosa si legittima da sé, è l'anticamera del sovrumanismo che, nel suo stesso nome, giustifica tutto: se è giusto umiliare chi, come questi famigerati “novax”, ci sta sui coglioni (ma, alla peggio, danneggia solo se stesso, ciò che la Divina Scienza ha chiarito senza più margine di dubbio); se esistono discriminazioni accettabili, allora tutto è possibile. Fino a che tutto? Fino a quale limite? Alla sottorazza novax in effetti è già stato inflitto molto: discriminazione, razzismo, odio, diffamazione (e loro non erano nella posizione di difendersi querelando, perché in Italia se non sei un politico, un influencer o una popstar non trovi cane che ti abbai, meno di tutti un giudice); ancora, separazione, emarginazione, confino - “vietato l'ingresso ai novax”, prigionia, perdita del lavoro, dello stipendio, degli scatti pensionistici, della dignità, della dimensione umana: ancora oggi, a riabilitazione compiuta dallo stato, dal governo, molti pretenderebbero sui medici “novax” (ma non solo i medici) una targhetta, una sorta di stella gialla per essere riconosciuti: e quindi disprezzati, allontanati. “Io da un dottore novax non mi voglio fare curare, stiano fuori dai reparti, stiano chiusi negli stanzini”. Forsennato mantra che sentiamo ripetere mille volte al giorno, ogni giorno. Forse non lo sente Segre.

Il disprezzo diffuso verso i “novax”, a maggior ragione ora che molte loro paure si sono dimostrate fondate, è tale da ricordare quello, degli anni di piombo verso chi era “obiettivamente fascista”, ossimoro che piace molto a certi sedicenti garantisti ma resta un ossimoro: obiettivamente un paio di palle, se c'è una cosa non obiettiva è il vostro metro di giudizio. E chi era “obiettivamente fascista”, nei “formidabili anni”, andava abbattuto senza complimenti in quanto “Uccidere un fascista non è reato (ed è fascista chi mi sta sui coglioni, invidio o mi crea un problema personale)”. Sarebbe il caso di non fomentare un furore già cariato, pericolosissimo, con dichiarazioni esacerbate, tanto più se provengono da una ex deportata in campo di concentramento: se dopo aver passato l'inferno ragioni così, allora non ti è servito a niente. Un umanitarismo, quello di chi ancora azzanna (e, negli ospedali, segrega) i refrattari alla N-dose, perennemente inzuppato nella rivendicazione, in un sibilante atto d'accusa, perenne, spietato, fumoso, ma sempre volto a spaccare il mondo come la mela del peccato: o con me, o coi fascisti. Questi maledetti novax sono i portatori di tutti i mali e di tutte le colpe: i Protocolli dei savi di Pfizer, una categoria volutamente tenuta nel vago, sulla quale far ricadere la dannazione perenne e totale: hanno la responsabilità di ogni tragedia, dai cambiamenti climatici all'avvento della biscia nera Meloni, alle mille fobie di cui è costellata la cancel culture: non vi riporta ad echi lugubri, che credevamo superati?

C'è un paradosso in tutto questo: chi più insiste sul pericolo del nazifascismo risorgente, allo stesso tempo sembra quasi riaccendere tragedie da mai più ripetere, neanche in linea di principio. Primo Levi difficilmente sarebbe arrivato a tanto: i suoi libri sono spietati atti d'accusa, ma capaci di laceranti spiragli di tenerezza. Altri no. Sempre quel cipiglio sussiegoso, il dito sotto il mento, lo sguardo accusatore, alla Saviano, sempre quel voler dividere in buoni e cattivi, ai quali andrebbe fatto “molto di peggio”, in una sorta di palingenesi apocalittica. Roba disturbante, sconcertante perfino e, per favore, non aggrappiamoci ai vetri della sensibilizzazione contro chissà cosa, il drammatico grido d'allarme contro i fascisti che sono tornati: è evidente a tutti, sta in re ipsa l'atteggiamento vindice di chi mantiene una isterica partigianeria senza termine e senza spiragli: che senso, che misura, che fondatezza ha - ma qui la faccenda non investe tanto Segre quanto una koiné giornalistica, mediatica - paragonare i reprobi “novax” agli aguzzini da lager, stragisti, sterminatori? Certo, anche i più fanatici dell'altra parte cadono nelle stesse speculari assurdità. E, certo, gioca molto la militanza, il fanatismo che va oltre la sensibilità di un partito, di una appartenenza. Ma qui c'è qualcosa di più oscuro, la faccenda è andata oltre l'ortodossia vaccinale, non si tratta più di parlare a comando, di dire quello che la sinistra di riferimento vuol sentire, sembra più una deformazione psichica, una soluzione catartica, un redimersi mandando i porci indemoniati giù dalla rupe nel lago in cui affogare. Non ha alcuna logica, e non ne ha di più alimentare tanta furibonda violenza con dichiarazioni avventate: per i social, per i talk show, se ne sentono davvero di pazzeschi, in una escalation sempre più sgradevole, la “poltiglia verde” in cui Selvaggia Lucarelli sperava di veder trasformarsi i “novax” dopo un anno è quasi tenera, ormai si teorizza apertamente la gambizzazione, la giustizia armata, con gli stessi deliranti argomenti di allora: “se nel bersaglio c'è un novax che colpa ne ho io?”.

Temerari sproloqui cui chi ha una posizione di rilievo non dovrebbe in nessun modo accostarsi. Segre ritiene di dover querelare chi la odia, ma è mai sfiorata dal sospetto che una dichiarazione di intenti quale “io ai novax avrei fatto molto peggio di quanto gli è stato fatto” potrebbe a sua volta valere una querela? E che comunque il mondo è pieno di squilibrati e di farabutti che aspettano solo di sfogare il loro livore demente? E tu che fai? Gliene dai occasione con uscite apparentemente innocenti, ma che hanno il retrogusto della provocazione?

Qui si cerca di capire, di vedere le cose per come stanno e la sensazione non è confortante: se passa l'idea della punizione abissale, calata dal cielo lugubre dell'idealismo apocalittico, non c'è più limite alla barbarie. Cioè si torna proprio a ciò che si denuncia come abominio da non ripetere. Stiamo ballando col demonio, in una guerra sociale sorda ma già feroce, che può portare ad esiti imprevedibili. Ogni dichiarazione eccita la precedente, ne accende un'altra ancora più fiammeggiante, provoca uno scatto della sovreccitazione. Fino a dove? È l'incendio della prateria che si cerca? E l'incendio arriva, a Bologna gli immancabili kollettivi hanno appena appeso, ovviamente per i piedi, un pupazzo con le fattezze di Giorgia Meloni a grandezza naturale, poi, in un turbine di vapori da giorno del giudizio, l'hanno affumicato. Scena che parla da sola ed evoca fantasmi di piazzale Loreto in fumo demoniaco. Inutile aspettarsi dissociazioni o solidarietà dalla galassia di sinistra: molti hanno fatto finta di niente, chi non ha taciuto ha insinuato che Meloni se l'è cercata, per il semplice motivo che esiste, che è "obiettivamente fascista" così come i novax sono "obiettivamente" da spazzare via. Meloni che oscilla a testa in giù, come gli Strani Frutti di Billie Holiday, solo rovesciata. E poi un silenzio generale che sa di connivenza, i telegiornali che ci spendono dieci secondi e tirano via. Fosse successo a un Buono per autodefinizione, cascava il mondo, il cielo, il firmamento. Ma i troppo buoni sono quelli consumati dall'amore che annienta. Noi non abbiamo conosciuto la Shoah ma gli anni della follia e del piombo li conosciamo, sappiamo riconoscere certe situazioni, sappiamo che ci mettono niente a tornare, sappiamo che portano a un esito prevedibile e fatale. Liliana Segre non è responsabile delle balordaggini da centro sociale o da kollettivo, ma anche lei, come chiunque abbia un ruolo e un potere pubblico, dovrebbe capire che, a maggior ragione in questo tempo minato, le parole hanno un peso, che non sono sempre solo quelle degli altri a rischio di esplosione.

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