26 Ottobre 2022
Funziona così: si aspetta l'occasione buona, per esempio un incontro con un giornalista moderato come Daniele Capezzone, e, secondo l'agenda farneticante dei cialtroni, “via i fascisti dall'Università”, ci si stringe in falange quando arriva l'ospite, si appendono striscioni più o meno minacciosi, si fanno circolare volantini in stile terrorista, la faccia della persona non grata con sopra scritte infamanti, si carica il cordone di pubblica sicurezza muniti di bastoni ed altri gadget; poi si aspetta la reazione della polizia, si frigna e si mandano i comunicati alla stampa: siamo stati pestati, è cominciato il fascismo, la repressione, ma noi non ci faremo intimidire. La stampa organica, complice, diffonde, amplifica, soffia sul fuoco. Funziona sempre così: ai tempi di chi scrive, fine anni '70, una manifestazione alla settimana, puntualmente di “sostegno ai compagni delle Brigate Rosse”, chi non partecipava era segnato. Il primo giorno di ginnasio al liceo Carducci di Milano, a due passi da piazzale Loreto, entrai in un'aula sotterranea e c'era un armadietto di metallo sventrato: ma cosa è stato? “Ah, niente, una molotov” spiegò la professoressa di storia. E le brillavano gli occhi. Alla Sapienza, ieri l'altro, è andata in scena l'ennesima provocazione dei “kollettivi” insufflati dalla sinistra che, a corto di voti e di argomenti, si aggrappa al falso spontaneismo dei fuoricorso a vita, gli stessi che considerano l'ateneo più mastodontico d'Europa cosa loro, che impedirono a Raztinger di metterci piede – ma non a diversi rottami degli anni di piombo, viceversa accolti come apostoli. Gli stessi che già avevano piazzato lenzuola col nome di Ignazio La Russa scritto alla rovescia, “a testa in giù”, a scanso di equivoci; scuola o università, la stessa razza, per dirla con Pasolini, di quelli che bruciano le foto dei vari Meloni, La Russa ipse, Fontana; che partono con gli “scioperi contro la dittatura” che sarebbe il governo targato donna Giorgia, non ancora insediato ma già europeista e moderatista: parte Milano, sempre in anticipo, e Roma segue a ruota con la occupazione autogestita del liceo classico Pio Albertelli: fumogeni, aroma di canne, balli e stamburate “in risposta alla repressione poliziesca e alla deriva reazionaria di ieri alla Sapienza”.
Certo, dovevano lasciarli liberi di arrivare fin da Capezzone coi bastoni, se non è repressione. Antifà e anticà, inteso come capitalismo: roba vecchia di mezzo secolo, mentre il mondo corre e gli studenti superiori e universitari di Cina, Corea, Giappone si mangiano i nostri nell'epoca della competizione globale anche scolastica. Ma che volete? Qui già evocare il merito è fascismo, e si capisce: i valorosi partigiani resistenziali della Sapienza, dell'Albertelli, dal merito stanno lontani come i vampiri dall'aglio: intanto non avrebbero speranze, poi chi glielo fa fare provenendo – funziona così, funziona sempre così – da casati che hanno già apparecchiato le raccomandazioni giuste: incapaci oggi, viziati e inconsistenti, domani sparati nelle baronie, nei giornali, ammesso che ne restino, nella sottocultura fumettistica o cinematografica a sovvenzione pubblica. Un esercito di vorrei ma non posso, però voglio lo stesso. La pochezza degli argomenti è sconfinata, la preparazione di base infima: giusto ieri, a “Fuori dal coro”, hanno fatto vedere una cosa irresistibile, Giordano, che ha quella vocetta stridula e l'aria da bravo ragazzo ma è una carognetta che sa il fatto suo, ha spedito un inviato a una manifestazione antifascista brulicante di bandiere rosse, gonfaloni sindacali, simboli guevaristi, la solita paccottiglia pop che non passa mai di moda. “Chi era Galeazzo Ciano?”. Gli interpellati guardavano in panico e non rispondevano. “Ma Farinacci, chi era?”. “Un cantante fascio?”, ha tentato uno. “Quando c'è stata la marcia su Roma?”. “Nel 1919”. “Nel 1930”. “Nel 1945”. Una, femminista, coi capelli a scodella da femminista, ha affermato, tutta impettita: “Nel 1928. Sa, sono professoressa di storia, non può prendermi in castagna”. Prodigi della scuola dell'obbligo, sì, ma di assumere quelli con doppia tessera, PD (o PDS, o PCI) e CGIL.
“Che cosa rappresentava Palazzo Venezia?”. Sguardo vacuo: “Eh, beh... un palazzo che stava a Venezia, no?”. Tutti contro il fascismo risorgente, in prima fila alcuni parlamentari piddini, molto umili: “Come osi disturbarmi, io sono un deputato, ma vedi di levarti”. Una giovane onorevola, riconoscibile perché aveva appena espresso solidarietà senza riserve agli studenti (insomma) diversamente democratici della Sapienza, a domanda non ha risposto ma è corsa via fargugliando: mi sta molestando.
E così finisce disinvoltamente a donnine allegre anche l'ultimo mito autocoltivato dalla sinistra, quello dei colti, degli intellettuali: vero è che per tutto il dopoguerra la qualità complessiva si è andava progressivamente inabissando, verissimo che la destra, dalla DC al Movimento Sociale, a tutto pensava meno che ad una sostanza culturale, secondo il patto resistenziale, neodemocratico uscito dalla Costituzione anche se non scritto: io destra mi tengo le facoltà tecniche, tu sinistra ti occupi di quelle umanistiche, fedele alla teoria gramsciana dell'egemonismo. Un monopolio culturale fazioso, di corto respiro, pretenzioso, millantato ma sufficiente ad umiliare chi di sinistra non fosse. Bene, tutto questo è spazzato via, andato, sparito per sempre. Oggi la sinistra appare se possibile più balbettante, più analfabeta ancora della destra; quanto ad una cultura transliberale, sopravvive ma per singoli, tante o poche macchie di leopardo che non fanno il leopardo.
A non cambiare a sinsitra sono i vecchi vizi: l'intolleranza, l'attitudine censoria, una sicura violenza considerata virtuosa, la spocchia. Ma la spocchia si conquista e questi non hanno fatto niente per meritarsela: hanno l'atteggiamento del bue, senza il senso pratico e la riflessività istintuale del bue. “Antifascismo è anticapitalismo”, ma tu pensa che roba tocca sentire. E guai al merito, è fascista il merito, è reazionario: lo andassero a dire in Cina. Ma qui abbiamo Sansonetti a teorizzare sulla scia del vecchio Nichi Vendola che, con la voce flautata, da poeta, scandiva: “Il merito a fcuola non ci deve entrare, perché i bambini fono violini, fono le nuvole di Pafolini”. Sentita con le proprie orecchie da chi scrive, durante un comizio in teatro.
Passano i Vendola, restano le cazzate monumentali in stile brigatese: “Adesso tocca a noi: raccogliamo il grido di lotta da portare in tutte le scuole verso e oltre la mobilitazione nazionale studentesca del 18 novembre. Sarà una lotta!”. Sì, sì, abbiamo capito, la lotta, la lotta continua. Peccato che quando il regime c'era davvero, e teneva tutti reclusi, imbavagliati, sottoposti a controlli umilianti, a ricatti indecorosi, al greenpass per bucarsi a raffica, nessuno fiatava. Le decisioni le prendeva il compagno Speranza per conto del banchiere europeo e si respirava brezza di libertà. Questi sono talmente mollicci (fortunatamente) che se gli passi una molotov si cagano in mano. Meschini sempre, ma la lotta l'hanno trasferita dalle strade ai social, utili coglioni di qualche politicante o debunker, loro sì al soldo del capitale finanziario. Bimbiminkia dell'antifà: sarà una lotta sì, ma per non alzarsi al mattino almeno fino al 18 novembre, poi qualcosa, qualche gesto epico, da influencer, si troverà. A proposito, corre voce che alla mobilitazione nazionale del 18 novembre l'ospite d'onore sarà la compagna anarcoinsurrezionalista Chiara Ferragni...
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